“Tausk era una persona inutile e non sentirò la sua mancanza”
Sigmund Freud, lettera a Lou Andreas – Salomè, l’ex amante di Tausk – immediatamente dopo
l’elogio funebre
“Se guardi l’abisso, l’abisso ti guarda” Friedrich Nietzsche
“Essere molte cose significa essere nessuno: lo ha detto Kant”
Relazione intima (The Ski Bum) tratto dal romanzo di Romain Gary
Irving Stone non è del tutto imparziale sulla labirintica questione umana di Viktor Tausk – che fu per Sigmund Freud una sconfitta ben più frustrante dello iato con Carl Gustav Jung –, e questo lo si capisce:
Freud esce malissimo dal suicidio, che si sarebbe potuto evitare, del geniale Tausk il quale era “l’allievo che supera il maestro”; non solo, ma il frenetico attivismo di Viktor, già commediografo, avvocato, giornalista, quasi medico, abile giocatore del “millantato credito” come chiave di accesso alla Società Psicanalitica Internazionale, era il più umiliante vulnus inflitto al dogmatismo illuminista del fondatore della psicanalisi: non è la Ragione a guarire il mondo, ma è la Follia a superare la Ragione potendo ottenere risultati eccezionali sia in campo psichiatrico che medico, vulnerando così la Weltanschauung di Freud schiacciata sul “punto di equilibrio” che è la verità ultima. E così l’offeso e frustrato Sigmund – che era già stato turbato non poco dalle velleità di autonomia dei vari Jung, Adler, Bleuler, Reich, ecc… – istigò al suicidio il suo ex enfant prodige, il migliore dei suoi allievi. E’ una storia vera, per quanto nerissima.
Ma Stone, innamorato di Freud, la racconta così limitandosi ad aprire e chiudere una parentesi molto breve, troppo breve:
“… All’inizio del 1919 furono riprese le riunioni del mercoledì. Ma ecco un altro duro colpo.
Viktor Tausk subito dopo il conseguimento della laurea in medicina era stato chiamato alle armi: gli anni di guerra, che aveva dovuto passare a Lublino e a Belgrado, non avevano certamente contribuito a guarirlo dalle nevrosi di cui soffriva da sempre. Lou Andreas – Salomè era tornata a casa sua, a Gottinga in Germania, per mettersi a esercitare la professione di psicanalista. Tausk avrebbe avuto più che mai bisogno della vicinanza di Sigmund, che per lui sostituiva la figura del padre. Nello stesso tempo, però, aspirava a rendersi indipendente da lui, ad affermare la propria autonomia: il che lo portava, nelle riunioni settimanali, a contestare il pensiero e le teorie del maestro.
Sigmund apprezzava la sua vivacità mentale, ma spesso si sentiva a disagio di fronte alle manifestazioni della sua schizofrenia.
Finalmente, a quarant’anni, Viktor Tausk aveva potuto aprire un gabinetto di psicanalista. Quando s’innamorò di una giovane musicista, Hilde Loewi, che egli descriveva come “la più cara donna che fosse mai entrata nella sua vita… nobile, pura e buona”, Sigmund pensò che ora avrebbe finalmente raggiunto una certa stabilità emotiva, la quale gli avrebbe giovato anche sotto il profilo dell’attività professionale.
Purtroppo non fu così. Quando il rito nuziale era ormai imminente, Tausk vergò lettere d’addio alla fidanzata e al professor Freud, poi si passò intorno il cordone d’una tenda, si puntò la pistola alla
tempia destra, si fece saltare le cervella e stramazzando a terra si strangolò.
La lettera fu portata a Sigmund, che rimase intontito, sconvolto, invaso da un misto di pietà e di collera. Perché Viktor aveva compiuto questo stupido gesto, proprio mentre stava per realizzare pienamente se stesso sul piano della vita personale e professionale, dopo che il gruppo gli aveva dato energie, affetto, denaro per aiutarlo a sviluppare le sue possibilità e a conseguire la laurea?
La lettera rivelava ben poco:
“Caro Professore… La ringrazio di tutto il bene che mi ha fatto. E’ stato molto, e ha dato un significato agli ultimi dieci anni della mia vita.
