La pubblicistica e la storiografia italiana deformata dalla ideologia vede il dito anziché la luna.
Il 1921 viene ricordato più per la nascita in Italia di uno sparuto partito comunista che per la crisi del grande partito socialista che nel 1919 aveva riportato una vittoria storica alle elezioni della Camera col 32,3%. Questo partito aveva commesso l’errore di non lasciare alla libera dialettica questioni controverse come l’interventismo perdendo per strada grandi intellettuali del calibro di Gaetano Salvemini e quel socialismo trentino interventista che faceva capo a Cesare Battisti e Fabio Filzi. L’errore del dopoguerra fu di lasciare a Gabrile d’Annunzio un’impresa sognata dall’irredentismo di sinistra. Nel 1919 il primo partito di maggioranza relativa, paralizzato dalle correnti, e con un sistema proporzionale puro, rimase all’opposizione per non essere riuscito ad allearsi con altre formazioni politiche.
Il 21 gennaio viene celebrato per la nascita del Partito comunista d’Italia ma il fatto più rilevante di quei giorni di gennaio (dal 15 al 21) è il Congresso del Partito Socialista da cui derivò la rottura. Un partito segnato da divisioni radicali che oltre alla fuoriuscita dei comunisti di portata modesta, subì la spaccature delle principali correnti, quella riformista e quella massimalista. Questo indebolimento strutturale del principale partito della sinistra e del sindacato operaio aprì la strada al progetto eversivo e violento del fascismo. Dalla scissione di Livorno nacque la frazione comunista che si identificava nella rivoluzione d’Ottobre; o meglio, alla conquista del potere di una minoranza i bolscevichi. Il partito di Lenin aveva utilizzato la ribellione popolare durante la guerra per la conquista del Palazzo d’inverno a Mosca nel 1917 estromettendo subito dopo le altre componenti maggioritarie rivoluzionarie e socialdemocratiche. I socialisti italiani della scissione erano soprattutto giovani che arrivano dall’esperienza torinese di Ordine Nuovo, per la gran parte interventisti (Bordiga, Gramsci, Terracini, Togliatti, Bombacci) che avevano strizzato l’occhio alla precedente “frattura socialista” del 1915 con la fuoriuscita del direttore de L’Avanti! Benito Mussolini e di altri socialisti favorevoli alla guerra. Pensare che lo stesso Mussolini con Alceste de’ Ambris, il repubblicano Pietro Nenni e l’anarchico Malatesta nel giugno del 1914 avesse partecipato alle manifestazioni di Ancona in un clima pre-insurrezionale sembrerebbe inverosimile. Mussolini dopo la fondazione dei Fasci di combattimento nel biennio 1919/20 passò dall’altra parte della barricata per contrastare le manifestazioni operaie e soprattutto si dichiara nemico numero uno del Partito socialista di Turati e Treves. La spaccatura socialista del gennaio 1921 favorì sicuramente l’ascesa del fascismo pur essendo a livello elettorale molto debole ma si era distinto come braccio violento della parte più retriva dei poteri forti del Paese. Con i riformisti il successo elettorale del 1919 poteva portare il partito alla trasformazione dello stesso nel modello inglese (fabiano-laburista). Ciò gli avrebbe permesso di tranquillizzare la Corona e i moderati. Il programma dei riformisti prevedeva delle riforme sociali graduali già avviate da Giolitti e il riconoscimento parlamentare dell’alternanza . Per accedere al governo i socialisti dovevano allearsi con Giolitti o con i popolari Ma la parte massimalista e rivoluzionaria si nutriva di sentimenti antiparlamentari rifiutando compromessi e coalizioni. Pur rimanendo all’opposizione. Filippo Turati capo dei socialisti, in bilico, aveva avviato un dialogo con i popolari di Don Sturzo e i liberali più aperti ma nel partito erano forti le spinte scissioniste che si realizzarono in quella cruciale settimana del 1921.
Il Giornale d’Italia, diretto da Mussolini non solo incitava alla violenza squadrista ma avversava la possibilità di arrivare a un compromesso parlamentare che avrebbe visto entrare per la prima volta nel governo il maggior partito della sinistra. Per Mussolini la spaccatura di Livorno diventò una occasione da non perdere. Davanti all’instabilità del governo liberal-popolare e all’imminenza di nuove elezioni, il movimento dei Fasci di combattimento si trasformò in Partito Nazionale Fascista, rinunciando alle idee repubblicane, socialiste e anticlericali per ottenere una parvenza di affidabilità davanti alla Monarchia, alla Chiesa e alla Confindustria. Con lo scioglimento anticipato delle camere nel 1921 si ritornò alle urne. Il partito socialista arretrò al 24% I comunisti non andarono oltre il 4,5%. La sinistra complessivamente perse rispetto alle elezioni precedenti. I fascisti consapevoli di essere elettoralmente molto deboli si aggregarono al Blocco nazionale, una lista di varie componenti della destra, liberale e anche cattolica, che superò il 19%. Così riuscì a mandare per la prima volta in parlamento un drappello di deputati. Poi il triste epilogo della marcia su Roma nel ’22..
di Guglielmo di Sens