OPERAZIONE PIAZZA DELLE CINQUE LUNE (IV) C’È DEL MARCIO IN INGHILTERRA: ARRIVA IL “LUPO SOLITARIO” DEL SISMI (PARTE IV DEL CASO EMANUELA ORLANDI)

Data:


“Dottoressa Leasly Regan Department of Obstetrics and Gynaecology
Flavio Carboni vende la borsa di Roberto Calvi a Karol Wojtyla: il prezzo e’ di 6 miliardi e 234.727.000 lire

“Dopo 35 anni sta arrivando il momento della verità”.
Pietro Orlandi, 2018

“Speriamo in una svolta anche per lei”
La sorella di Mirella Gregori

E’ il luglio del 2021 mentre scrivo queste righe e metto insieme per la prima volta tutti i documenti giudiziari e storici, dopo essermi occupato per anni del cold case di Emanuela Orlandi senza la conoscenza che ho acquisito adesso e con una colpevole sottovalutazione di Mario Almerighi; non lo avevo capito, adesso sì: la sparizione della ragazzina figlia di un messo pontificio, non di un’alta personalità ecclesiale (al contrario di quello che dice l’istrionico Antonio Mancini, collaboratore di giustizia della Banda della Magliana!) è la smoking gun del tramonto dell’Occidente, di cui il Vaticano è un pilastro – nell’idiosincrasia tutta italiana della Chiesa cattolica alla Mano Invisibile di Adam Smith. Orbene, stanno entrambi crollando finanziariamente e moralmente sotto la pressione disgregante della decadenza tremenda delle istituzioni mondiali che è arrivata al punto massimo di gravità con il Covid-19 – che è un sintomo della fine imminente della civiltà occidentale tra droga, sesso, corruzione e psicosi collettive.
Dividiamo la IV parte del cosiddetto “caso aperto” di Emanuela Orlandi in due capitoli, cominciando dalla ricostruzione tecnicamente probante – come fossimo in un processo penale ai sensi dell’art. 27 della Costituzione: la “responsabilità penale è personale” – dei rapporti penalmente rilevanti tra il faccendiere della Banda della Magliana Flavio Carboni, che portava i formaggi sardi al principe Carlo Caracciolo e Karol Wojtyla, come mandante prima dell’uccisione di Roberto Calvi, Presidente del Banco Ambrosiano e poi della ricettazione della borsa di Calvi: ci sono le prove dell’“affectio societatis”, e ci consentiranno di arrivare anche alla comprensione quasi completa del buco nero di Emanuela che oggi è molto probabilmente reclusa in un manicomio nel centro di Londra all’età di 68 anni. Peggio di così, non poteva andare.
Ma cominciamo dalla fine, poiché c’è una scena che è indimenticabile e che è rimasta impressa nella memoria di chi scrive: è la scena dell’incontro tra Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, e Giovanni Paolo II in casa della famiglia Orlandi, che a suo modo (Wojtyla, non gli Orlandi) stava scontando la tragedia di Donald Crowhurst: il famigerato passo più lungo della gamba; Giovanni Paolo II ha vissuto il rovesciamento della “sindrome di hybris” nell’attentato di Ali Agca il 13 maggio del 1981 in Piazza San Pietro esattamente un mese prima dell’impiccagione di Roberto Calvi sotto il Blackfriars Bridge, ma poi non si è fermato nell’alleanza di ferro con Marcinkus, privilegiando orgogliosamente la linea dell’Opus Dei contro il partito dell’Ostpolitik, guidata invece dal segretario di Stato Agostino Casaroli (che Marcinkus non poteva nemmeno vedere). E ha vissuto così il doppio trauma della “covert action” di Enrico De Pedis e Pippo Calò che conosceva nella sua più intima scabrosità, ma non poteva rivelare all’opinione pubblica e meno che mai agli Orlandi: Wojtyla si ammala gravemente, tra l’affanno post attentato e lo stress post traumatico del sequestro del 22 giugno 1983 (in quanto era legatissimo alla famiglia degli Orlandi). Ma non si era forse ammalato gravemente anche Vincent Van Gogh nel dicembre del 1888, quando – in piena sindrome di hybris – aveva fallito il coinvolgimento di Paul Gauguin nel progetto utopico della “comunità gialla” degli artisti? Racconta Pietro Orlandi su Micromega, e i brividi corrono lungo la schiena: “… Religiosa omertà – Il Vaticano io l’ho sempre considerato casa. Mio nonno vi era entrato nel 1920 come stalliere, mio padre ci ha lavorato prima come elettricista e poi come messo pontificio. Il nostro cortile erano i giardini vaticani e vi abbiamo passato un’infanzia felice. Anche se ero piccolino mi ricordo di Giovanni XXIII che si fermava a salutarci. Era come un paesino. E ho continuato a considerarlo casa per tanti anni. Mia madre ancora abita lì. Tutto ciò per dire che noi nutrivamo massima fiducia nelle istituzioni vaticane. Per cui sentir dire al papa che si stava occupando della questione era come sentire un capofamiglia che dice: “Non vi preoccupate, ci penso io”. E invece oggi sono convinto che Wojtyla sapesse e che abbia messo su un piatto della bilancia la verità sulla scomparsa di Emanuela e sull’altro l’immagine della Chiesa, scegliendo quest’ultima. E lo penso perché dopo i primi tempi ha permesso al silenzio e all’omertà di calare su questa storia. Dopo il Natale del 1983 passarono dieci anni prima che lo incontrassi di nuovo. Ci ricevette nel 1993, in occasione del mio matrimonio. Mi fece quasi pena, dipendeva completamente dal suo segretario. Secondo me non aveva più alcun tipo di potere. Ci chiese se ci fossero novità. E mia madre gli rispose: “Io spero torni il prima possibile. Vorrei che fosse Lei, il giorno che si sposerà, a celebrare il suo matrimonio”…”. Non occorrono altre parole, non occorrono prove.