Il Suo lavoro è una cosa genuina e grande. Mi congederò da questa vita con la consapevolezza
d’essere stato uno di coloro che hanno assistito al trionfo d’una delle più grandi idee dell’umanità…
La saluto affettuosamente
Suo Tausk
La sepoltura, al Cimitero Centrale, fu d’una tristezza impressionante. C’erano i suoi congiunti, c’era la famiglia della sua prima moglie; ma nessuno di loro aveva preso disposizioni per un servizio religioso. C’erano Sigmund e tutti i membri del gruppo viennese; ma nessuno di loro aveva preparato un piccolo discorso d’addio. La bara venne calata nella fossa in mezzo a un silenzio che fu rotto soltanto dai tonfi delle palate di terra gettate dai becchini.
Sigmund rincasò affranto. Si faceva una colpa di non riuscire a provare, in questo momento, nessun sentimento d’amore per il suicida. Soltanto pietà… e un senso di disperata frustrazione.
Ricordava una frase penetrante di Wilhelm Stekel: “Nessuno si uccide, che prima non abbia desiderato di uccidere un altro, o almeno ne abbia desiderato la morte”.
Il suicidio era forse un atto d’aggressione? Una vendetta? Una fuga da un destino peggiore, dall’omicidio o dalla follia? Quanto doveva imparare la psicanalisi, sul suicidio!
Stese un necrologio da pubblicare nello Zeitschrift. Più tardi, in un altro contesto, scriveva: “Probabilmente nessuno trova l’energia morale necessaria per uccidersi senza che con questo atto voglia uccidere un oggetto con cui si è identificato, o volga contro se stesso un desiderio di morte che prima è stato diretto contro qualcun altro”…”.
Viktor Tausk voleva uccidere Sigmund Freud, e si tolse la vita; un genio tout court il primo, un genio borghese il secondo.
La versione data dal brillante Marco Belpoliti non coincide affatto con la lettura assolutoria dello Stone, e il quadro che ne emerge non potrebbe essere più dark. Ecco la trascrizione integrale d’un articolo d’antologia dal titolo “Quando Freud abbandonò l’amico geniale” pubblicato il 30 luglio 2018 su la Repubblica, e se ne dovrebbe parlare nelle scuole:
“Dal patrimonio culturale nascosto nei saggi finiti (a torto) fuori catalogo spunta “Fratello animale” di Paul Roazen, che nei primi anni ’70 riportò alla luce la figura tragica di Viktor Tausk.
Allievo, poi ripudiato, del padre della psicoanalisi (anche se Irving Stone preferiva dire psicanalisi, ndr).
Fondando la psicoanalisi all’inizio del XX secolo Sigmund Freud aveva proposto il mito di Edipo, come uno dei complessi fondamentali della cultura occidentale.
Nella sua biografia c’è un episodio che sembra smentire quel mito e anche rovesciarlo: il Padre uccide il Figlio.
Una storia semisconosciuta che riguarda un suo allievo, forse il migliore: Viktor Tausk. Tausk si suicidò a 51 anni nel 1919, e di lui non resta quasi traccia nelle biografie di Freud.
Il suo maestro l’ha cancellato, nonostante l’avesse apprezzato e sostenuto per dieci anni sino a pagargli gli studi in medicina e farne uno dei membri di rilievo della sua Società di psicoanalisi di Vienna.
Tausk, dal canto suo, l’aveva ricompensato divenendo il suo paladino nella contesa con Adler e Jung, i primi scissionisti del movimento psicanalitico.
Nei primi 54 anni seguiti alla sua morte Tausk è stato un fantasma nella storia della nuova scienza medica, fino a che uno studioso di scienze politiche, docente a Harward, Paul Roazen, in un libro scomparso, Fratello animale (traduzione di M. Mauzari, Rizzoli 1973), l’ha tratto dall’oblio raccontandone la storia. Che s’intreccia con quella di Lou Andreas – Salomè, una delle donne fatali vissute tra il XIX e il XX secolo. Di Lou Viktor Tausk fu amante.
