TRUSSONOMICS: NO KEYNES, NO PARTY. LIFE IT’S A MISTERY

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Andrea Pisauro e Paul Krugman a confronto

“Ci sono dei cretini al governo”
Paul Krugman

“Lo spettro della recessione aleggia sulle vite di cittadini, investitori ed
economisti in Europa e in Usa, ma le emozioni che suscita sono molto
diverse. Per gli economisti è una questione di testa. Determinare se un
Paese è in recessione è un’elucubrazione teorica che, ai non addetti ai
lavori, sembra simile a una discussione sul sesso degli angeli…”.
Francesco Guerrera, “Arriva la recessione” Affari e Finanza

“Non importa affatto se hai ragione o no. Ciò che importa è quanti soldi
guadagni quando hai ragione e quanti soldi perdi quando hai torto”
George Soros

Non essere in linea con lo Zeitsteil è una colpa imperdonabile, e per questo Neville Chamberlain perse il confronto con Winston Churchill 2 a 0.
Quello che sta accadendo in Inghilterra deve farci riflettere: anche questo paese – che pure gode di una “balance des pouvoirs” che noi non abbiamo, al coperto delle pareti domestiche: cioè l’Establishment, per capirsi – è sull’orlo del baratro.
Chi scrive ha problemi alla vista e non è molto lucido a causa del disturbo bipolare e continua a pensare ai piedi piccoloborghesi della Benedetta Parodi, ma non c’è dubbio: le finanze del Regno Unito sono prossime al baratro. Inghilterra, Germania, Italia, Russia: le tessere del mosaico cominciano a cadere una dopo l’altra; l’Occidente volge spenglerianamente al tramonto.

Ma – questo è il punctum dolens – anche nella civilissima Inghilterra hanno un problema: Liz Truss era unfit, inadatta a gestire l’emergenza e ha preso una decisione miope, cioè quella di allacciare il deficit spending alla deregulation fiscale pur di non perseguire la spesa in disavanzo keynesianamente.
L’errore macroscopico “psico-culturalmente” parlando (sic!) commesso da una donna borghese come la Truss, che proviene dal background conservatore della London School of Economics, è stato quello di rimanere schiacciata – sullo sfondo dell’eredità largamente screditata della Iron Lady Margaret Thatcher – sulla settoriale visione “anti-debito” del banchiere Sir Josiah Stamp, negli anni Trenta presidente della Bank of England su una posizione opposta a quella del suo allievo John Maynard Keynes: secondo questa corrente di pensiero alla quale appartiene per background scolastico e forma mentis Truss, lo Stato funziona come una famiglia, e allora nei momenti di recessione la spesa a debito è “eziologicamente” collegata alla diminuzione delle tasse: ma in realtà essa è un’entità indipendente, e non è vincolata al mercato, che detterebbe sempre e comunque l’agenda; non è così, non può essere così: è naturale dunque – nelle siffatte circostanze in cui una volta di più la teoria si mescola alla realtà, della quale fa parte – che i mercati finanziari che non sono la Spectre e i poteri forti reagiscano “crollando” di fronte alla possibile ingerenza dello Stato tentata (ma non realizzata) tra l’altro in maniera “teoreticamente sbagliata”, intimando poi alla stessa Truss di non coprire la collettività britannica con iniezioni di denaro pubblico: ma è sbagliato il meccanismo della Truss ed è sbagliata anche la reazione irrazionale di paura dell’Establishment britannico che (mi si consenta il giuoco di parole) non vuole il “deficit spending alla Thatcher”: (non vuole proprio lo Stato, fuori dalle palle!); sarebbe stato molto meglio che il governo della Corona replicasse l’esperimento del Cancelliere Scholz in Germania, che ha perseguito muto proprio uno scostamento di bilancio di 200 miliardi. Come atto indipendente. Come l’attraversamento del deserto. Soldi creati dal nulla, a debito.
Così la Banca d’Inghilterra sarebbe stata messa di fronte al fatto compiuto, e non avrebbe manifestato nessuna reazione di shock e panico diffuso, costringendo poi l’allieva della signora di ferro a ritirare la stessa azione di maxisostegno passivo dello Stato da ella annunciata (sic!), con la cosiddetta “curva di Milton Friedman” ancorchè semplicisticamente parlando. Perché la “curva di Laffer” è Milton Friedman al potere con Ronald Reagan. L’ideologia al potere: come ha scritto molto correttamente Angelo Gazzaniga.
Tentata spesa in disavanzo geneticamente difettosa, ma mai realizzata: basta solo questo fatto a causare un vero e proprio attacco di panico collettivo; segno questo – su un piano di lettura “freudiana” – che la reaganomics con tutte le modificazioni gattopardesche del caso non è più compatibile con la nuova realtà, e insistere a perseguire senza soluzione di continuità tale strada significa destabilizzare nello stesso tempo mercati e governi, stressati dal nevrotico “eterno ritorno dell’uguale”. La gente ignora quanto le idee influenzino i politici; come ha scritto Eugenio Benetazzo nel saggio “La curva di Laffer” del 21 giugno 2013, “… Reagan oltre che da Friedman rimase affascinato anche da un altro giovane economista, Arthur Laffer, docente alla California University, il quale convinse Reagan a diminuire le aliquote sulle tasse al fine di aumentare il gettito fiscale.
Per chi legge, un assunto simile potrà sembrare una follia, infatti come è possibile che il gettito fiscale possa aumentare se diminuiscono le aliquote di imposizione? Arthur Laffer lo spiegò proprio a Reagan, si dice addirittura scarabonchiando il tutto sopra un tovagliolo di carta in un ristorante, attraverso un grafico che riportava una curva a campana, in cui nelle ascisse vi era indicato il gettito fiscale atteso e nelle ordinate il prelievo fiscale imposto…”.