Torneremo all’affaire Emanuela in seguito, adesso ricostruiamo la regia dell’omicidio di Roberto Calvi al Chelsea Cloister, stanza n. 881 (l’albergo per gli “uomini di colore”) con la requisitoria di Mario Almerighi, deceduto nel 2017: uno dei più grandi magistrati italiani, perché Flavio Carboni contribuì personalmente all’eliminazione del banchiere milanese per impadronirsi della borsa e del prezioso contenuto, e venderla a Giovanni Paolo II ad assassinio compiuto: quindi è riduttivo vedere l’omicidio Calvi come un fatto interno alla criminalità organizzata siciliana e capitolina.
L’allora gip capitolino Mario Almerighi giunse a queste raggelanti conclusioni non per un disegno precostituito di delegittimazione anti-clericale di Wojtyla e/o per un nostalgico desiderio di “socialismo reale” (sic!), – “Qui non è in gioco un nostalgico desiderio di stalinismo; è naturale che l’azione di Solidarnosc sia da interpretare storicamente come un fatto positivo: l’avanzare coraggioso di un movimento di liberazione fatto di milioni di lavoratori. Ma nelle scelte e nell’azione della Chiesa romana diretta dall’ex arcivescovo di Cracovia si moltiplicano le zone d’ombra e si parla addirittura, con documenti e testimonianze alla mano, di soldi della mafia impiegati per la battaglia contro il comunismo” (per citare Ferruccio Pinotti e Giacomo Galeazzi) –, ma bensì per un’indagine su un traffico di droga internazionale stile “French Connection” che aveva messo a repentaglio la sicurezza sua e quella della sua famiglia: “… Alla fine degli anni Ottanta, come giudice istruttore del Tribunale di Roma, sto svolgendo un’indagine su una vera e propria multinazionale del crimine, dedita contemporaneamente alla vendita in Europa e negli Stati Uniti di tonnellate di eroina pura, all’importazione di hashish dal Marocco e alla fabbricazione di soldi falsi: dollari, lire e valute in uso nei paesi francofoni. Nell’affare sono implicati esponenti della mafia, dei servizi segreti italiani e americani, della ’ndrangheta, del clan dei marsigliesi e della criminalità libanese e siriana. Il capo dei criminali italiani è Giulio Lena. Lena ha legami con la banda della Magliana e dirige il traffico di droga che dal Libano si espande in Italia e in America nonché quello delle importazioni dal Nord Africa. Suo fratello Fernando, invece, è un artista della falsificazione. Nel corso dell’indagine, il 20 maggio 1988, dispongo la perquisizione di una delle abitazioni di Giulio: una villa a Monte Porzio Catone, appena fuori Roma. Due agenti, controllando le pareti del soggiorno, si accorgono che in un certo tratto una di queste suona a vuoto, come se nascondesse una cavità. Non ci mettono molto a scoprire che si tratta in realtà di un pannello in truciolato di 90 centimetri per lato e uno di spessore, coperto da un quadro e dotato di una piccola serratura. Buttandolo giù scoprono una montagna di assegni e cambiali…”. E una lettera scritta dal trafficante Giulio Lena al Segretario di Stato del Vaticano Agostino Casaroli. “Giulio Lena in carcere davanti a me – Interrogato da me lo stesso giorno della perquisizione a Monte Porzio Catone, ecco cosa dichiara il beneficiario degli assegni, detenuto nel carcere di Civitavecchia: “Nel mese di aprile del 1985 Flavio Carboni mi disse di sapere dove si trovava la borsa di Calvi e di essere in grado di recuperarla dietro pagamento di circa tre miliardi di lire… Carboni mi disse anche che il Vaticano, per ottenere la borsa, avrebbe poi pagato 41 miliardi tramite la Pro Fratribus, che faceva capo a monsignor (Pavel, ndr) Hnilica, un ente in contatto col ministero degli Interni e che si occupava dei profughi dell’Est, in particolare della Polonia… Scrissi le lettere al cardinale Casaroli che mi avete sequestrato per avere una conferma della effettiva esistenza di un interesse del Vaticano al rinvenimento della borsa di Calvi”…”. Pavel Hnilica era il braccio destro di Karol Wojtyla, in posizione ancora più importante dello stesso Marcinkus all’interno dell’entourage papale. E’ anche per questa ragione, che è importante non mettere in discussione sul piano legislativo il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale: è dai traffici di droga della criminalità organizzata che il magistrato Almerighi arrivò per caso all’omicidio di Roberto Calvi, che coinvolgevano il vertice della Chiesa cattolica.

