A seguito di miei recenti scritti sulla estetica e la filosofia della storia dello Schelling, scritti dedicati a Papa Francesco “uomo della dolcezza”, dalla Città del Vaticano mi corrisponde la Segreteria di Stato, la quale, “nel comunicare che quanto è stato inviato al Sommo Pontefice è regolarmente pervenuto a destinazione, esprime a Suo nome viva riconoscenza per il premuroso pensiero e Ne partecipa la Benedizione, pegno di abbondanti grazie celesti” ( Roma, 19 settembre 2013). Commosso e grato per il messaggio, colgo occasione dal ripensamento del Vangelo di Luca ( 16,1-13), centrato nella parabola dell’amministratore disonesto e nella dialettica di utile e vitale, e utile e morale, nelle Sacre Scritture, per rilevare la profonda densità della ripresa, che è insieme grande mònito, data da Papa Bergoglio al medesimo passo, con la condanna della “dea tangente”, che “toglie all’uomo la dignità” ( cfr. ad es. Gian Guido Vecchi, nel “Corriere della Sera” del 9 novembre 2013; e i miei saggi su “andrialive.it” del 24.09.2013 e 3.10.2013 ). In particolare: “Francesco contrappone alla ‘furbizia mondana’ quella ‘cristiana’, una ‘furbizia tra virgolette’ che ci permette di fare le cose un po’ svelte ma non con lo spirito del mondo: nel senso in cui Gesù ci ha detto di essere astuti come serpenti e puri come le colombe: mettere ‘insieme’ queste caratteristiche è un ‘dono’ dello Spirito Santo” ( La sintesi è del giornalista Vecchi, ma corrisponde all’originale ).
Oso chiedere, senza entrare in campo dottrinario ma solo ponendomi per un attimo ancora sul piano ermeneutico, che cosa possa distinguere il “fare le cose un po’ svelte” della prudenza cristiana ( di fatti, la dialettica delle passioni colomba-serpente, candore-astuzia, pertiene alla sfera della pratica ‘prudenza’ ) dalla “furbizia mondana” propriamente detta: una volta riconosciuta la sottile e drammatica intensità del brano di Luca. Mondo e oltre-mondo o sovra-mondo a volte sembrano, in lui, modellarsi quasi l’uno sull’altro, a mo’ di “stampo” o “figura”, per poi differenziarsi e divaricarsi nettamente ( vedansi le letture di Paolo e dei biblisti o persino interpreti letterari come l’Auerbach degli “Studi su Dante” ). Mondo e oltre-mondo a volte si contrappongono nettamente, come in Luca 20, 27 (34-38), a proposito della resurrezione dei morti, nella cui interpretazione non sussiste conciliabilità alcuna tra il presupposto terreno dei matrimoni, oggetto della domanda da parte dei Sadducei, e il piano squisitamente ultraterreno della resurrezione spirituale.
Sommessamente, oso reputare che il “far le cose un po’ svelte”, o forse la “prontezza” e “agilità” dello spirito, presuppone la simultaneità, o l’attimo della coscienza ( grato serbando il ricordo di Immanuel Kant nella Analitica trascendentale, con l’accento conferito alla serie successione-simultaneità-permanenza, in una tematizzazione essenziale, come per la “dignità e bellezza della persona umana” del periodo precritico ). Allora, mantenendo la condanna recisa di disonestà e corruzione, il “sorprendente” e “dotto” Luca lancia uno sguardo più acuminato e profondo sull’attrito tra le forme spirituali, le modalità del costume, segnatamente tra l’utile e il vitale da una parte, l’etico e il morale dall’altra, come dire sulla possibilità della virtù della “prudenza” e dell’ “accortezza” pratica anche nell’etica cristiana ( non saprei, tuttavia, se fino al punto da propiziare la tecnica dei sondaggi interni, al rischio di sfiorare la cosiddetta “dittatura delle maggioranze”, sempre in sé deprecabile nelle evangeliche fonti come nel moderno pensiero costituzionale ).
Da ultimo, ma non ultimo, mi sta in mente il passo del poeta tedesco caro a Papa Francesco, Friedrich Holderlin, il quale nel poema-romanzo “Iperione” ( Libro secondo: Iperione a Bellarmino) dice tra l’altro: “E’ una parola dura e, tuttavia, la pronuncio perché è la verità; non posso immaginarmi un popolo più lacerato dei Tedeschi. Vedi lavoratori ma non uomini; preti ma non uomini; padroni e servi ma non uomini; giovani e gente matura ma non uomini – è come un campo di battaglia dove mani e braccia e tutti gli altri arti amputati giacciono l’uno sull’altro mentre il sangue della vita, disperso, scorre sulla sabbia” ( da Giovanni Vittorio Amoretti al filosofo siciliano Rosario Assunto, nelle mie “Questioni dello storicismo”, II, pp. 146 sgg. ).
Si vuol dire, cioè, che proprio questo accorato appello per l’uomo e la sua dignità ( attinto anche al ‘possesso per sempre’ della poesia di Holderlin ) pare fondare i tanti decisi richiami di Papa Francesco per eventuali limiti ed errori del potere temporale ( “vedi ecclesiastici ma non uomini”). Non a caso, Holderlin, che dopo aver vagheggiato gli ideali della Rivoluzione francese a Tubinga, si era ritirato nello Stift, o collegio per pastori protestanti, poneva in epigrafe al suo “Iperione” un motto, liberamente interpretato, desunto dall’epitaffio sulla tomba di Ignazio di Loyola, fondatore dell’ Ordine dei Gesuiti ( 1491-1556 ): “Non esser limitato da ciò che è grande,/ esser contenuto da quel ch’è minimo, ecco il divino” ( In originale: ‘Non coerceri maximo,/ contineri minimo, / divinum est’). Iperione, o “l’eremita in Grecia”, con lo spettacolo delle membra dilacerate nel sangue e di genocidi, è storicamente ancora attuale. Proprio a Francoforte, dove il geniale sofferto autore visse e realizzò il suo capolavoro etico-estetico, a due passi dalla casa di Goethe e dal mito dell’Ellade, il ponte sul fiume Meno reca la scritta greca: Epì oinopa ponton; “Sul mare colore del vino” ( da Omero a Joyce a noi ). Il beneficio dell’ermeneutica filosofica ( la “Wirkung”, la “efficacia” ) può esser ancora grande. Restituisca la Germania i milioni di euro dovuti per danni di guerra alla Grecia da anni, anziché imporre restrizioni e misure che vanno manifestamente oltre il giusto segno, inducendo la televisione di stato a non andare in onda, i giovani a non poter studiare con profitto, e il popolo greco a subire ulteriori umiliazioni ( al netto degli errori amministrativi commessi); e tante altre belle cose ancora, che il cuore certo può sperare, ma che soltanto la “prudenza” o la “forza” possono aiutare a realizzare. Allora, metaforicamente, non vederemo più “un campo di battaglia dove mani e braccia e tutti gli altri arti amputati giacciono l’uno sull’altro mentre il sangue della vita, disperso, scorre sulla sabbia”.
Giuseppe Brescia