I Comitati si sono sempre battuti per la democrazia diretta.
Democrazia diretta per noi significa:
- poter scegliere chi ci deve rappresentare nella politica attraverso un sistema elettorale uninominale maggioritario con primarie certificate e obbligatorie (vedi il nostro “Maledetta proporzionale”)
- poter scegliere direttamente la più alta carica dello Stato destinato a rappresentare gli interessi di tutti attraverso un presidenzialismo con elezione diretta del presidente (vedi il nostro “Fuori i secondi”)
- poter decidere quale livello di tassazione applicare a livello locale, con quali scopi e controllarne l’impiego attraverso un autentico federalismo fiscale (vedi il nostro “Contro gli statosauri”)
- poter eleggere chi ci rappresenta nei tribunali attraverso l’elezione diretta del pubblico ministero che dovrebbe essere colui che rappresenta gli interessi di tutti i cittadini (vedi il nostro “Terzo strapotere”)
- poter decidere su temi che una parte rilevante di cittadini ritiene particolarmente significativa e comunque degna di essere decisa direttamente attraverso l’istituto del referendum
il referendum che noi auspichiamo e proponiamo è ben differente da quello attualmente in vigore:
dovrebbe essere un referendum che:
- viene proposto da un certo numero di cittadini (un 10% degli aventi diritto al voto?)
- non ha quorum. Perché chi non vota (anche perché non interessato all’argomento) deve avere un peso maggiore di chi esprime il proprio volere? In ogni democrazia (come anche in un condominio) chi non va a votare si esclude per propria scelta, lascia che siano gli altri a decidere.
- Possa essere anche propositivo. Il parere dei cittadini deve poter essere libero sia di cancellare una legge (come ora) sia di proporne una diversa.
- Sia compito della Corte Costituzionale accettare i quesiti, verificare che non creino contrasto con leggi generali o vuoto di potere, controllare che i risultati siano correttamente applicati: abbiamo avuto troppi esempi di referendum passati con maggioranze schiaccianti e poi vanificati da leggi ad hoc che modificavano solo qualche aspetto della legge abrogata oppure la reintroducevano sotto altro nome (vedi il referendum sull’abolizione del Ministero della Sanità).
Quindi se davvero crediamo nell’istituto del referendum occorre prima firmare per la loro accettazione e poi andare a votare: poi naturalmente ognuno voterà secondo quelle che sono le sue convinzioni e i suoi giudizi.
Non importa tanto che il referendum abbia successo: quello dipende dal parere della maggioranza; è fondamentale che i (ogni) referendum abbia luogo e sia valido in quanto votato dalla maggioranza (50%+1) degli aventi diritto.
Se crediamo nella democrazia diretta dobbiamo credere nell’istituzione del referendum (anche nella forma imperfetta e limitata attuale) perché è una delle poche armi attualmente in mano ai cittadini per esprimere direttamente la propria volontà e contrastare la partitocrazia ormai dilagante.
Angelo Gazzaniga
Tutta la tesi è perfettamente condivisibile, e contiene i princii cardine della democrazia diretta. Ciò affermato, ho qualche dubbio invece sulla necessità affermata di “dover firmare comunque” per un referendum, anche se non se ne condivide il contenuto (come tatticamente ha fatto Berlusconi, firmando in modo surreale per l’abolizione di leggi volute dai suoi stessi governi). No, firmare è un atto di democrazia soltanto se si sostiene un referendum: altrimenti si svilisce l’istituto, sommergendo il Paese di consultazioni, anche le più assurde, e si introduce un elemento di inquinamento della democrazia (non solo diretta).