Mai ingenuità fu maggiore. Infatti c’è un problema: la realtà è sempre più complessa dell’interpretazione che ne diamo – il copyright è di George Soros – ; né Arthur Laffer né Ronald Reagan tennero conto dell’esistenza della riflessività dei fenomeni umani nell’applicazione delle loro rispettive ricette, teoreticamente splendide e praticamente inattuabili; la diminuzione della pressione fiscale sui ceti più alti crea maggiori entrate nel governo federale nei momenti di espansione del ciclo economico, ma non a lungo termine: cioè nei momenti di crisi.
“Nel lungo periodo saremo tutti morti”, fu la battuta un po’ ambigua di John Maynard Keynes: “reo confesso” di non tener conto della riflessività nella propria elucubrazione teorica.
Come scrive Andrea Pisauro ne “striscia rossa” “I disastri del fisco pro-ricchi di Liz Truss, un monito anche per l’Italia”:

“Come prima, peggio di prima. Al termine della conferenza del Partito Conservatore a Birmingham, viene da chiedersi fino a quando potrà mai durare il quarto governo Tory in 12 anni. La nuova premier Liz Truss ha parlato a una sala piena di dubbi e mugugni e con tante assenze pesanti, tra cui quella dell’ex premier Boris Johnson, estromesso a fine luglio dopo una lunga serie di scandali.
Un discorso breve, durato appena mezz’ora, in cui ha confermato quasi tutto della scriteriata manovra economica presentata a fine settembre dal nuovo cancelliere dello scacchiere, Kwasi Kwarteng, con una piccola significativa retromarcia, come vedremo.
Ad essere precisi l’hanno definita non una manovra economica ma un “evento fiscale” un po’ come Putin chiama la sua guerra d’invasione “un’operazione speciale”, analogia irriverente ma piuttosto pertinente sottolineata dal premio Nobel Paul Krugman.
TAGLIO A FAVORE DEI REDDITI PIU’ ALTI
Si trattava nientemeno che di un gigantesco taglio delle tasse, principalmente quelle sul reddito dei ricchi, un esperimento thatcheriano di un classismo esasperato anche per gli standard molto bassi del partito conservatore britannico. 45 miliardi di sterline di tagli in cui il taglio dell’aliquota maggiore dal 45% al40% avrebbe portato chi guadagna un milione l’anno a risparmiare 55mila sterline, una cifra maggiore del salario medio dei cittadini britannici.

