La stagione delle liberalizzazioni, della lotta ai monopoli sembra ormai destinata a finire, almeno per quanto rigurda l’Italia.
Tutti noi concordiamo che i monopoli rappresentino un maggior costo per gli utenti, un ingiustificato utile per il monopolista, una minore efficienza complessiva: in pratica più costi e peggiori risultati; ma resta sempre più difficile liberarsene.
Un esempio è dato dai tassisti: dopo una protesta spesso violenta la liberalizzazione del mercato delle licenze è stata stralciata dal decreto concorrenza e di essa, temiamo, non se ne parlerà più per un bel po’.
Non è che i tassisti non abbiano delle buone ragioni: si è sempre tollerato il mercato delle licenze che erano nominalmente gratuite, ma che venivano acquistate a colpi di decine di migliaia di euro, naturalmente in nero e che erano un capitale da recuperare al momento della pensione e che verrebbe azzerato dalla liberalizzazione delle licenze.
Ma ciò non toglie che il monopolio delle licenze rappresenti un vincolo sostanziale all’efficienza del servizio: basti pensare che in una città come Milano solo il 5% dei cittadini usufruisce del servizio taxi. Ciò illustra in modo più che evidente come il servizio taxi sia assolutamente marginale per la mobilità di una grande città: in pratica viene utilizzato solo da aziende, da ricchi e da chi non può proprio farne a meno come anziani e malati. Tutto questo quando a Londra è uso corrente utilizzare un taxi per tornare a casa con i pacchi della spesa…
Questo non significa auspicare il “liberi tutti”, la concorrenza selvaggia in cui vince il migliore o spesso il più disonesto, ma un mercato libero con regole e paletti in cui tutti possano esercitare l’attività di trasporto pubblico con opportune garanzie: ad esempio con licenze aperte a tutti concesse dopo un esame di idoneità e annullabili in caso di inadempimenti.
Altrimenti rischiamo di annegare in un mare di monopoli anacronistici e costosi per tutti tranne che per i soliti pochi
di Angelo Gazzaniga