MELONI CONOSCE MUSSOLINI, NON KEYNES

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“E’ una decisione ideologica, ma Meloni colpisce chi l’ha votata… Si tradurrà in un suicidio politico”
Stefano Patuanelli a Carlo Di Foggia

“In Italia non esiste assolutamente l’Establishment. E’ un paese provinciale”
Carlo De Benedetti a Piero Ottone

In merito al Superbonus va chiarito anzitutto che la realtà è ambigua e complessa per sua natura, come ha detto qualche anno fa l’ex segretario al Tesoro Robert Rubin (un punto di riferimento intellettuale per Mario Draghi), e ogni semplificazione populista di una questione così complessa è fuorviante e non aiuta la comprensione dei problemi di un Paese che purtroppo è avviato a fare la fine dell’Argentina, tra corruzione, provincialismo e “latin heroes”.

Qualche mese fa, ho scritto che nell’orizzonte mentale di Giorgia Meloni manca ogni riferimento a John Maynard Keynes, l’economista britannico del New Deal che è un “pallino” per chi scrive: intendo riaffrontare la questione, con un aggiornamento della posizione sostenuta precedentemente in chiave meno idiosincrasica nei confronti della Iron Lady Giorgia; dunque, non è corretto parlare di “anti-keynesismo” nel caso del Presidente del Consiglio dei Ministri in quota Fratelli d’Italia, quanto piuttosto di “a-keynesismo” nell’anomalia biografica dell’erede politica di Giorgio Almirante in un mix di ignoranza e ideologia: le due componenti si sorreggono a vicenda. L’ideologia è eziologicamente collegata al provincialismo; la deideologizzazione è legata di contro al cosmopolitismo, che non è precisamente il biglietto da visita dei partiti politici italiani.
E’ il caso di storicizzare la discussione sul Superbonus 110% e del mercato dei crediti fiscali poiché la cronaca è la superficie della Storia. Nel 1980, Piero Ottone nella sua opera magistrale “Vi racconto l’economia” a cura di Adele Visconti “Letture per la scuola Longanesi/Petrini”, – uno dei libri più importanti nella vita di chi scrive –, osservava nel capitolo “Keynes contro Marx: vittoria della moderazione”, con echi nostradamusiani: “… L’aumento dei consumi e degli investimenti è dunque la nuova ricetta per sfuggire alla grande crisi. Se i privati consumano e investono, bene. Se non consumano e non investono, deve intervenire lo Stato. Qui è la conseguenza pratica della dottrina keynesiana. Keynes esamina il comportamento dei privati attraverso la storia e afferma: “A mio parere, il compito di stabilire il volume corrente degli investimenti non può essere lasciato con tranquillità nelle mani dei privati”. Che cos’era la crisi del 1929, infatti, se non il grande fallimento dell’iniziativa privata? E allora bisognava promuovere l’intervento dei poteri pubblici. Ogni tipo di intervento statale sarebbe stato utile per superare la depressione. Keynes amava i paradossi. Il governo, se avesse pagato i disoccupati per scavare buchi nelle strade, e poi riempirli, avrebbe fatto cosa utile; il denaro messo in circolazione per eseguire tali lavori avrebbe attivato i consumi, e il sistema economico avrebbe trovato il suo punto di equilibrio a un livello superiore di occupazione (l’unica critica che indirettamente rivolgo a Ottone è che il “punto di equilibrio” non tiene conto della riflessività dei fenomeni umani ideologizzando la teoria del deficit spending, ma il discorso è troppo complicato, ndr). I paesi colpiti da un terremoto, continuava Keynes, erano fortunati, perché la ricostruzione metteva in moto un processo produttivo che creava maggiore ricchezza. Certo, gli investimenti pubblici miranti a creare opere utili, quali strade, ponti, scuole, sarebbero stati preferibili; ma Keynes, per scandalizzare i suoi avversari, faceva un ragionamento divertente, che ripeto qui a esclusivo uso e consumo di chi predilige i sottili paradossi: la fortuna dell’antico Egitto era la passione dei faraoni per le piramidi, perché l’utilità delle opere pubbliche decresce a mano a mano che esse si moltiplicano, ed è chiaro che una seconda ferrovia Milano-Torino sarà meno utile della prima, ma essendo le piramidi tutte ugualmente inutili, la seconda varrà esattamente quanto la prima, e la terza quanto la seconda. La diffidenza verso il risparmio privato si estende quindi al risparmio pubblico. Anche lo Stato, come il privato, in depressione deve spendere. Il pareggio del