“La borsa di Calvi – Il fulcro di una sentenza discutibile:
Queste le testuali parole che i giudici della Corte d’appello di Roma scrivono nella loro sentenza: Non vi è dubbio che nei confronti dell’imputato gravino indizi consistenti: Flavio Carboni è stato la persona che, nell’ultimo periodo di vita del banchiere, ha conseguito un rapporto privilegiato con la vittima tanto che il banchiere ha confidato in lui per organizzare l’espatrio clandestino. Negli ultimi giorni di vita del banchiere, l’imputato ne ha costantemente seguito le orme tanto da essere stato presente la stessa sera del 17 giugno 1982 nel medesimo albergo londinese nel quale la vittima alloggiava e dal quale il banchiere stesso si allontanò per poi essere ucciso, ciò dopo aver dissuaso la vittima dal provvedere direttamente a trovare un nuovo alloggio. Inoltre l’imputato non ha fornito spiegazioni ragionevoli che valgano a dar conto di alcuni suoi comportamenti tra cui, in particolare, quelli tenuti in occasione del viaggio effettuato a Londra da Flavoni e del periodo trascorso il giorno 17 presso il residence dal quale si allontanò la vittima.
A fronte di quanto detto si pongono insuperabili argomenti ed elementi di segno opposto. Lo stesso attivismo del Carboni nei confronti del Calvi nelle settimane antecedenti all’espatrio non possono esser interpretati univocamente come funzionali all’iter criminis. L’imputato aveva personali interessi a che il Banco ambrosiano e il suo presidente superassero le pur gravi difficoltà finanziarie e giudiziarie in cui versavano. Si deve, in proposito, ricordare che Carboni era interessato a scongiurare la dichiarazione dello stato di insolvenza dell’istituto, avendo egli beneficiato di finanziamenti che per effetto della successiva dichiarazione di insolvenza del 25 agosto 1982 del Tribunale di Milano saranno qualificati come proventi del reato di bancarotta in danno dell’Ambrosiano… Colui che si vorrebbe callido coautore ideatore della trama e dell’esecuzione del piano omicidiario, implicante sofisticate messinscene depistanti, sarebbe lo stesso che prima e dopo la soppressione del banchiere ha seminato tracce che riconducono inequivocabilmente alla sua persona che gli investigatori qualche ora dopo l’omicidio già avevano individuato. (“Come dire:”, commentò Almerighi contestando la contraddittorietà del verdetto assolutorio a carico di Carboni, “siccome l’assassino ha lasciato tracce allora non può essere lui, ndr). Carboni ha certamente mentito ma, a fronte dei temibili interessi sottesi alla vicenda, non vi è prova che con ciò abbia voluto coprire sue responsabilità piuttosto che quelle di altri (Come dire: siccome l’assassino ha lasciato tracce allora non può essere lui. Secondo elementari principi di diritto, questo integra gli estremi del “concorso nel reato” o, in subordine, del “favoreggiamento”, ndr)”.

Mario Almerighi rilevava come il primum movens dello strangolamento di Roberto Calvi mediante impiccagione sotto il Ponte dei Frati Neri il 18 giugno 1982 fosse l’ottenimento della disponibilità materiale della borsa di Calvi da parte degli assassini: “Dopo aver evidenziato la fantasiosa non credibile e ridicola versione fornita dall’imputato Carboni e creduta dai giudici, Tescaroli scrive quanto riportato di seguito: “Appaiono all’evidenza vistose incongruenze logiche e omissioni motivazionali. La realtà – è bene ribadirlo – è che Carboni sa, sin dal momento in cui invita Flavoni a Ginevra, il 17 mattino, quale sarà la sorte di Calvi e Flavoni gli è necessario per assicurare il trasporto della borsa e del suo contenuto. Sussiste il dato oggettivo inconfutabile, in forza del quale Carboni ha avuto la disponibilità della borsa sin dal momento successivo all’omicidio a Londra ed è risultato portare avanti una trattativa, non appena posto agli arresti domiciliari, il 4 agosto 1984, con i familiari della vittima – che ha come obiettivo quello di ottenere dalla vedova Calvi una dichiarazione relativa alla sua estraneità e di quella di Marcinkus dall’omicidio del banchiere – e, successivamente, con esponenti del Vaticano per utilizzare a fini di profitto documentazioni e chiavi, contenuti nella borsa”.
Luca Tescaroli interrogò Lech Walesa come persona informata sui fatti.
E’ un fatto che se Flavio Carboni fosse stato condannato dalla Cassazione con la pena dell’ergastolo per l’omicidio del “banchiere di Dio”, avrebbe trascinato il Vaticano interno in un Watergate morale e finanziario.

