Memento Gulag, l’altra metà della memoria

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Libertates nei giorni in cui lancia la nuova iniziativa “MementoLibertates” (per tenere viva la battaglia dei diritti e delle libertà ovunque schiacciate) ricorda la sua grande iniziativa per “Memento Gulag” (una giornata in memoria delle vittime dei totalitarismi del secolo scorso)

Questa è una storia che ricomincia ogni volta, una storia senza pace, e ha a che fare con il comunismo. Ha un nome preciso: Memento Gulag. Che cosa sarà mai? L’iniziativa di qualche irriducibile nemico dei passati regimi, incapace di arrendersi all’evidenza del loro crollo? Un patetico tentativo di tenere in vita il sogno mai realizzato dei dissidenti antisovietici: portare alla sbarra di una qualche Norimberga i responsabili della catena genocida che eliminò trenta, ottanta o forse persino duecento milioni di innocenti?
Più semplicemente, il Memento Gulag è la giornata dedicata alla memoria delle vittime del marxismo-leninismo, indipendentemente dal loro numero accertato. Fissata, dopo un lungo dibattito fra testimoni, superstiti e storici, al 7 novembre, lugubre ricorrenza della Rivoluzione d’Ottobre (secondo il calendario giuliano allora adottato in Russia). Immaginata da Vladimir Bukovskij, uno dei leader carismatici dei dissidenti; sostenuta da Stéphane Courtois, l’autore de “Il libro nero del comunismo”; e promossa con orgoglio dall’autore di queste righe. Celebrata per la prima volta, fra mille distinguo e precauzioni dell’establishment politico e culturale italiano, a Roma nel 2003, con una sfilata di personaggi semileggendari della resistenza carceraria: oltre a Bukovskij, l’albanese Pieter Arbnori, il cubano Armando Valladares, il croato Ante Zemljar. Poi ripetuta a Bucarest l’anno successivo; e nel 2005 approdata con i crismi dell’ufficialità a Berlino, dove intervennero fra gli altri l’allora presidente del Senato Marcello Pera; il suo omologo del Bundestag Norbert Lammert; lo storico Ernst Nolte; in videoconferenza Giorgio Napolitano (allora senatore a vita, dall’anno seguente capo dello Stato); e molti esponenti dei Paesi da poco liberatisi dal giogo sovietico e da quello del Patto di Varsavia. Ancora negli anni successivi, durante le celebrazioni avvenute prima in Vandea e poi a Parigi, numerose personalità della cultura e della politica francese promossero un’iniziativa presso il parlamento europeo al fine di ottenere per il Memento un riconoscimento internazionale. Erano anni di grandi, forse ingenue speranze: si era fatta strada la convinzione che la dannazione della memoria, già avvenuta per il nazismo – anche attraverso la giornata dedicata alla Shoah ogni 27 gennaio – potesse riguardare anche il suo gemello totalitario bolscevico. I tempi erano maturi, così sembrava, per una convergenza bipartisan in grado di chiudere i conti con il secolo delle tenebre totalitarie – il Novecento. Pochi nostalgici non avrebbero mai potuto rovinare il significato morale di un simile evento, tanto più che più o meno negli stessi anni diventavano ufficiali altre due giornate celebrative: quella del Ricordo per le vittime delle foibe (10 febbraio) e l’altra della Libertà (9 novembre, caduta del Muro di Berlino).
Furono momenti irripetibili di ottimismo, tanto che Vladimir Bukovskij proprio dalla pagine di questo giornale lanciò l’idea di accomunare attraverso le due ricorrenze ravvicinate (7 e 9 novembre) il lutto per gli eccidi e la gioia per la riconquistata libertà nell’altra metà dell’Europa.
Ma, come si sa, l’entusiasmo giovanile spesso cade il passo all’indifferenza del’età matura: il Giorno della Libertà oggi viene raramente ricordato, come se i valori del tempo fossero passati in giudicato; invece il Memento Gulag si è trasformato in una ricorrenza per gli ostinati fedeli alla memoria, silenziata senza riguardi dai media. Per questo non fu certo un caso se l’enciclopedia online più famosa – Wikipedia – si ritenne autorizzata a declassare la voce Memento nel 2012 con la motivazione: “presenta un contenuto palesemente non enciclopedico o promozionale”. Seguirono discussioni e svariate proteste degli utenti scandalizzati, polemiche a suon di cifre (alla fine risultò che i risultati su Google nel mondo, alla voce Memento Gulag, ammontavano già allora a tre milioni e quattrocentomila). La voce censurata infine venne ripristinata, salvo ora nasconderla nuovamente (come si può verificare) fra quelle secondarie dei Comitati per le Libertà (l’organizzazione allora promotrice).
In questo gioco di specchi, occultamenti e rimandi, il Memento vive insomma una vita difficile, affidata soprattutto alle iniziative individuali – le più svariate, da Trieste alla Moldova – senza mai vedersi riconoscere un posto ufficiale nel pantheon delle ricorrenze, neppure dal parlamento europeo che avrebbe l’autorità per farlo.
Poco male, penseranno i “realisti” di ogni latitudine: chi è morto giace e i contemporanei possono darsi pace. In fondo, ci sono fin troppe minacce da fronteggiare ed eccidi da ricordare… Tuttavia resta da spiegare perché i milioni di vittime del comunismo debbano riposare su un gradino più basso della memoria, rispetto a coloro che furono vittime di altri totalitarismi. E come mai la missione – fare del 7 novembre un’occasione ufficiale di riflessione e pietà collettiva – non abbia ancora trovato compimento.

di Dario Fertilio (da “Il Giornale”, 6.11. 17)

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Dario Fertilio
Dario Fertilio (1949) discende da una famiglia di origine dalmata e vive a Milano. Giornalista e scrittore, presiede l'associazione Libertates che afferma i valori della democrazia liberale e i diritti umani. Estraneo a ogni forma di consorteria intellettuale e di pensiero politicamente corretto, sperimenta diverse forme espressive alternando articoli su vari giornali, narrativa e saggistica. Tra i suoi libri più noti, la raccolta di racconti "La morte rossa", il saggio "Le notizie del diavolo" e il romanzo storico "L'ultima notte dei Fratelli Cervi", vincitore del Premio Acqui Storia 2013. Predilige i temi della ribellione al potere ingiusto, della libertà di amare e comunicare, e il rapporto con il sacro.

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