Finito il lockdown, gabbatu lo santu. Come le vicende dei 13 arresti per la metropolitana milanese confermano in maniera inequivocabile
Si sta delineando ormai lo scontro a somma zero tra il rigore luterano dei paesi anglosassoni e il buonismo dei paesi mediterranei; i primi imperniati sulle articolazioni plurime del capitalismo dalla scuola alla sanità, i secondi sul falso mito dell’egualitarismo socialcomunista.
Ottimo era stato il cronista di razza Piero Colaprico nella sua analisi “Almeno l’onore della verità”, pubblicata su la Repubblica dell’8 aprile 2020: “L’assessore regionale alla Sanità Giulio Gallera, che ha pur legittime ambizioni da sindaco del centrodestra, sostiene con sicurezza liquidatoria che i morti di Covid a marzo al Pio Albergo Trivulzio sono stati 18. Ma, poco dopo, lo stesso Pat, in un documento ufficiale, dichiara che “dal primo al 7 aprile al Pio Albergo Trivulzio sono deceduti 27 ospiti che presumibilmente avevano contratto il virus”. Con questa contraddizione diventa lampante una danza macabra sulle cifre che non meritano né i parenti di chi non c’è più né noi cittadini. La Regione, responsabile dell’istituto, ha invitato il Comune a nominare un suo membro per la commissione d’inchiesta. E’ stato scelto Gherardo Colombo, ex pubblico ministero di Mani Pulite, che proprio al Pio Albergo Trivulzio iniziò ormai ventott’anni fa l’inchiesta su Tangentopoli…”. Facciamo dunque un passo indietro, per storicizzare il discorso. Se 28 anni dopo, Mani Pulite si ripete smentendo la storica battuta di Karl Marx – “La storia si ripete due volte: la prima volta è tragedia, la seconda è farsa” – vuol dire che… Mani Pulite riguarda i cittadini, non la politica.
Chi scrive menziona un episodio personale che ha la sua importanza. Nel settembre 2014 l’allora direttrice della Amiu a Genova Laura Gilli, chiamata a sostituire l’avvocato Grondona arrestato per
vicende di corruzione legate alla manipolazione degli appalti targati Amiu, telefona a chi scrive mentre si trova al Tribunale di Genova – dato che sa per flatus vocis, che ho un rapporto di parentela con Piero Ottone: “Tu per caso conosci Raffaele Niri (giornalista, ndr)?”, e io – con tutta sincerità – le rispondo: “No, non so chi sia”; la sua risposta è stata a dir poco tranchant: “Tutte le sfortune capitano a te” e ha buttato giù il telefono – quando in seguito le ho telefonato, ella non ha risposto più – da allora la Gilli, che io corteggiavo al limite della disperazione, non s’è più fatta viva; orbene, su queste basi voi pensate che si possa realizzare una mentalità capitalistica sia a Genova che nel resto d’Italia? L’italiano medio vuole la medietà, non il “venture capital” basato sull’assunzione del rischio come elemento della crescita sociale, e la motivazione è una sola a parere di chi scrive: perché è piccolo-borghesemente cattocomunista.
Stava morendo il capitalismo di mercato allora come oggi, e Cosa Nostra attaccava per queste ragioni – non per altre – la democrazia. Era il marzo del 1992, quando la giornalista Marcella Andreoli intervistò con un colpo da maestro l’ex “mariuolo” del Pio Albergo Trivulzio in quota Psi Mario Chiesa uscito da una lunga custodia cautelare, il quale spiegava con brillante intelligenza analitica – è il caso di dire, una straordinaria intelligenza sprecata – la genesi delle indagini di Mani Pulite: “… Esordisce: “Il sistema politico aveva perso il senso della realtà: l’illecito veniva scambiato per lecito e il mondo economico era ben lieto di aver creato, con il gioco delle tangenti, un sistema bulgaro dove la concorrenza tra imprenditori era stata bandita. Il degrado aveva raggiunto tutti: sindaci, assessori, presidenti di enti pubblici, ma anche i gradi più bassi della burocrazia. A Milano si pagavano cani e porci. Non credo che qualche politico, ad alto livello ovviamente, abbia dovuto chiedere soldi. C’era il codazzo di gente pronta a pagare qualunque cifra. Il problema non è Mario Chiesa, che certo i suoi soldi li ha presi, ma il sistema bastardo dove venivano falciati gli imprenditori al di fuori del cartello bulgaro”. Questo è un passaggio di importanza nevralgica nell’intervista a Chiesa: imprenditori falciati al di fuori del cartello bulgaro vuol dire impossibilità tecnica di uno Steve Jobs italiano; in linea subordinata vuol dire paralisi della crescita sociale, diminuzione del Welfare State, povertà incipiente e infine abbassamento della soglia delle difese immunitarie della democrazia rappresentativa di fronte agli attacchi militari di stampo eversivo della criminalità organizzata. Operava un sistema dove – osservava Chiesa – non era possibile il capitalismo tout court, più per responsabilità diretta della società civile che per la classe dirigente ad essa gerarchicamente sovraordinata: “Responsabili più dei politici? “Certo: al Sud come al Nord. Là con i fondi pubblici. In Lombardia con la logica bulgara. Dobbiamo mandare un nostro uomo a far l’assessore ai Lavori pubblici? Non importa che sia socialista, democristiano, comunista. Va bene quello che, meglio di altri ma comunque non diverso dagli altri, è in grado non già di addomesticare gli appalti, che sarebbe poca cosa, ma di impedire che si crei un minimo di libero mercato. Salva doveva essere solo la logica dei gironi danteschi. Nel primo, le imprese garantite per i lavori pubblici a cavallo del miliardo. Nel secondo caso quelle garantite per opere sui 3 miliardi. E così via, girone su girone”.
di Alexander Bush