“E ancora Tescaroli: “Gli interessi di Carboni erano diametralmente opposti a quelli indicati dalla Corte. Essi possono così compendiarsi. – L’eliminazione di Calvi avrebbe giovato a Carboni perché avrebbe impedito al banchiere di utilizzare il potere ricattatorio nei confronti del sistema di potere economico integrato di cui era parte, costituito da esponenti del Vaticano, della massoneria e della mafia. – L’eliminazione del banchiere era necessaria per impadronirsi della borsa e del prezioso contenuto. In particolare, il tradimento ha consentito a Carboni di acquisire quel potere di ricattabilità fondato sul possesso dei documenti già contenuti nella borsa e di quelli conservati a Zurigo, ove Calvi voleva recarsi. Un potere concretamente esercitato, poi, al quale ha soggiaciuto il Vaticano e che ha consentito a Carboni di guadagnare ingenti somme di denaro”.

Ecco come si è svolta la trattativa tra Flavio Carboni e la Santa Sede nel “post factum”, cioè nel “post delictum”.
Viene qui riprodotta la lettera di Flavio Carboni a Giovanni Paolo II agosto 1984: l’atto finale.
Due anni dopo l’impiccagione sotto il Blackfriars Bridge.
“Io ho nascosto le carte scottanti di Calvi, voglio essere pagato” tradotto fuori dal vaticanese.
“Santità,
è ampiamente conosciuta la vicenda che tanto dolore ha provocato alla Madre Chiesa e anche alla mia persona. Il mio ruolo è stato ormai discusso in ogni sede, e non mi dilungherò a precisarlo.
Già nella primavera del 1984 elevai la mia voce contro un atto che stava compiendosi da parte delle autorità vaticane, le quali avevano accettato di pagare circa 250 milioni di dollari alle Banche danneggiate dal fallimento del Banco Ambrosiano. Ero costernato ben sapendo quanto quell’atto fosse ingiustificato e dannoso, poiché presentava la Chiesa quale responsabile di un dissesto invece originato da comportamenti immorali e illegali di persone che avevano ricevuto stima e fiducia dallo Ior e da alti prelati, servendosene in tutto il mondo per fini perversi (insomma, Calvi screditato dopo morto si sarebbe servito dello Ior e non il contrario, secondo la pazzesca ricostruzione autoassolutoria di Carboni!, ndr). Non potendo intervenire, se non con il mezzo delle pubbliche dichiarazioni, a stigmatizzare quel grave cedimento alle pressioni di ambienti anticlericali, mi adoperai successivamente per documentare e per chiarire, a molti livelli, compresi quelli giudiziari e politici, la vera storia dei rapporti intercorsi tra il Presidente del Banco Ambrosiano e il Vaticano. Testimone autorevole di questo mio interessamento pro veritate è Padre Virgilio Rotondi, che mi è stato accanto anche in momenti di sofferenza e di sconforto e con il quale ho messo a punto tutta la strategia che si è rivelata vincente sui principali fronti.
Ai miei sforzi per rendere un servigio alla Chiesa, si è aggiunta la solidarietà e la collaborazione fattiva di Padre Paolo (cioè Pavel Hnilica, ndr).
Non soltanto per respingere ulteriori tentativi di forze occulte contro la Chiesa, e per eliminare ogni possibilità di contestazione di atti amministrativi del Vaticano, ma anche per determinare situazioni di favore nelle sedi politiche, giornalistiche e giudiziarie. Padre Paolo conosce quindi i risultati ai quali si è pervenuti, e che ancora oggi io sto facendo risaltare.
Santità, la mia impresa non è stata facile. Essendomi trovato al fianco del Presidente del Banco Ambrosiano Roberto Calvi nell’ultimo periodo della sua vita sfortunata, mi ero reso conto di quali dissesti immani era minacciata la Chiesa.
Del resto, anche lo stesso Calvi, in una lettera indirizzata a Lei pochi giorni prima di morire, così si esprimeva: “Santità, un eventuale crollo del Banco Ambrosiano provocherebbe una catastrofe di inimmaginabili proporzioni in cui la Chiesa ne subirebbe i danni più gravi!”. E, riferendosi nella stessa lettera ai continui rifiuti di “aiuto” ricevuti da alcuni dirigenti dello Ior, Calvi aggiungeva: “Da molti mesi ormai mi vado dibattendo a destra e a manca, alla disperata ricerca di trovare chi responsabilmente possa rendersi conto della gravità di quanto è accaduto e di quanto più gravemente accadrà se non intervengono efficaci e tempestivi provvedimenti essenziali per respingere gli attacchi concentrici che hanno come principale bersaglio la Chiesa, e conseguentemente la mia persona e il Gruppo a me facente capo”.
Il contenuto di questa lettera di Calvi, e di molte altre, non fu divulgato, grazie ad un provvidenziale intervento, che impedì la sua caduta nelle mani di chi era pronto ad utilizzarla per colpire maggiormente la Chiesa. E’ stato un miracolo che ciò non sia accaduto, considerando quanti e quali interessi ruotano intorno a questi tragici fatti; ed è stato un miracolo riuscire a raccogliere la documentazione più importante, non soltanto quella più direttamente legata al caso Ior-Banco Ambrosiano, ed impedire così, non solamente il prosieguo di una virulenta campagna diffamatoria condotta in tutto il mondo contro le Istituzioni cattoliche, ma anche la possibilità che essa degenerasse, suffragata da materiale estremamente delicato e pericoloso.
Abbiamo pregato tanto, io con Padre Rotondi e Padre Paolo e pure l’avvocato D’Agostino, solamente noi, per riuscire nella difficile impresa.
Nessuna somma, nessun bene materiale, avrebbero potuto aiutarci neanche nel parziale compimento di questa opera, se non ci fosse stato l’intervento della Provvidenza.
Il nostro intervento è servito a dare diverso indirizzo alla interpretazione del più grave scandalo che ha investito la Chiesa negli ultimi secoli.
E sono stati utili alla Chiesa gli articoli, a migliaia e migliaia, pubblicati dai giornali di tutto il mondo, tutti finalizzati a un solo obiettivo: salvare la Chiesa.
Santità, certamente non posso in poche righe spiegare tutto quello che è stato fatto, ma posso assicurarLe che ogni operazione possibile è stata compiuta con successo pieno, senza risparmi di sacrifici.
Consapevoli com’eravamo, e come siamo, che non esistono limiti al sacrificio quando è in discussione l’interesse supremo della Chiesa.
Ed è proprio in obbedienza a questi principi di dedizione e di servizio che Padre Paolo (Pavel Hnilica, ndr) ha ritenuto necessario di impegnarsi ed esporsi, nel momento in cui le circostanze hanno imposto interventi finanziari, per evitare il precipitare di situazioni che ben conosco.
Io non posso dilungarmi nello spiegare la risolutezza dell’intervento di Padre Paolo, il quale saprà bene precisare alla Sua Santità le varie fasi delle operazioni ritenute indispensabili”.

