L’INFERNO DI MARILYN MONROE ERA SIGMUND FREUD, NON JFK

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A margine dell’ultima rivelazione sulla morte di Marilyn Monroe

C’è una questione che riguarda tutti noi e della quale purtroppo l’informazione non si occupa.
E’ la morte di Marilyn Monroe, la star di Hollywood suicidata a 36 anni dall’allievo di Sigmund Freud Ralph Greenson (stando alla documentatissima accusa di due eccellenti psichiatri come Liliana Dell’Osso e Riccardo Dalle Luche che hanno scritto insieme “L’altra Marilyn– Psichiatria e psicoanalisi di un cold case”) nel 2015.
Gli autori scartano in maniera assai credibile l’ipotesi del coinvolgimento nella morte di Norma Jean Baker dei fratelli John e Robert Kennedy, accreditando invece quella dell’iniezione mortale di cloralio idrato per clisma da parte dello psichiatra/analista Greenson la sera del 4 agosto 1962.
Ne esce un quadro terribile sull’ideologia mostruosa della psicoanalisi, che avrebbe letteralmente fatto venire alla superficie la schizofrenia nascosta della disgraziata attrice del Happy Birthday Mr President. Perche? Perché 1) mettendo sotto analisi freudiana una persona geniale con turbe bipolari dell’umore – si pensi ad esempio a Winston Churchill – si avalla un “itinerarium in se ipsum” (chi scrive cita Liliana Dell’Osso), una percorso dentro se stessi il cui obiettivo non è affatto la cura, ma la scoperta di se stessi (sic), 2) perché Greenson manipolava consapevolmente la fragile attrice con l’induzione del senso di colpa e la “somministrazione di psicofarmaci senza alcun razionale” (sempre Dell’Osso e Dalle Luche) operando addirittura come uno Svengali: cioè un manipolatore dell’altrui libertà. Ecco la conclusione della professoressa Liliana Dell’Osso che ipotizza nella sua nuova autopsia psicologica una lieve schizofrenia con disturbo di Asperger nel fenotipo alla Marilyn: “Non si può, a nostro avviso, archiviare la questione Greenson esclusivamente come uno dei tanti “disastri della psicoanalisi”, né cedere alle illazioni che lo vedono coinvolto attivamente nella morte dell’attrice, autore di un omicidio colposo a causa della sua tracotanza narcisistica e dell’incompetenza nella somministrazione dei farmaci…”.
Il punto è un altro: Marilyn sarebbe stata una vittima della psicoanalisi, come sembra chiarire purtroppo benissimo la lettera che l’attrice scrisse il 2 marzo 1961 dal manicomio di New York dove era stata internata dalla collega di Greenson Marianne Kris (figlia di Oskar Rie, amico intimo di Sigmund Freud)– indirizzata allo stesso Ralph Greenson che un anno dopo l’avrebbe uccisa con un’overdose accidentale di farmaci. “Ultime parole dall’inferno”, come ha scritto Nicolas Bersihand:
“2 marzo 1961,
Caro Dottor Greenson, ho chiesto a May Reis (l’assistente personale di Marilyn Monroe, ndr) di battere a macchina questa lettera per me, poiché la mia scrittura non è chiaramente leggibile, ma ho anche incluso queste note e capirà cosa voglio dire.
M. M
Ho appena guardato dalla finestra dell’ospedale e ormai, laddove la neve aveva ricoperto tutto, tutto è un po’ verde: l’erba e i piccoli germogli, quelli che non perdono mai le foglie (anche se gli alberi non sono ancora molto incoraggianti), i rami nudi e lugubri annunciano forse la primavera e sono forse segno di speranza.
Lei ha visto Gli Spostati? In una delle scene, potrà vedere fino a che punto un albero possa apparirmi strano e nudo. Non so se si vede distintamente nello schermo… Non amo la maniera in cui certe scene sono state montate. Da quando ho cominciato a scrivere questa lettera, ho pianto quattro lacrime silenziose. Non so veramente perché.