Ma andiamo con ordine. Tausk nasce nel 1879 a Zsilina in Slovacchia. E’ un suddito dell’Impero Austroungarico. Si sposa giovane, studia giurisprudenza e ha due figli.
Inizia come scrittore, commediografo e giornalista a Berlino, dopo la separazione dalla moglie. Ha una depressione ed è ricoverato.
Scopre i testi di Freud e gli scrive.
Questi, credendolo un medico, l’invita a recarsi da lui a Vienna. Si iscrive alla facoltà di medicina della città e diventa psichiatra. Comincia a frequentare le riunioni della Società di psicoanalisi. Lo stesso anno, il 1909, vi presenta la sua prima relazione: Teoria della conoscenza e psicoanalisi.
Roazen racconta la vita di Tausk in modo dettagliato, ma anche rapido, mettendo a fuoco il rapporto tra questo brillantissimo e talentuoso personaggio e Freud”.
Fermiamo un attimo il thrilling del formidabile Belpoliti.
Roazen assomiglia a Viktor Tausk? Oh potenze celesti del pensiero divergente all’opera con la magia della “proiezione”, che certamente ha operato nella studiosa talentuosa Kay Redfield Jamison… “L’intuizione è la verità dell’artista”, come scrisse Piero Ottone ne “Preghiera o bordello – Storia, fatti e misfatti del giornalismo italiano” a proposito di Indro Montanelli; sia Montanelli che Tausk erano due personalità “normotiche” ad alto funzionamento, con la fantasia al posto della Ratio che non era il primum movens; “E’ più vero che se fosse vero!”, era la battuta di Indro.
E’ durante la degenza in ospedale che Viktor scopre i testi di Freud.
Il successo è l’altra faccia del fallimento: gli inglesi lo apprezzano più degli italiani.
Continuava Belpoliti:
“Attinge (Roazen, ndr) da un libro, il diario di Lou Andreas – Salomè, intitolato i miei anni con Freud. Dalla stima e ammirazione verso Tausk – uomo alto, bello, affascinante – Freud passa presto all’insofferenza. Cosa non gli va del medico e psichiatra Viktor Tausk? Roazen spiega che mentre per Freud la funzione creativa è un processo digestivo, lento e pieno di ripensamenti, in Tausk è invece esplosivo. Il capo degli psicoanalisti s’è accorto che nel momento in cui formula un’idea, Tausk è già arrivato alle conseguenze. Dotato di una grande intuizione, sembra precederlo in molti passaggi.
Freud è molto possessivo nei confronti delle proprie idee, pur avendo detto una volta che le idee non si possono brevettare (non solo: le idee vivono di vita propria e sono indipendenti dall’autore che le ha generate come spiegò bene Philippe Brènot in “Geni da legare”, ndr).
Inoltre il bel Victor ha intessuto una relazione con Lou, più vecchia di lui, arrivata a Vienna dopo essere stata chiesta in sposa da Nietsche, e dopo una relazione con Rilke di cui è stata la musa.
A Freud Lou piace, la stima, come si capisce dall’epistolario che si scambiano. La relazione tra lei e Viktor dura dal 1912 al 1913. Poi Tausk viene chiamato sotto le armi come tenente medico: è scoppiata la Prima guerra mondiale. In quel periodo l’allievo di Freud scrive molti saggi, di cui esiste un’edizione italiana (Scritti psicoanalitici, tr. It. Di L. Agresti, Astrolabio). A conflitto terminato Tausk si trova in grande difficoltà: non ha pazienti nella Vienna sconquassata dalla crisi economica; ha cambiato tre volte mestiere ma versa ancora in condizioni indigenti. Va da Freud e gli chiede di essere preso in analisi da lui: sei sedute alla settimana. Freud rifiuta, e lo manda da una sua allieva, Helen Deutsch, più giovane e inesperta di Tausk, in analisi da Freud. Si tratta del secondo triangolo in cui lo psicoanalista si trova invischiato dopo Lou.
Nelle sedute con la Deutsch, Tausk parla di Freud, mentre lei parla di Tausk nelle sedute con Freud. Il Signor Sa – tutto, come appare a Freud, si trova al centro di un doppio scambio.