Breve ma necessaria interruzione. Il ragionamento di Carboni a Karol Wojtyla è questo: io ho recuperato la documentazione Ior-Ambrosiano che avrebbe compromesso irreversibilmente la tua immagine, dichiarando molto onestamente di essermi trovato al fianco del Presidente del Banco Ambrosiano “nell’ultimo periodo della sua vita sfortunata” (cioè nel viaggio che lo aveva condotto all’impiccagione sotto il Ponte dei Frati Neri a Londra), e ho altresì recuperato molte altre lettere di Calvi “il cui contenuto non è stato divulgato” – tecnicamente è inquinamento probatorio visto che queste lettere dovevano essere consegnate all’Autorità giudiziaria –, in cambio di garanzie di copertura finanziaria per l’opera svolta che attendo di ricevere: non dimentichiamo che Carboni, referente finanziario della Banda della Magliana, si sente interlocutoriamente al livello del Papa, cui detta arrogantemente la propria agenda (sic!): “Ora è urgente e necessario prestare collaborazione concreta a Padre Paolo, per consentirgli il rispetto degli impegni assunti verso coloro che, insieme con noi, hanno onestamente lavorato per la giusta causa. Io ho dato quel che avevo, ed ho impegnato anche quello che non possedevo, e sono ancora e volentieri disponibile ad assumermi l’ulteriore onere derivante dagli impegni contratti da Padre Paolo.
Tuttavia, poiché i mezzi a mia disposizione si sono esauriti, e tuttora attendo la definizione di mie situazioni finanziarie per poter usufruire di maggiori disponibilità, mi sono sentito in dovere di segnalare con questa lettera le estreme difficoltà nelle quali si trova Padre Paolo.
Ora che mi tornano alla mente quelle centinaia di miliardi di lire cedute ingiustamente dal Vaticano, e che in definitiva hanno provocato danni alla immagine e al patrimonio della Chiesa; proprio ora, è con profondo rammarico che vedo quali e quante difficoltà si frappongono all’ottenimento, anche a titolo di prestito, di ben più modeste entità, quali quelle che sono servite a ridare prestigio al Vaticano in momenti particolarmente difficili, attraverso l’opera che ormai è conosciuta.
Per questo motivo mi sono permesso di rivolgermi a Sua Santità, e non certo per acquisire meriti diversi da quelli che sono riconosciuti generalmente a tutti coloro che lottano veramente per la causa cristiana”.

