“… Subito dopo le forzate dimissioni, non era riuscito a trovare un appartamento a New York perché nessuno voleva affittarglielo: gli altri inquilini traslocavano.
Ultimamente era ricevuto, e anzi continuamente sollecitato alla Casa Bianca, dove lo si accoglieva come lo Elder Statesman, lo statista anziano da consultare come un vecchio saggio sui problemi difficili. Fu a lui che Bush si rivolse per riallacciare un dialogo con Pechino dopo la rottura seguita al fattaccio di Tienanmen. E lui a Pechino lo riallacciò: i cinesi non avevano dimenticato che quel dialogo erano stati Nixon e Kissinger ad aprirlo, quando l’America aveva
deciso di chiudere l’avventura del Vietnam in cui Kennedy e Johnson l’avevano malaccortamente cacciata. Ma anche Clinton è ricorso alla sua esperienza per capire cosa succedeva in Russia e trarne qualche insegnamento. Nixon andò a Mosca, e ne tornò con cattivi presagi sulla sorte di Eltsin che i successivi avvenimenti hanno confermato”.
Indro Montanelli
“Nixon è la tenebra che propaga se stessa”
Howard Hunt
Ci sono persone che hanno l’arcano desiderio di distruggere quel che di buono hanno creato, da William Randolph Hearst a Richard Nixon forse passando per lo stesso Orson Welles.
Il 17 giugno 2022 cade l’anniversario dello scandalo del Watergate del 1972, che costrinse il repubblicano Richard Nixon a dare le dimissioni due anni più tardi tra l’altro in violazione di uno dei più antichi principi del Diritto: la “responsabilità penale è personale”, ma il Quarto Potere decretava la condanna di “Tricky Dicky”; cinque ladri furono sorpresi al sesto piano del palazzo dove il Partito Democratico aveva stabilito la sua sede, mentre tentavano illecitamente di sottrarre documenti in piena campagna elettorale per la rielezione del presidente.
Su R2 de “la Repubblica” è uscito il dossier “La lunga notte del Watergate”, con il contributo tra le altre firme di Alberto Flores d’Arcais, fratello del più geniale Paolo Flores, che scrive: “… E’ ancora poco chiaro cosa abbia spinto i potenti uomini della Casa Bianca a un’operazione di spionaggio di quel genere nei confronti del rivale democratico: Nixon quell’anno venne rieletto con facilità…”.
Per la precisione, con il 72% dei voti. Il più alto numero di voti popolari nella storia americana.
Non sono d’accordo. E’ invece chiarissimo: si fa presto a dire che la paranoia di Nixon lo spinse a commettere un passo falso, anche se certamente essa contribuì all’autogol del Watergate.
Ma in realtà l’intrusione con effrazione dei cinque ladri diretti dall’ex agente Cia Howard Hunt (che non mise mai piede nel palazzo) coinvolto oggettivamente nell’assassinio di Jfk a Dallas, nel Texas, il 22 novembre 1963 e prima ancora nell’operazione Baia dei Porci, e – all’inizio di queste matrioske – nell’intercettazione dell’incontro tra Allen Dulles e Jack Kennedy a Hyannis Port durato due ore e mezza –, è l’altra faccia della tragedia di Dallas; la porta violata che ha cambiato la Storia è stata la frode elettorale del 1960 subìta sulla propria pelle da Nixon, che lo segnò per sempre nella cosiddetta “sindrome del perseguitato”: Nixon fu imbrogliato, poiché era stato lui a vincere le elezioni ma le carte vennero truccate per far vincere l’avversario democratico nel modo più sporco possibile. I famosi confronti tra Jfk e Richard che inaugurarono l’era della televisione erano caratterizzati da un dato estremamente interessante: la “menzogna dello sguardo” in Jack, che aveva cioè lo sguardo evitante tipico delle personalità bipolari incapaci di avere un rapporto autentico con il reale (il bipolare lo si riconosce dagli occhi), mentre Nixon aveva gli occhi puntati verso la telecamera senza l’ambiguità della presenza assente.