Anche la situazione sentimentale di Tausk non è molto stabile.
Ha lasciato a Belgrado durante la guerra una bella e affettuosa vedova, Kosa Lazarevic, con cui ha convissuto.
Nella primavera del 1919 si fidanza con una sua paziente, Hilde Loewi, che pensa di sposare; all’epoca la relazione tra psicoanalista e paziente è uno scandalo.
Secondo Roazen, Freud e Tausk muovono l’uno l’altro il medesimo rimprovero: ciascuno ritiene
che l’altro non tributi il giusto riconoscimento alle proprie idee.
Freud è anche convinto che le idee di Tausk appartengano di diritto a lui.
Entrambi temono di essere distrutti dall’altro. Per il medico accettare l’analisi con un’allieva più inesperta di lui è senza dubbio un’umiliazione.
Verso la fine di marzo del 1919 Freud impone alla Deutsch d’interrompere l’analisi con il suo allievo, perché costituisce un ostacolo all’analisi con il maestro.
Tutto precipita di colpo. Tausk si rende conto che il matrimonio non risolve i suoi problemi con le donne, che le annose questioni economiche non sono superate e che Freud l’ha abbandonato.
Il 3 luglio si annoda un cordone della tenda e usando la pistola di ordinanza alla tempia preme il grilletto. Si spara in testa e nel cadere rimane strangolato.
Freud scrive il discorso funebre e lo loda, tuttavia in una lettera a Lou confessa subito dopo di non rimpiangerne la morte. Lou, a sua volta, nel suo diario scrive di ammirare nel suo ex amante la lotta straziante per servirsi dell’intelletto allo scopo di dominare le passioni: “Fin dal primo momento ho capito che era proprio questa lotta di Tausk a suscitare in me la commozione più profonda… la lotta della creatura umana. Fratello Animale, tu” (parole che restano atemporalmente bellissime quelle della cosmopolita Salomè, ndr).
Si può considerare questa vicenda tra Freud e Tausk emblematica del rapporto tra maestro e allievo? In una certa misura sì. Quando l’allievo è dello stesso livello del maestro – non inferiore, non superiore, bensì pari – si apre un conflitto che nel caso del medico psichiatra diventa fatale. Tausk è stato il primo psicoanalista a misurarsi con la paranoia e con la schizofrenia, quando Freud scandagliava ancora il continente della nevrosi. Se trovate in una biblioteca o su una bancarella il libro di Tausk, leggete Sulla genesi della “macchina influenzante” nella schizofrenia.
Ci sono in nuce Deleuze e Guattari e il loro “anti-Edipo”, molti decenni prima” (dalla citazione integrale di Marco Belpoliti)
Ci sono molte cose da dire, che vengono in mente – in uno stato di “tachipsichia” tra le oscillazioni timiche dell’umore – a chi scrive da cronista consumato e scrittore mediocre, ancorchè pieno di passione: innanzitutto, quello di Viktor Tausk, il John Nash della psicanalisi, è un cold case di cui non è possibile ricondurre le “matrioske russe” alla verità ultima: caso aperto;
Freud, medico eccezionale nella ineguagliata razionalità cartesiana che lo caratterizzava, aveva scoperto l’inconscio, e la sua resta una scoperta eccezionale destinata a produrre conseguenze permanenti negli assetti della psichiatria europea e mondiale sullo sfondo della decadenza della civiltà occidentale, che arriva a livelli sempre più preoccupanti: ma la “teoria dell’inconscio” che è un’altra cosa rispetto al suo scoprimento, è stata la presunzione fatale di Sigmund – come direbbe Alessandro De Nicola, presidente di Adam Smith Society.
Perché attraverso la Dea Ratio si illudeva di riprogettare la realtà.
“Le idee hanno conseguenze”: come diceva Friedrich Hayek.
C’è però al fondo una domanda inquietante: l’ideologizzazione del monopolio di tutto ciò che concerne “l’area dell’inconsapevolezza” come primum movens del comportamento umano può sfociare nell’omicidio, e attraverso l’omicidio nel delitto perfetto? Solo Steven Soderbergh forse, è in grado di rispondere a questa domanda.