Che monsignor Pavel Hnilica, dirigente responsabile della Pro Fratribus, abbia personalmente messo in contatto Wojtyla con Flavio Carboni è stato ipotizzato, ma non è provato.
Esiste un rapporto eziologicamente parlando tra la missiva indirizzata da Flavio Carboni a Papa Giovanni Paolo II e questi fatti così analizzati dal magistrato Mario Almerighi, sullo sfondo del processo per la ricettazione della borsa di Calvi: “… Resta però una domanda: alla fine, quanto ha versato padre Paolo al faccendiere (Flavio Carboni, ndr) per ottenere le lettere del banchiere? In base a quanto ho potuto raccogliere durante le indagini relative al processo a carico di Carboni, Hnilica e Lena per il reato di ricettazione dei documenti già in possesso di Roberto Calvi, si può stimare una cifra compresa tra un minimo di tre miliardi e 534.727.000 e un massimo di sei miliardi e 234.727.000 di lire”.
In un altro passaggio, Almerighi osservava: “… Quello che conta alla fine è che la Chiesa, grazie a padre Paolo, è salva sia dai ricatti che aveva in mente Calvi sia da quelli ereditati da Carboni.
Mai e poi mai il papa poteva essere coinvolto in una simile trattativa, dai chiari risvolti di rilevanza penale! Insomma, ormai il pericolo minacciato da Roberto Calvi prima della sua morte, relativo alla diffusione di carte compromettenti, è solo un ricordo. Anche il Vaticano, però, non ha neanche una ragione per piangere lo strangolamento e l’uccisione di Roberto Calvi…”.
E’ un quadro incredibile, eppure è tutto vero.
Arriviamo infine alla storia infinita di Emanuela Orlandi, già raccontata nei precedenti dossier.
Perché qualcosa sappiamo, nel nuovo Zeitstil – lo Spirito dei TEMPI – della Chiesa di Jorge Bergoglio, un uomo d’azione che viene dall’Argentina di cui era primate in seno alle gerarchie ecclesiali come il maggior avversario di Carlos Menem, uno dei più pericolosi “latin heroes” del Terzo Mondo. Questi i fatti sconvolgenti. Nel giugno del 2013, avviene l’incontro brevissimo ma carico di significato tra Papa Francesco e Pietro Orlandi. “Lei sta in cielo. E’ questa la frase che Papa Francesco ha detto prima a mia madre e poi a me quando, come tanti altri fedeli, lo abbiamo incontrato dopo la messa che celebrò nella parrocchia di Sant’Anna in Vaticano pochi giorni dopo la sua elezione: parole che mi hanno fatto gelare il sangue. Da quando è stato eletto il nuovo papa ho chiesto più volte di poter avere un incontro personale con lui. Ho inviato quattro fax diretti al suo segretario personale, mi sono accertato che li avesse ricevuti, ma per ora non ho avuto risposta. A questo punto, vedo poche possibilità”.
La tesi di chi scrive è questa: Bergoglio è stato costretto a mentire, dichiarando pubblicamente il falso, e con la mano sinistra ha fatto avere clandestinamente al giornalista Emiliano Fittipaldi un documento inquietante pubblicato nel suo libro Gli impostori – inchiesta sul potere: non solo: è troppo pericoloso per ragioni securitarie che Papa Francesco e Pietro Orlandi si incontrino; verrebbe rivelata alle forze del Male la complessa partita a scacchi giocata dall’Argentino:

“RESOCONTO SOMMARIO DELLE SPESE SOSTENUTE DALLO STATO CITTA’ DEL VATICANO PER LE ATTIVITA’ RELATIVE ALLA CITTADINA EMANUELA ORLANDI (ROMA 14 GENNAIO 1968). E’ un apocrifo con elementi veri. Eccone il contenuto: “Sua Riverita Eccellenza Arcivescovo Giovanni Battista Re p.c Sua Riverita Eccellenza Arcivescovo Jean Luis Tauran – La prefettura dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica ha ricevuto mandato di redigere un documento di sintesi delle prestazioni economiche resosi necessarie a sostenere le attività svolte a seguito dell’allontanamento domiciliare e delle fasi successive allo stesso della cittadina Emanuela Orlandi.
La sezione di riferimento, sotto la mia supervisione, ha provveduto a raccogliere il materiale attraverso gli attori dello Stato che hanno interagito con la vicenda.
Moltissimi limiti nella ricostruzione sono stati riscontrati nell’impossibilità di rintracciare documentazione relativa agli agenti di supporto utilizzati sul suolo italiano stante il divieto postomi di interrogare direttamente le fonti incaricando esclusivamente il capo della Gendarmeria Vaticana in questo senso.
L’attività di Analisi è suddivisa in archi temporali rilevanti per avvenimenti e per spese sostenute.
Il documento non include l’attività commissionata da Sua Eminenza Reverendissima Cardinale Segretario di Stato Emerito Agostino Casaroli al “Commando 1” in quanto alcun organo a noi noto o raggiungibile è a conoscenza di quanto emerso e della quantità di denaro investita nell’attività citata.

