Di flat tax si parla tanto…
Prima di considerare come la flat tax viene applicata in Italia sarebbe forse opportuno fare alcune puntualizzazioni:
- innanzitutto anche in questo caso sembra viga la regola che quando si parla di tasse e finanza occorre utilizzare l’inglese: col risultato di sentire pronunce quantomeno bizzarre (da flet tax a … flet tex) e di confondere le acque; la versione italiana (“tassa piatta”) è molto più chiara e comprensibile
- la flat tax non è altro che un metodo di tassazione. Esattamente come la proporzionale, la patrimoniale o le imposte sui consumi
- quando si discute di sistemi fiscali occorre precisare sempre una cosa: si possono confrontare i diversi sistemi solo a parità di gettito, cioè se si presuppone che producano allo Stato lo stesso importo, altrimenti si confrontano le pere con le mele.
Partendo da quest’ultimo presupposto si comprende come quando si parla di “flat tax” si voglia sottintendere anche un’altra cosa: un taglio delle tasse. Infatti una tassa piatta applicata alla tassazione sulle persone (l’Irpef per intenderci) per dare lo stesso gettito di adesso dovrebbe essere attorno al 30/35% (come hanno calcolato “laVoce.info” e l’Istituto Bruno Leoni). Aliquote inferiori daranno meno gettito.
Ma per avere un’aliquota per lo meno uguale a quella applicata adesso in media ci sono solo tre possibilità: - aumentare il debito (che in Italia è già stratosferico e che rappresenta un’incognita per il nostro futuro)
- tagliare i costi, soprattutto quelli improduttivi ( impresa che si è dimostrata quasi impossibile per qualsiasi governo)
- tagliare le prestazioni offerte dallo stato (che già sono in molti casi ai minimi termini): ecco il vero problema di una flat tax.
Tutti gli altri ostacoli sarebbero superabili (per garantire una certa progressività sarebbero sufficienti le detrazioni concesse ai meno abbienti e alla famiglie) e con la flat tax si avrebbe un grosso vantaggio (che è quello da tutti riconosciuto a questo sistema fiscale): essere un sistema semplice, trasparente e di facile applicazione.
Ma è proprio questo il problema: il tutto funziona se si applica un’unica tassa piatta a tutti i redditi indistintamente (salvo le detrazioni suddette). Invece in Italia stiamo facendo l’opposto: esiste attualmente un’imposta progressiva sul reddito (l’Irpef) e tante flat tax per singoli tipi di reddito.
Infatti già esistono in Italia una flat tax sui redditi da capitale, una su certi tipi di locazioni (quelle a canone agevolato), una sui redditi da lavoro autonomo sotto una certa soglia, una sui redditi di cittadini esteri che vengono a mettere in Italia la residenza, ecc. ecc.
In questo modo si ottengono solo gli effetti negativi di un sistema complesso, farraginoso e iniquo, irto di eccezioni, regimi particolari ed esenzioni che rendono il tutto poco trasparente, favoriscono comportamenti distorsivi e disparità di trattamento in casi simili, agevolando, al solito, i più furbi e quelli che possono scegliere la tassazione preferita.
A solo titolo di esempio basti notare che un ricco possidente di appartamenti affittati paga il 21% di imposte qualunque reddito esso ne ricavi (perché l’imposta semplificata sugli affitti è una delle tante flat tax che già abbiamo), mentre un qualsiasi altro cittadino con un reddito di 24000 euro (cioè 2000 euro al mese) paga un’aliquota del 27%: ingiustizia è fatta!
È il solito problema delle riforme fatte a metà: si cerca di non scontentare nessuno, di procedere per gradi, quando invece in questi casi sarebbe opportuno o ristudiare da capo tutto il sistema e applicarlo con coraggio e decisione come si è fatto con la riforma Vanoni (passaggio dal sistema induttivo a quello deduttivo) o con l’introduzione dell’IVA (che ha sostituito in toto la precedente IGE) oppure ammettere che la flat tax ha come unico (lodevolissimo) scopo la riduzione del carico fiscale. Ma allora sarebbe sufficiente ridurre le aliquote esistenti e rimodulare la curva della tassazione IRPEF.
Veramente indispensabile è invece semplificare tutto il sistema: ridurre esenzioni, aliquote di favore, eccezioni e non crearne altre. Altrimenti continueremo ad avere un sistema tributario in cui redditi uguali ma che provengono da fonti diverse vengono trattati con aliquote diverse: il massimo dell’ingiustizia.
di Angelo Gazzaniga