Ma è improprio dire che Jfk fosse bipolare nel senso tecnico del termine: visse ininterrottamente la “mania” fino all’assassinio, senza vivere il suo rovesciamento nella depressione, che peraltro era artificiosamente alimentata dall’uso di anfetamine prescrittegli senza alcun razionale dal medico chiacchieratissimo Max Jacobson: Nassir Ghaemi, brillante direttore del Mood Department di Boston, sbaglia nel suo libro “Una follia di prima qualità” a definire Kennedy un bipolare cadendo nella trappola dei paralogismi: Kennedy era maniacale; al contrario Nixon era ipomaniacale, e viveva il rovesciamento dell’ipomania nella depressione attenuandola con l’alcol.
Bisognerebbe cercare il più possibile di fotografare la realtà per come è, senza cedere alla tentazione irresistibile di riprogettarla.
Questa è una storia che è interessante raccontare, partendo dall’inizio: il grande imbroglio; anche se è bene precisare che il Potere non è processabile per via giudiziaria, ed è storicamente una certezza che Jfk aveva subito un’estorsione dall’allora direttore della Cia Allen Dulles che è causalmente collegata alla vittoria risicata di Jack nel novembre del ’60 e al disastroso fallimento dello sbarco alla Baia dei Porci altrimenti nota come Playa Giron, con la crisi dei missili dell’ottobre ‘ 62 al limite della III guerra mondiale: perché quando si violano le regole del gioco assumendo che il fine giustifichi i mezzi, ci sono delle conseguenze; ieri la crisi missilistica di Cuba, oggi la crisi dell’Ucraina preceduta dall’assalto di Donald Trump a Capitol Hill che è stato un errore politico, ma collegato a gravi inquinamenti della campagna elettorale realizzati nell’interesse di Biden.
Citerò una fonte non sospetta: Gianni Bisiach, autore del libro “Il presidente. La lunga storia di una breve vita”.
E i lettori si faranno un’idea, non senza aver prima riportato – da citazionista consumato – due passaggi formidabili dell’articolo splendido di Antonio Monda “La tragedia di un Paese intero che è diventata saga”: “La sera del 16 giugno 1972, Richard Nixon andò a dormire di ottimo umore: le aperture alla Cina e alla Russia erano state celebrate come un capolavoro politico e un favore unanime aveva accolto le recenti riforme, che prevedevano l’abbassamento del voto a diciotto anni, imponenti finanziamenti per la ricerca sul cancro e la difesa dell’ambiente e una moratoria della pena di morte per quattro anni. Era stato lui a festeggiare il primo allunaggio, sigillo di una fondamentale vittoria sull’Unione Sovietica, e, nonostante l’estensione dei bombardamenti in Laos e Cambogia, perfino la guerra in Vietnam aveva una ripercussione limitata sul piano elettorale…”.
Lo sbarco sulla Luna coincide con lo scandalo di Edward Kennedy, poi travolto dalla morte per annegamento della segretaria: non fu omicidio colposo, ma omissione di soccorso.
Ma “Tricky Dicky” era “un uomo che aveva i difetti delle sue stesse qualità”, come una volta disse Henry Kissinger – l’uomo dalle mille facce – e l’unico amico che egli abbia mai avuto.
E, concludeva Monda, “… ha sorpreso tutti l’approccio empatico di un regista radicale come Oliver Stone in Gli intrighi del potere – Nixon: il suo tentativo di comprendere la psicologia del presidente è segnato soprattutto dalla pietà. Seguendo il libro di Dobbs, Stone racconta una tragedia americana, alla quale ha partecipato l’intera popolazione: nella scena più bella del film, Nixon si confronta con un quadro di Kennedy e dice: “Quando vedono te, vedono quello che vorrebbero essere, quando vedono me, vedono quello che sono”.
Entrambi avevano la “sindrome di hybris”, un motore potentissimo: vero giano bifronte.