I documenti allegati (197) al presente rapporto sono presentati in originale per la parte relativa ai pagamenti per i quali è stata rilasciata quietanza, sono presentati in forma di resoconto bancario le quantità di denaro autorizzate e prelevate per spese non fatturate.
GENNAIO 1983 – GENNAIO 1985
Fonte Investigativa presso Atelier di moda Sorelle Fontana L. 450.00
Fonte Investigativa Rapporto SIP L. 600.000
Preparazione all’attività investigativa estera L. 450.000
D.B. Prato della Signora – Roma . L. 1.000.000
Acquisizione Nastri Registrati tramite Fonte L. 1.500.000
T, P. Suore Ancelle dell’Immacolata di Parma L. 400.000
Rette Vitto e Alloggio 176 Chapman Road Londra L. 8.000.000
Spese indagine Formale in collaborazione con Roma L. 23.000.000
Attività di indagine riservata extra Commando 1 direzione diretta Cardinale Casaroli L. 50.000.000
Secondo Trasferimento L. 900.00
Spese trasferimento e permanenza Commendator Camillo Cibin presso 6 Ellerdale Road London NW3 6nb l. 18.000.000
Anticipo Pagamento Retta Forfettaria L. 20.000.000

A.M. contributo L. 12.000.000
Analisi fonografica agenzia esterna L. 35.000.000
Trasferta commendator camillo cibin e dottor renato buzzonetti presso L. 7.000.000
Spese sommarie di retta ominicomprensiva periodo di riferimento (dettaglio mensile e annuale in allegato 21) L. 100.000.000
Spese Clinica St. Mary’s Hospital Campus Imperial College London Mint Wing South Wharf Road London W2 INY L. 3.000.000
Dottoressa Leasly Regan Department of Obstetrics and Gynaecology L. XXXX (attività economica a Rimborso, dettagli in allegato 28)
Attività Eminenza Reverendissima Cardinale Ugo Poletti (dettagli indicativi in documentazione allegata, cfr all. 38 L. 80.000.000 (il cardinale Ugo Poletti era Presidente della Conferenza Episcopale Italiana e autorizzò la tumulazione di Enrico De Pedis nella basilica di Sant’Apollinare dove c’era la scuola di musica di Emanuela accanto alla tomba di Innocenzo X: è chiaro, fu De Pedis a far consegnare dalla Sabrina Minardi Emanuela stessa al Vaticano! Secondo alcuni informatori in contatto con Pietro Orlandi, Oscar Luigi Scalfaro intratteneva rapporti frequenti con Enrico De Pedis, ndr)
Terzo trasferimento L. 9.000.000
Aprile 1993 – Luglio 1997
Spese sommarie di retta ominicomprensiva (onnicomprensiva, rectius) periodo di riferimento (dettaglio mensile e annuale in allegato 22) L. 70.000.000

Spese sanitarie forfettarie L. 4.000.000

Attività generale e trasferimento presso Stato Città del Vaticano con relativo disbrigo pratiche finali L. 21.000.000

Il presente documento è presentato in triplice copia, per dovuta conoscenza ad entrambi i destinatari, si rimanda a documentazione allegata sulle modalità di redazione. Non si espleta funzione di protocollazione come da richiesta. APSA è sollevata dalla custodia della documentazione allegata presentata in originale.