La notte scorsa sono rimasta di nuovo sveglia tutta la notte. A volte mi domando a cosa serva il tempo notturno. Per me praticamente non esiste, e tutto mi sembra come un lungo e spaventoso giorno senza fine. Ed ho anche provato ad approfittare della mia insonnia in modo costruttivo e ho cominciato a leggere la corrispondenza di Sigmund Freud. Aprendo il libro per la prima volta, ho visto la fotografia di Freud e sono scoppiata in singhiozzi: aveva l’aria molto depressa (quella foto deve essere stata scattata poco prima della sua morte), come se fosse morto da uomo disilluso…
Ma il dottor Kris mi ha detto che soffriva molto fisicamente, cosa che avevo già letto nel libro di Jones. Ma penso anche di avere ragione, mi fido della mia intuizione perché percepisco un triste tedio sul suo viso. Il libro prova (anche se non sono sicura che si dovrebbero pubblicare le lettere d’amore di qualcuno) che era ben lontano dall’essere impacciato! Mi piace il suo senso dell’umorismo dolce e un po’ triste, il suo spirito combattivo che non l’ha mai lasciato. Non sono ancora andata troppo avanti nella sua lettura perché sto leggendo allo stesso tempo l’autobiografia di Sean O’ Casey (le ho già detto che un giorno mi ha inviato una sua poesia?). Questo libro mi sconvolge molto, nella misura in cui si può rimanere sconvolti da questo genere di cose.
Alla clinica Paine Whitney mancava del tutto l’empatia, il che mi ha fatto molto male. Sono stata interrogata dopo essere stata messa in una cella (una vera cella in cemento e tutto il resto) per persone veramente disturbate, i grandi depressi, (solo che avevo l’impressione di essere dentro una prigione per un crimine che non avevo commesso). Ho trovato questa mancanza di umanità peggio che barbara. Mi hanno chiesto perché non stavo bene qui (tutto nella stanza era chiuso a chiave: le lampade elettriche, i cassetti, il bagno, gli armadietti, c’erano delle sbarre alle finestre… le porte delle celle erano come finestre così che i pazienti fossero sempre visibili, si vedevano sui muri le tracce delle violenze dei pazienti precedenti).
Ho risposto: “Eh beh, dovrei essere svitata per farmelo piacere”. Poi delle donne si sono messe a urlare nella loro cella, e credo urlassero perché la vita gli era diventata insopportabile… In quei momenti, mi sono detta che uno psichiatra degno di questo nome avrebbe dovuto parlare con loro. Per alleggerire la loro miseria e la loro pena, anche solo per un momento…”.
C’è un particolare che quasi sempre sfugge nel quadro complessivo di questa vicenda più attuale che mai. E’ quasi incredibile, ma… in una delle più aggiornate fonti informative del pianeta quale è Wikipedia, alla voce Marianne Kriss si legge:“Figlia di Oskar Rie, amico di Sigmund Freud, e Melani Bondy, divenne amica di Anna Freud, lasciò l’Austria dopo l’invasione del 1938. Dopo la morte di Ernst Kris (28 febbraio 1957), ebbe come cliente come Marilyn Monroe. Fu lei a chiedere a Ralph S. Greenson di assistere l’attrice. Fu una delle beneficiarie del testamento dell’attrice (ebbe il 25% del bilancio, che devolse ad una fondazione di Anna)”. La quale fondazione era gestita quantomeno secondo criteri familiari, diciamo (sic!). In altre parole è assai verosimile che la figlia devota di Sigmund Freud Anna, la psicoanalista Marianne Kris e l’allievo di Freud Ralph Greenson, coinvolto nella morte dell’attrice per un’iniezione mortale di Nembutal la sera del 4 agosto 1962, si siano presi una parte del patrimonio di Marilyn Monroe. Mica scemi, eh…
Tutto chiaro adesso?
Lecito è avere qualche dubbio ex post sull’efficacia della psicoanalisi come terapia. Non vi pare?
Urge la seconda edizione del volume L’altra Marilyn – psichiatria e psicoanalisi di un cold case”.
Un caso irrisolto dove l’inferno di Marilyn era Freud, non Jfk.

di Alexander Bush

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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