In realtà, ho l’impressione che Stone avesse confessato la sua ammirazione per Nixon, smascherando le malefatte di Kennedy; lo pensai per la prima volta a 13 anni, lo penso ancora oggi: è la pellicola più matura dello Stone. “Jfk” è più adolescente, nell’“onda di passione” che attraversava il grande artista di Hollywood solo temperata, bene indirizzata dal montaggio di Pietro Scalia. Veniamo a Gianni Bisiach, ci sono le ombre di un’estorsione a John Kennedy: l’allora direttore della CIA, fratello di John Foster Dulles, che aveva dato mandato a Lucky Luciano di organizzare lo sbarco degli Alleati in Sicilia l’8 settembre del 1943, consegnò personalmente in piena “follie de grandeur” a Jfk un dossier sulle attività del padre ex ambasciatore a Londra, Joseph Patrick: è nel tuo interesse portare a termine l’invasione dell’isola di Cuba che sto pianificando, perché io sono al corrente delle attività oscure di tuo padre: il business dell’alcol con Al Capone durante il Proibizionismo, da cui derivano i contatti coltivati dal patriarca con l’autista del boss: Sam Momo Giancana, nel frattempo salito alla guida di Cosa Nostra; il destino di Jack era ormai segnato:
(da “Il presidente. La lunga storia di una breve vita”)
“Il progetto della CIA contro Castro – Dopo la liberalizzazione dei documenti federali (grazie al “Freedom of Information Act” del 1974) ora sappiamo esattamente come sono andate le cose. Il 23 luglio 1960, dopo che la Convenzione del partito democratico ha deciso che Kennedy sarà il candidato anti Nixon alle presidenziali, i responsabili della CIA hanno un colloquio con lui e gli rivelano che il governo del presidente Eisenhower ha messo a punto un piano contro Cuba. Risulta dalle schede FBI che il presidente stesso ha ordinato di informare il candidato democratico, ma Edgar Hoover redige un rapporto nel quale è detto che ad ascoltare questo segreto di Stato non è il solo candidato alla presidenza ma anche suo fratello Bob. Questo modo di agire viene ritenuto sospetto dall’FBI e Hoover decide di tener d’occhio le mosse di Kennedy e quelle di Dulles attraverso un informatore che l’FBI ha infiltrato nella CIA.
Si apprende così che alla fine di luglio 1960 un aereo della CIA raggiunge Hyannis Port, dove Kennedy trascorre un po’ di riposo prima di tuffarsi nella campagna elettorale. E’ lo stesso Dulles a sciorinare i segreti di Stato di fronte a Kennedy, forse per assicurarsi dei meriti nei confronti del possibile prossimo presidente. La conversazione dura due ore e mezza, dice il rapporto dell’FBI, che precisa anche che Dulles si è preparato con un dossier minuzioso sulla famiglia Kennedy, sul vecchio Joe, sul figlio caduto in guerra, sul candidato alla presidenza e sui suoi fratelli. Si è informato sui precedenti del vecchio nel periodo di Hollywood, su quello di Londra e così via. Nel suo libro Il Malaffare (Mondadori, Milano, 1978) Roberto Faenza sottolinea che “Hoover prende nota di quanto ha appena appreso e dà ordine ai propri uomini di continuare a seguire le mosse di Kennedy e di Dulles. Anche il direttore della CIA, con la quale l’FBI è in perenne conflitto, viene così a cadere nella schedatura riguardante il candidato presidenziale. E’ lo stesso memorandum a rivelare che l’FBI possiede un informatore all’interno del Consiglio superiore della CIA. Secondo le memorie del dirigente della CIA, Howard E. Hunt, quel primo rapporto a Kennedy su Cuba riassume il progetto in quattro punti: 1. Assassinare Fidel Castro, prima o durante l’invasione di Cuba. 2. Far saltare i radiotrasmettitori e i trasmettitori televisivi nell’isola, prima o durante l’invasione. 3. Evitare il sollevamento della popolazione contro Fidel Castro, prima che la situazione sia sotto il controllo militare degli invasori.”
“Dulles – secondo il rapporto dell’FBI – rimase impressionato dalla personalità dell’interlocutore e ritenne opportuno essere con lui il più esplicito possibile. Riguardo all’affare di Cuba lo mise al corrente sui progetti di assassinare Castro in concomitanza con il progetto di invadere Cuba (prima o dopo ma anche durante), sui piani per far saltare gli impianti radiotelevisivi dell’isola e tutti i sistemi di comunicazione fin dalla vigilia dell’invasione e di evitare per quanto possibile la rivolta del popolo contro Castro per mantenere in ogni caso il controllo della situazione.
Secondo Faenza, il vicepresidente Nixon spera di giocare la carta dell’invasione anticastrista di Cuba a proprio vantaggio. Egli dispone delle pedine adatte perché si trova, diciamo così, nella stanza dei bottoni mentre Kennedy deve ancora raggiungerla.
Può ad esempio valersi dell’aiuto di un consigliere militare, il generale di brigata Robert Cushman.