Dato in

Stato Città del Vaticano

A.D 1998

Mese di Marzo Giorno 28 IN FEDE

Lorenzo Cardinale Antonetti

Spesi in tutto più di 483 milioni di lire per supportare l’allontanamento domiciliare della cittadina Emanuela Orlandi dal giugno 1983 al luglio 1997: se questi soldi venivano dalla mafia, non mi stupirei per niente…
L’ipotesi che si può fare è in due direzioni: 1) Emanuela è stata uccisa e sepolta in Vaticano, oppure trasferita sine die in Inghilterra in un manicomio nel luglio 1997.
Perché nello stesso anno, a ottobre, Marcinkus viene ufficialmente tradotto da Giovanni Paolo II a Cicero, la sua città negli States.
Ed Emanuela non può rimanere a Roma senza la “ragnatela marcinkusiana” in funzione, per motivi di sicurezza.
Orbene, questo che avete letto è un documento che acquisisce valore di prova nel senso probatoriamente rilevante del termine. Innanzitutto perché è stato prodotto all’interno dello Stato Città del Vaticano (anche qualora si trattasse del “falso verosimile”) e poi perché si collega ad un fatto di cui nessuno parla più: avvalora nel senso probante della parola la ricostruzione dei fatti ad opera di un sedicente ex agente del Sismi autoaccreditatosi come “lupo solitario” (non ha fornito le sue generalità alla trasmissione televisiva Metropolis nel 2011). Costui telefonò nel 2011 – sette anni prima della scoperta di Emiliano Fittipaldi – alla trasmissione televisiva Metropolis alla presenza di Pietro Orlandi, del giornalista Giacomo Galeazzi e del giornalista Fabrizio Peronaci parlando di Londra (sic1). Repetita iuvant: con sette anni di anticipo rispetto al documento RESOCONTO SOMMARIO DELLE ATTIVITA’ SPESE PER LA CITTADINA EMANUELA ORLANDI.
Il 17 giugno 2011 arriva una telefonata alla trasmissione Metropolis. Eccone la trascrizione integrale – difficile ritenere che si trattasse di un mitomane (ricordiamolo, le somiglianze di quest’intervista con il documento uscito dal Vaticano nell’aprile del 2018 sono inquietanti: anche se nessuno ne parla): “Buonasera. Posso chiederle il nome?”
“In gergo mi chiamo “il lupo solitario”.
“In gergo perché?”
“Perché facevo parte dei servizi italiani e di una struttura protetta italiana.
“Faceva parte, quindi adesso non fa più parte?”
“No, io abito in Brasile”.
“Qual è l’informazione che vuole darci?”
“… Ci sono certi miei colleghi in Italia che non mi sono piaciuti. Hanno detto per esempio che Emanuela è passata da Bolzano, non c’è mai andata da Bolzano. Ha fatto percorso rapimento e trasportata dalla BMV nera in una mini verde (ricordate che anche la superteste Sabrina Minardi parlò di una BMV nera davanti al cancello del Vaticano, ndr). Ha fatto Germania, Francia, Inghilterra. Dopo tre giorni era già nella struttura dov’è tutt’oggi che a me risulta.
“Aspetti un attimo. Lei ritiene in questo momento Emanuela dove si trovi?”
“In Inghilterra, in una struttura privata protetta”.
“Che tipo di prove ci può dare? Insomma, Pietro Orlandi credo che ne avrà sentite…

“… C’è una persona che abita a Milano. Circa un anno fa l’ha incontrata (Emanuela Orlandi, ndr).
Dai documenti, dalle cose risulta che è lei. E questa persona abita a Milano.
“Fabrizio (Peronaci, ndr) vuole chiedere qualcosa”.
“Volevo chiederle. Ma quest’informazione del percorso – quindi Germania, Francia e Inghilterra – ora si troverebbe dove in Inghilterra?
“In centro Inghilterra dentro diciamo un manicomio.
“A Londra o in altre città?
“A Londra, centro Londra.
“Ah quindi nel centro di Londra. Sarebbe chiusa, segregata?
“No, gira liberamente in quel manicomio lì… Dall’inizio fino adesso, è sedata.
“Quali persone si prenderebbero cura di lei?”
“Sì. Ci sono due medici che sanno tutto, e un infermiere.
“E pensa che sia in condizioni buone di salute?
“A quello che risulta si. Dalle informazioni che mi ha dato la persona che l’ha incontrata sì”.
“Volevo chiederle: ma queste informazioni le ha passate come doveroso alle forze investigative, agli inquirenti?”
“No, non voglio più avere niente a che fare con le forze investigative, con gli inquirenti, con i magistrati e con nessuno. La mia situazione è un po’ particolare”.
“Aspetti un attimo. C’è il fratello Pietro, che vuole fare una domanda”
“Secondo lei, dicevo, le motivazioni del sequestro?”
“… Dovete scavare fino in fondo a cosa faceva tuo papà, Pietro. E’ una realtà veramente cruda.

“Senta, come mai in tutti questi anni non ha mai detto nulla?
“Io mi hanno mandato via dall’Italia. Sono disposto a morire da un momento all’altro, e me l’aspetto. Oggi mangio, domani non lo so. Vivo alla giornata.
“Come mai non ha raccontato quello che sapeva fino adesso?”
“Perché mi hanno stuzzicato e non mi hanno mai tirato in causa. Adesso mi hanno stuzzicato, mi hanno tirato in causa con delle falsità. A sto punto paga chi deve pagare…”.
“Banca Antonveneta c’entra fino al collo. C’erano tanti soldi da ripulire. Il Vaticano è una lavatrice. So che non ti farà piacere, Pietro.
“Dubito che mio padre avesse rapporti con Calvi”.
“Lei per chi lavorava?” “Sismi”.
Ps – C’è del marcio in Inghilterra. Mi rivolgo a Pietro Orlandi: chieda aiuto a Boris Johnson, un
calvinista.
La storia è ancora aperta. E la luce in fondo al tunnel c’è.

di Alexander Bush

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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