Luigi Einaudi, Presidente della Repubblica, insigne economista, giornalista, scrittore, non possiamo non definirlo “povero” : povero in senso stretto perché dopo una lunga e onoratissima carriera morì guadagnando meno di un qualsiasi nostro assessore regionale; povero in senso lato perché ha sempre sperato e cercato di introdurre in Italia i concetti “liberali” di una sana gestione dell’economia.
Una delle sue più note affermazioni è che tra una famiglia e uno Stato la vera differenza è data dalle dimensioni e dalla complessità.
Ambedue (Stato e famiglia) rispondono ad una regola fondamentale: per sanare un bilancio occorre o guadagnare di più (aumentare le entrate fiscali) o tirare la cinghia (ridurre le spese) o fare debiti (aumentare il deficit).
In un programma elettorale serio come prima cosa andrebbe pertanto indicato come si intende procedere in campo economico: aumentare le tasse, o fare debiti, o ridurre le spese (oppure, ovviamente, un mix delle tre cose).
A settant’anni da questa semplice (addirittura ovvia) considerazione di Einaudi, verso quale campagna elettorale ci stiamo avviando? Dalle prime avvisaglie, c’è da temere che la solita serie di promesse irrealizzabili abbia un unico scopo: solleticare gli istinti dei propri potenziali elettori (ritenuti evidentemente incapaci di un ragionamento serio ed equilibrato in campo economico).
Nei fatti, Bersani promette l’introduzione di una patrimoniale sui grandi capitali. Una tassa che, vista la struttura di grandi capitali privati (tenuti all’estero o in società di comodo), finirebbe per dare un gettito molto limitato e per colpire soprattutto grandi società, assicurazioni, fondazioni, enti che avrebbero invece bisogno di maggiori capitali per investire sul mercato (sarebbe cioè una misura recessiva in un mercato già in difficoltà).
Berlusconi promette di togliere “ipso facto” l’Imu sulla prima casa: misura che dovrebbe inevitabilmente essere compensata o da un aumento del debito (impossibile per i vincoli che abbiamo) o da un aumento delle entrate (cioè delle tasse).
Quello che non vediamo assolutamente nei programmi dei due contendenti “storici” è un qualsiasi accenno a quanto affermava Einaudi: se si riducono le entrate (o non si aumentano di molto) e non si possono fare altri debiti, l’unica possibilità è ridurre le spese.
Parlare di una riduzione di spese è certamente una mossa impopolare: va a toccare interessi e rendite consolidate, può far perdere voti, ma (come da sempre sostengono i Comitati) è l’unica che possa davvero farci uscire da questa situazione. Si devono abolire enti inutili (province, piccoli comuni, comunità montane), semplificare e ridurre burocrazia e organi di governo, limitare il numero di coloro che vivono di politica (in Italia sono 2 milioni!).
La differenza, diceva De Gasperi, tra un politico e un uomo di Stato è che il primo pensa alle elezioni e il secondo ai destini dello Stato:
uomo di Stato cercasi…
Angelo Gazzaniga