I suoi tentativi però vanno a vuoto per intervento del direttore della CIA. Appena costui sospetta della mossa di Nixon si mette in allarme. Si sospettò ad esempio che gli uomini inviati all’Avana per uccidere Raul Castro potessero ricevere l’ordine di procedere. Ma da parte della CIA si impedì che questo ordine arrivasse all’Avana bocciando la richiesta di compenso che i killer avevano chiesto (diecimila dollari). Il messaggio di Dulles non lasciava adito a dubbi: “Non procedete. E’ preferibile rinviare. Stop”.
Nixon, fuori di sé per essere stato giocato, è costretto a mutare argomenti elettorali…”. E perde il match decisivo con il bostoniano dal ciuffo ai capelli.
Come viene brillantemente mostrato nel film “Nixon – Gli intrighi del potere”, dove però la dignità di Nixon è ben superiore a quella di Trump.
C’è un episodio sconcertante nella vita privata di Jfk: nell’aprile del 1961 dopo il fallimento della Baia dei Porci, il presidente si butta piangendo tra le braccia della moglie Jacqueline; successivamente, mentre la First Lady è in vacanza, mostra alla fidanzata di Sam Giancana Judith Campbell Exner le stanze con gli immobili di Georgetown dove dormono i figli Caroline e John John, insistendo perché Judith faccia l’amore con lui sul letto matrimoniale: forse era il modo di ricompensare la moglie per aver scritto insieme a Theodor Sorensen il libro “Ritratti del coraggio” che gli valse il premio Pulitzer; un fatto è certo, Jacky non era minimamente al corrente di queste contraddizioni vivendo nel mito di Camelot.
Infine, Nixon nel novembre del ’63 si trovò per puro caso a partecipare ad un incontro strano, vagamente cospirativo a Dallas con uomini d’affari ed estremisti cubani che approfittarono della sua ingenuità per portarlo dalla loro parte e disfarsi di Kennedy, ormai un drogato inaffidabile: sorprende che Arthur M. Schlesinger non se ne sia accorto.
Tra questi cospiratori, c’era probabilmente Howard Hunt.
Il presidente viene assassinato pochi giorni dopo, e Richard – fiutando ormai la nuova atmosfera – telefona al capo dell’Fbi John Edgar Hoover: “Ciao Edgar, ho avuto uno strano incontro con degli estremisti a Dallas. Puoi fare un controllo?”.
Cinque anni più tardi, si ripresenta nell’agone politico ma l’astro nascente di Robert Kennedy minaccia di travolgere nuovamente la sua rinascita, una maledizione quella dei Kennedy: l’assassinio di Bob a Los Angeles il 5 giugno 1968 da parte di Sirhan Bishara Sirhan gli spalanca le porte della Casa Bianca lo stesso anno; sempre nell’annus horribilis ’68, viene assassinato il pastore nero Martin Luther King da Frank Sturgis Fiorini: Sturgis Fiorini verrà arrestato nel palazzo del Watergate dopo l’irruzione alle 2.00 del mattino il 17 giugno 1972; ma anche a Dallas, insieme a Hunt e a Earl Ray tra i furgoni della ferrovia: i cosiddetti “tre barboni”, poi rilasciati.
In punto di morte, a 88 anni Howard Hunt rilascia una confessione filmata: “Facevo parte del gruppo di fuoco a Dallas per assassinare Kennedy su mandato di Lyndon Johnson”.
Dimessosi da presidente ed evitata l’estrema umiliazione della galera grazie al perdono presidenziale concessogli da Gerald Ford, diventerà un formidabile conferenziere a peso d’oro con una inedita rilassatezza conquistata sul campo: diminuì l’affanno senza tregua degli anni precedenti quando aveva conquistato ruoli apicali divorato dai complessi, forse si mise in analisi; condusse magistralmente il lungo confronto con Frost, che perse soltanto all’ultimo momento (ma il successo è l’altra faccia del fallimento).
Come emerge bene dalla pellicola “Frost/Nixon”, Richard sapeva giuocare con il suo complesso verso Jfk: era ormai una recitazione vittimistica da attore di provato talento; l’isteria è un tratto degli psicopatici.
La sua straordinaria capacità, il suo vero talento era di fare gli effetti speciali in difficoltà; era lì che conquistava la felicità.
Alla domanda: vincitore o perdente?, io risponderei: perdente con onore.
E vi pare poco?
di Alexander Bush