La sentenza definitiva nel processo Mediaset è stata alla fine una sconfitta per tutti:
- una sconfitta per la magistratura: arrivare alla sentenza (quasi) definitiva nel 2013 per fatti accaduti nel 1997-99 è semplicemente scandaloso. Attendere 14 anni per avere una sentenza definitiva (anche riconoscendo le tattiche dilatorie frapposte dalla difesa) inficia comunque la credibilità di un processo: certezza del diritto significa anche tempi certi e possibilmente brevi.
- Una sconfitta per i sostenitori di Berlusconi: sostenere che ci sia stato accanimento giudiziario è lecito, ma affermare che la sentenza è solo politica, significa dichiarare che tre collegi giudicanti, di tre livelli diversi, hanno deliberatamente e volontariamente travisato i fatti per condannare un innocente. Significa in altre parole delegittimare coscientemente la magistratura. Sostenere che una sentenza definitiva può essere emessa non in seguito ad un errore (sempre possibile), ma in seguito ad un’attività dolosa dei giudici significa minare alla base quella fiducia che è fondamentale in un moderno Stato di diritto: significa dare addio a quel famoso “ma ci sarà un giudice a Berlino” che è la garanzia per ogni cittadino di essere tutelato dalla legge.
Chiunque potrà sostenere di essere vittima di un complotto dei giudici e comportarsi di conseguenza.
- Una sconfitta per gli avversari di Berlusconi che inneggiano alla fine della sua carriera: in uno Stato di diritto e soprattutto in uno Stato veramente democratico l’avversario va battuto sul piano della politica, attraverso il risultato delle urne e non grazie ai giudici.
- Una sconfitta per politici come il senatore Bondi che, pur avendo la responsabilità di essere uno dei coordinatori di un partito di governo, nel suo impeto cortigianesco ha “preteso” dal Presidente della Repubblica una grazia immediata. Dimostrando in questo modo che un senatore della Repubblica non conosce neppure le procedure e le modalità per ottenerla, e soprattutto che ritiene la grazia un atto dovuto grazie alla posizione e alla forza politica del condannato; un bellissimo esempio di giustizia da terzo mondo: spietata con i deboli e debole con i poteri forti.
- Una sconfitta anche e soprattutto per tutta la classe politica: nel pieno di una gravissima crisi economica che rischia di diventare sociale, in attesa di riforme indispensabili (quali la legge elettorale, la riduzione dei costi della politica, la riforma dello Stato), il dibattito torna su una possibile crisi di governo, su prossime elezioni (con conseguenze potenzialmente devastanti per l’economia del Paese) che nessuno vorrebbe, ma che tutti sotto sotto sperano di vincere.
Ma che fare?
Secondo i Comitati andrebbe anzitutto affrontata una riforma vera della magistratura: una riforma che metta al centro gli interessi del cittadino e che ridia a tutti quella fiducia nei magistrati che è il vero pilastro di uno Stato di diritto. Separazione delle carriere, responsabilità dei giudici per comportamenti dolosi, meritocrazia negli avanzamenti di carriera, sburocratizzazione e informatizzazione dei tribunali sono provvedimenti relativamente semplici e poco costosi. Il nerbo di una riforma seria che aspettiamo da decenni (vedi il nostro libro “Terzo strapotere”).
Per quanto riguarda l’azione penale nei confronti dei politici si potrebbe riesumare la vecchia immunità “alla francese”: nessuna azione per qualunque motivo nei confronti di chi occupa cariche istituzionali nel periodo in cui è in carica: in Francia funziona, perché non dovrebbe funzionare da noi?
Angelo Gazzaniga
Riguardo al secondo punto, è l’intervista concessa al «Mattino» dal Presidente della Sezione feriale della Cassazione che ha condannato Berlusconi, Antonio Esposito, ad avere chiarito che cosa sia ormai in Italia “l’indipendenza” della magistratura. E’ lei a delegittimarsi da sè, avendo perso il senso delle proporzioni, non sono le critiche doverose che da più parti – Comitati compres- le vengono rivolte