Non corrisponde al vero che Sigmund abbia detto a Carl Gustav Jung, in prossimità del porto di New York, come riportato dalla pellicola “A dangerous method”: “Ma lo sanno gli americani che siamo venuti a portare loro la peste?”, ed è una grave manipolazione da parte del regista David Cronenberg del testo di Irving Stone “Il romanzo di Sigmund Freud. Le passioni della mente”, dove i dialoghi non corrispondono al film comunque potente, e non si può alterare la realtà per difendere un punto di vista antifreudiano; ma resta il fatto che Jung disse quanto segue (forse addirittura è più grave della stessa frase inesistente attribuita in chiave romanzesca a Freud): “Il diavolo non ha un giusto posto nel cosmo trinitario. Come avversario di Cristo dovrebbe assumere una posizione antitetica equivalente ed essere parimenti un figlio di Dio. Ciò potrebbe condurre direttamente a certe vedute gnostiche, secondo le quali il diavolo come Satana era il primo figlio di Dio, Cristo il secondo. Un’altra conseguenza logica sarebbe l’abolizione della formula trinitaria e la sua sostituzione con una quaternità. Certo allora non è più dubbio che di vita comune non respirano solo il Padre e il Figlio luminoso, ma anche il Padre e la creatura tenebrosa”; se si adotta questo ragionamento, si può fare il male.
Tausk era un brillantissimo membro della Società Psicanalitica Internazionale con inside schizofrenico che era causalmente collegato alla sua brillantezza senza background sfociata nell’insuperato modello interpretativo della schizofrenia: una “realtà oggettiva”, quest’ultima – come direbbe il filosofo Soros – che Freud non accettava con invidia e gelosia; non solo, il medico viennese eterodiresse in un certo senso la stessa analisi freudiana a Tausk attraverso la longa manus della Deutsch, e Viktor dopo l’esplorazione razionalistica del suo inconscio percepì come falso il suo vero Sé – non potendo contemplare altra via d’uscita se non il “passaggio all’atto”.
La scena si ripete tra Anna, la devota figlia di Sigmund che era identica al padre, e Marilyn Monroe, “la paziente più famosa di Anna Freud” come s’intitola il lavoro eccellente di Samuele Corona alla voce Casi classici.
Duecento anni dopo l’invenzione dell’Era della Ragione, dobbiamo sostituirla con l’Era della Fallibilità.
Da Viktor Tausk a Marilyn Monroe, la frustrazione di Freud si staglia come un’ombra nera sulle macerie della civiltà occidentale.
Non solo: esiste la “coincidentia oppositorum” tra schizofrenia e intelligenza, per smentire lo psichiatra Andrea Raballo.
Nel bellissimo pezzo “Marilyn, diario segreto di una schizofrenica” pubblicato sul Corriere della Sera a firma della Ranieri Polese, l’autrice osserva come incipit: “Per lui (l’analista Ralph Greenson, ndr), lei era “la mia schizofrenica preferita”, lui invece era l’uomo da cui lei (Marilyn, ndr) voleva farsi adottare…”.
Conclude la Polese: “… Nei colloqui avuti con John Miner pochi giorni dopo la morte dell’attrice (veri, falsi, verosimili?, ma qual è il discrimine tra romanzo e verità?) Greenson avrebbe detto: “Non so chi abbia ucciso Marilyn. La psicoanalisi, certo, ha avuto un ruolo in tutto questo. Non è stata lei a ucciderla, come dicono gli antifreudiani e gli antisemiti. Però non l’ha aiutata a sopravvivere”.
E’ quasi la stessa cosa.
Come nel caso dell’enfant prodige, detto polytropos, Viktor che è l’erede di Romain Gary, povera luce di stelle cadenti, che, – se non si fosse finto medico – non avrebbe mai avuto accesso al Movimento Psicanalitico Internazionale sconvolgendolo con gli effetti speciali, l’allievo divorato dal Maestro.
Non ci resta che l’umiltà del dottor Picozzo, per dirla alla Indro Montanelli.
di Alexander Bush