La “storia” di quanto avvenuto al Monte dei Paschi di Siena si può riassumere in breve.
- per diventare la terza banca italiana si è deciso di acquistare Antonveneta. Costo: 9 miliardi di euro (cioè 18000 miliardi di vecchie lire, l’equivalente di una piccola manovra annuale). Piccolo particolare: la stessa banca era stata acquistata pochi mesi prima dal Banco Santander (grande banca spagnola legata all’Opus Dei) per 6 miliardi. Ovvio sospettare (Andreotti diceva che a pensar male si faceva peccato ma ci si azzeccava) una maxi tangente (escludendo l’assoluta incapacità dei responsabili del Monte).
- Per trovare tutti questi soldi occorreva un aumento di capitale di 6 miliardi, ma la Fondazione (proprietaria del Banco con il 51% delle azioni) non li aveva tutti: il risultato avrebbe potuto essere la perdita del controllo del Monte.
- Ecco allora la brillante idea, tipica della “finanza creativa”: emettere 1 miliardo di obbligazioni tali da essere calcolabili come capitale. Per essere appetibili queste obbligazioni garantivano un interesse del 10% annuo.
- Per avere i fondi necessari a pagare questi interessi, ecco apparire i famigerati derivati, CDO, e altri che hanno portato alla situazione odierna.
Cosa ci dovrebbe insegnare tutta questa vicenda?
- I sistemi di controllo e i limiti posti all’attività delle grandi banche sono palesemente insufficienti: si interviene a cose fatte. Allora, dato che sono troppo grandi per fallire (il famigerato “too big to fail”), deve necessariamente intervenire lo Stato (cioè noi) con i nostri soldi: troppo facile e troppo bello. Occorre controllare prima e bene (non è sufficiente dire “la Banca d’Italia è stata ingannata”).
- Attualmente è di moda (non solo presso la politica, ma anche tra giornalisti, economisti, ecc) affermare che le banche non devono essere “banche d’affari”, ma “banche del territorio” e “banche di sistema”. Purtroppo abbiamo constatato un’altra volta che cosa si intenda con questi termini in Italia (e non solo: basti pensare alle Caixe spagnole e alle Sparkassen tedesche…). Non certo banche che lavorino a favore del territorio su cui risiedono aiutando imprese, singoli cittadini in difficoltà o che desiderano allargare o iniziare la propria attività, appoggiando iniziative sociali o caritative, ma banche che servono a mantenere il consenso, il controllo del territorio aiutando solo chi è contiguo a certe parti politiche: anche a Siena si è sempre detto che “non si muove foglia senza che il Monte lo voglia…”. In questo modo, anziché appoggiare le iniziative sane, favorire l’economia secondo le leggi del mercato e della concorrenza si finisce invariabilmente per soffocare ogni iniziativa, drenare mezzi a favore di chi ha il consenso del politico.
- I rimedi sembrano alla fin fine peggiori del male: si sono emessi i Tremonti bond (a proposito: perché non si chiamano Berlusconi bond?) e poi i Monti bond per quasi 5 miliardi per salvare la banca. Queste obbligazioni, è vero, hanno un rendimento molto alto, ma verranno rimborsati in contanti solo se il Monte riuscirà a farlo, altrimenti quest’ultimo li rimborserà in azioni: detto in altre parole, se non riuscirà a farcela verrà nazionalizzato (e quindi pagheranno i soliti: cioè noi). Si sarebbe invece potuto seguire le leggi del mercato, come si è fatto in America: acquistare le azioni del Monte, ripulirlo e riorganizzarlo e poi alla fine (dopo 4 o 5 anni) rimetterlo sul mercato vendendo le azioni al miglior offerente. In questo modo i sacrifici non sarebbero stati richiesti solo ai dipendenti (che si vedono decurtare lo stipendio o addirittura licenziare), alle imprese del territorio (che si vedono tagliare i fidi) e alle iniziative sociali (che si vedono tagliare i finanziamenti), ma anche e soprattutto al management e agli azionisti. I manager sarebbero stati licenziati e la Fondazione Monte Paschi, vero fulcro del potere locale, avrebbe perso tutto.
In questa maniera si sarebbero finalmente applicate le leggi di un’economia sana ed efficiente, basata sul mercato e sulla concorrenza: gli azionisti guadagnano quando la società va bene e perdono quando va male.
Ma questo non si può fare perché altrimenti la politica perderebbe il proprio potere: allora si applica la solita legge dello statalismo inefficiente e parassita: si fa intervenire lo Stato quando le cose vanno male, per poi far ritornate tutto come prima
NB da notare come questa vicenda sia stata affrontata in campagna elettorale: Monti tace (perché è coinvolto il suo ambiente), Bersani fa il bullo “guai a chi ne parla” (perché la Fondazione è sempre stata gestita dal suo partito), Berlusconi confessa quello che è il suo vero interesse “non posso parlar male di Montepaschi perché mi ha sempre aiutato”
Ma chi pensa agli interessi degli italiani?
Angelo Gazzaniga