bilancio, in determinate circostanze, può essere dannoso. I conservatori, durante la grande crisi, si affannavano a invocarlo, perché, tratti in inganno dalle teorie dei classici, lo consideravano un toccasana. Ma la grande crisi fu superata all’improvviso, e in modo integrale, quando scoppiò la guerra, e gli Stati furono costretti dalle necessità belliche a spendere follemente, adottando in pratica le teorie di Keynes. Dopo la guerra avrebbero imparato a continuare la politica di grandi spese pubbliche, e la prosperità che ne è derivata è la più solenne smentita degli avversari di questo grande economista. A questo punto dobbiamo anche completare l’affermazione, che si fa comunemente, secondo cui lo Stato in Italia “spende troppo”. E’ vero che il livello di spesa è troppo alto; ma ciò è aggravato dal fatto che lo Stato “spende male”: facendo buchi nelle strade invece che ponti e porti…”.
Scrive Alessandro De Nicola, fondatore di Adam Smith Society nel suo pezzo elegante “I fallimenti dello Stato” nella rubrica La mano visibile di “Affari e Finanza” e che da ordoliberale combatte per sdoganare l’idea di successo, che non ottiene diritto di cittadinanza in Italia: “La lezione di Buchanan: politici e burocrati non agiscono avendo in mente solo l’interesse collettivo ma prima di tutto il loro (a essere rieletti e a perpetuare il potere)…”. Infatti Keynes odiava i politici!
Nell’intervista lucida di Carlo Di Foggia a Stefano Patuanelli – ex ministro M5S, ex supervisor della cabina di regia del PNRR insieme a Mario Draghi –, si osserva: “Il governo ha già ucciso il Superbonus 110% e da ieri (17 febbraio 2023, ndr) anche il mercato dei crediti fiscali. Stefano Patuanelli, ex ministro M5S e sostenitore della misura, ne è convinto: “E’ una decisione folle, che avrà effetti effetti devastanti sul tessuto economico di cui il governo non ha nemmeno piena contezza”.
Perché?
“Bloccando sconto in fattura e cessione del credito, di fatto, si assesta un colpo mortale a tutti i bonus edilizi. Verranno usati meno: significa meno lavori, meno occupati, meno riqualificazione edilizia. E senza risolvere il blocco dei crediti incagliati, che mette a rischio 25mila imprese e oltre 100mila posti, a non dire delle famiglie che avevano progettato i lavori.”
Perché l’ha fatto, allora? (domanda Carlo Di Foggia, ndr) La risposta è interessante: “Fatichiamo a capirlo. E’ una scelta ideologica, compiuta peraltro rimangiandosi tutte le promesse fatte in campagna elettorale. Cosa diranno gli elettori? Forza Italia ha sempre difeso la misura e anche Fdl.” Per fortuna, c’è una buona notizia: l’intervista a Stefano Patuanelli ha prodotto delle conseguenze, che così sono state riassunte dall’ottimo Lorenzo Giarelli: “Lo schema è identico a quello già rodato ai tempi del caro-benzina. Giorgia Meloni si affida al solito video social (“gli appunti di Giorgia”, li chiama lei), rivendica l’impianto dell’ultimo decreto che ha smontato il Superbonus, ma cede su modifiche per “evitare il tracollo di migliaia di aziende”. Come ad ammettere: senza ulteriori interventi, questo è ciò che provocherebbe il provvedimento appena approvato in Cdm…”. Ci sarebbe un’altra parentesi da aprire: Giorgia è afflitta dalla “sindrome di hybris”, cioè identifica se stessa con lo Stato attraverso il meccanismo dello storytelling, proprio come Margaret Thatcher; non è il disturbo narcisistico, ma è la sindrome della visione.
Ps – Ma la brutta notizia è che non ci sarà l’inaugurazione del DEFICIT SPENDING, che è la stampella del business. Emmanuel Macron lo sa bene, Giorgia Meloni non lo capisce. E come denuncia Patuanelli, “Sì, ma è troppo tardi e poi con questi interventi a singhiozzo hanno paralizzato il mercato. Nessuno si fida più”. Il governo Meloni è ostile al mercato, questo è il problema. La sintesi un po’ brutale di Paul Krugman sul New York Times, in relazione al caso di Liz Truss – “Ci sono dei cretini al governo” – indica bene che Inghilterra e Italia sono tecnicamente identiche: l’ideologia al potere; ora con la curva di Laffer, ora con il Superbonus. E’ il tramonto dell’Occidente.

di Alexander Bush

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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