Di derivati e di possibili conseguenze sui conti pubblici si è parlato molto in questi ultimi tempi: c’è stata una richiesta della Corte dei Conti, risposte da parte dei ministeri competenti ecc ecc.
In se per se lo scopo e la funzione dei derivati è abbastanza chiara: si tratta di contratti che vengono (o meglio dovrebbero essere) stipulati come assicurazione contro le oscillazioni dei tassi.
Anche il loro rischio è abbastanza evidente:
- sono contratti stipulati con banche e quindi non necessitano di alcuna negoziazione pubblica, non sono sottoposti ad alcun controllo e non necessitano di particolare pubblicità
- sono stipulati per somme ingenti (e le relative perdite possono diventare altrettanto disastrose)
- vengono spesso utilizzati per fini meramente speculativi
- la loro massa complessiva è incredibile (superiore alla somma dei bilanci di tutti i paesi del mondo)
- essendo particolarmente complessi e di difficile interpretazione si prestano a speculazioni e raggiri da parte di chi li stipula (basti pensare alle centinaia di derivati utilizzati dai comuni italiani e risoltesi spesso in perdite disastrose per i comuni e utili faraonici per le banche)
In questi ultimi tempi abbiamo avuto esempi di risultati positivi e negativi: Banca Intesa ha salvato i propri bilanci proprio grazie a dei derivati stipulati poco prima dell’aumento dello spread, mentre il Montepaschi è stato praticamente travolto dai derivati stipulati per “coprire” la catastrofica acquisizione di Antonveneta.
Ma il problema che si presenta ora è diverso: si tratta di derivati stipulati dallo Stato italiano per garantirsi da eventuale perdite sui cambi (anche se alcuni insinuano che il vero scopo fosse un altro: “truccare” i bilanci per favorire la nostra entrata nell’euro).
Questo ci pone alcuni problemi:
- essendo contratti privati possono essere stipulati liberamente da chiunque: ma una cosa è se questi contratti vengono stipulati da un privato cittadino utilizzando e rischiando il proprio denaro , una cosa se questo viene fatto da funzionari pubblici con denaro dello stato
- è indubbio che l’indicazione delle perdite sia solo potenziale (è questa la tesi del Tesoro): queste perdite affioreranno (e dovranno essere pagate) solo nel momento in cui il derivato verrà a scadere, ma si tratta di importi molto rilevanti (nel 2011 il Tesoro ha chiuso un derivato con la JP Morgan pagando qualcosa come 3,1 miliardi di euro!)
- in ogni bilancio di una ditta qualsiasi questa indicazione (delle possibili perdite) sarebbe obbligatoria e indispensabile per poter valutare correttamente la situazione finanziaria della società: perché questo non deve valere per lo Stato?
Ed ecco quindi un’altra riforma necessaria anche se poco eclatante: quella del bilancio dello Stato che attualmente tra criteri di cassa e di competenza è un guazzabuglio praticamente inestricabile.
Farlo somigliare ad un normale bilancio civilistico sarebbe un’operazione indubbiamente non semplice, ma a costo zero: un’operazione che permetterebbe di comprendere più facilmente come funziona la macchina dello stato e con quali costi.
Sarebbe inoltre un passo avanti importante per quella democrazia diretta da sempre auspicata dai Comitati: per i cittadini sapere e capire come funziona (e come spende) lo Stato, capire come vengono utilizzati i loro soldi sarebbe fondamentale per poter meglio decidere al momento del voto .
Angelo Gazzaniga