Nella stessa manovra veniva anche abolito il tetto ai bonus per i banchieri, non sia mai guadagnino
troppo poco, e abbassare le tasse sull’acquisto delle case.
Significativo in termini macroeconomici anche l’annullamento di tutti gli aumenti delle tasse
preventivati dal governo precedente per fare fronte alle spese pandemiche (bisogna tenere a mente che a causa dell’uscita dello Uk dall’Unione Europea qui non ci sono i soldi del recovery fund) e l’aumento dal 19% al 25% delle tasse sulle imprese che si limitava a portarle a livelli europei e che invece rimarranno i più bassi dal G8.
“UNA VALANGA DI ENTRATE IN MENO Quindi – osserva bene l’analista Pisauro da me ampiamente citato – “una valanga di entrate in meno, per 45 miliardi di sterline, e la necessità di finanziare un piano da quasi 60 miliardi per calmierare le bollette che in UK esattamente come nel resto d’Europa stanno raggiungendo livelli stellari.
D’altronde l’inflazione galoppa anche qui (intorno al 10%) ed è anzi peggiore che in Italia (8.5%). Ma se incassi meno e spendi di più ovviamente devi creare nuovo debito, che il governo pianifica di aumentare di oltre 400 miliardi in 5 anni…”.
Scusatemi questa piccola interruzione: continuo a pensare ai piedi della Benedetta Parodi e sono eccitato, ma a mio avviso il meccanismo del “quasi default” in UK è esclusivamente psicologico: il governo britannico annuncia un piano di debito pubblico vincolato ai diktat delle tasse, e la Banca d’Inghilterra reagisce aumentando i tassi d’interesse sul debito come non accadeva dal “mercoledì nero” del 1992, quando le manovre speculative coordinate dal geniale finanziere George Soros furono l’effetto, non la causa di pessime scelte della Politica inglese.
Del resto, come ricordava Rino Formica, “la speculazione è un elemento positivo nella vita economica di una nazione” (sic!): Formica, meno craxiano del Ghino di Tacco che era statalista e tangentaro; mentre Bettino Bottino odiava George Soros.
E’ perfetta la sintesi di Pisauro: “… Una ricetta strettamente fedele alla screditatissima ideologia della trickle-down economics (dare ai ricchi sperando che la ricchezza pericoli ai poveri) che la Truss ha teorizzato nel manifesto pro-Brexit iperlibertario Britannia Unchained, scritto nel 2012 insieme a Kwasi Kwarteng, Priti Patel, Dominic Raab, Chris Skidimore, tutti esponenti della destra Tory…”.
Concordo dunque con Guidoriccio da Fogliano: l’ideologia al potere non va bene, è la separazione tra idee e realtà.
E infatti poi la Truss si è dimessa.
Cito riassuntivamente un editoriale lucidamente polemico di Paul Krugman per il New York Times, dal quale mi pare doveroso trarre una conclusione finale: “… In questo preciso momento storico i cittadini europei, britannici inclusi, devono far fronte a tempi assai difficili, perlopiù come conseguenza indiretta dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Gli ucraini, inverosimilmente, sembrano in procinto di vincere la guerra. Affermare che le armi occidentali hanno rivestito un ruolo di primo piano nel loro successo non toglie nulla al loro valore. Pertanto, Vladimir Putin sta cercando di esercitare pressioni addirittura maggiori sull’Occidente, decurtando i rifornimenti di gas naturale.

Per l’Europa si tratta di uno shock economico negativo immenso probabilmente ancora più grande degli shock petroliferi degli Anni Settanta (la crisi del Kippur, ndr)… Di questi tempi, pertanto, decurtare le tasse ai più facoltosi, che sono in ogni caso colpiti in minor misura dai più alti prezzi energetici rispetto a chi percepisce redditi inferiori, manda invece un altro messaggio: soltanto le persone meno abbienti dovranno fare fronte alle avversità.
Un messaggio di questo tipo è deleterio, soprattutto se si tiene conto che l’opinione pubblica britannica è già in subbuglio per i tagli ai servizi pubblici, in primo luogo l’assistenza sanitaria, e vuole vedere aumentare le tasse dei ricchi, farli contribuire ai più, e non di meno, alle esigenze del Paese. Una volta che ci si è inimicati la maggioranza della nazione, governare diventa sul serio un’impresa difficile…”.
Traduco Krugman, con un’arbitraria interpretazione “freudiana” che lo stesso Krugman, ancorchè fanatico come il predecessore John Maynard Keynes, respingerebbe: mercati e giustizia sociale sono due facce della stessa medaglia, non sono entità separate ed è giusto quello che scrisse Alessandro De Nicola sul punto nella sua analisi per Affari e Finanza del 25 aprile 2022:
“… Ebbene, il deficit e il debito pubblico contano ancora nella valutazione di un Paese da parte dei mercati, i quali non sono BlackRock o il terribile Soros, ma sono anche il signor Rossi, Madame Dupont o Herr Schmidt…”.
No Keynes, no party.

di Alexander Bush

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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