La vicenda dei due marò italiani riconsegnati all’India è da manuale: insegna come non si deve fare politica estera.
Il comportamento del governo italiano, sin dall’inizio della vicenda, è definibile a dir poco avventuroso:
- quando si mandano soldati in missione all’estero, la prima preoccupazione dovrebbe essere quella di trovare accordi con il Paese presso il quale o nel quale devono operare: norme d’ingaggio, competenze, sfere di giurisdizione: basti pensare al trattato tra USA e Italia in base al quale i militari americani vengono giudicati per qualsiasi evento accaduto nell’esercizio delle loro funzioni da una corte americana (qualcuno ricorderà il caso del Cermis…)
- quando avviene un episodio di interpretazione per lo meno dubbia (la reazione dei marò) prima norma è quella di non far approdare la nave nel territorio dello Stato interessato, ma di trattenerla comunque in acque internazionali (a meno di un atto di forza che porrebbe l’altro Stato nella condizione di aver esercitato un atto contro il diritto)
- una volta preso atto dell’arresto dei propri marinai che avevano sparato nell’esercizio delle proprie funzioni, si sarebbe dovuto protestare nella maniera più energica e nelle sedi internazionali più appropriate minacciando sanzioni diplomatiche (oppure accettare serenamente la giurisdizione indiana sull’accaduto)
- una volta ottenuto il rientro in patria sotto cauzione (l’impegno dell’ambasciatore non è altro che una cauzione morale) si sarebbe dovuto affermare sin da principio che essi sarebbero ripartiti soltanto ad una condizione ben precisa e ratificata da ambo le parti
- affermare che non sarebbero tornati e reintegrarli in servizio senza alcun giudizio o valutazione riguardo al loro comportamento non è stata che una provocazione verso uno Stato che si è sempre proclamato amico e confidente nell’onore dell’Italia
- far tornare indietro i marò dopo le minacce dell’India sbandierando un’ipotetica assicurazione che non si parla di pena di morte (e se fossero condannati all’ergastolo?) è una conclusione degna di tutta la vicenda: appunto il “ruggito del topo” che viene smascherato appena la questione si fa seria….
In conclusione:
- i due restano in India e per ora non si è visto né un processo giusto né una prova convincente;
- l’India (grande Paese democratico senza dubbio, ma con grandissima corruzione e inefficienza) ha fatto la figura del grande Stato offeso (il premier ha affermato che: “noi con un piccolo stato come l’Italia non trattiamo sottobanco…)
- l’Italia non ha mancato di fare la solita figura: Paese di pasticcioni, furbastri e alla fin fine innocui Pulcinella
- e pensare che il tutto è stato gestito da un professionista come il ministro Terzi (ambasciatore di carriera…) che alla fine, sia pure dopo molti tentennamenti e con molti sospetti e dietrologie (altro aspetto tipico della nostra Italia: non c’è evento pubblico che non abbia interpretazioni maliziose o di secondi fini) si è almeno dimesso…
Angelo Gazzaniga