RAFFAELE FITTO HA ASSASSINATO KEYNES. PIANO NAZIONALE RIPRESA E RESILIENZA AL DEFICIT SPENDING

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“Il diavolo non ha un giusto posto nel cosmo trinitario. Come avversario di Cristo dovrebbe avere una posizione antitetica equivalente ed essere parimenti un figlio di Dio. Ciò potrebbe condurre direttamente a certe vedute gnostiche, secondo le quali il diavolo come Satana era il primo figlio di Dio, Cristo il secondo. Un’altra conseguenza logica sarebbe l’abolizione della formula trinitaria e la sua sostituzione con una quaternità. Certo allora non è più dubbio che di vita comune non respirano solo il Padre e il Figlio luminoso, ma anche il Padre e la creatura tenebrosa.”
Carl Gustav Jung

E’ chiaro, il Pnrr di per sé non è sufficiente ma è la superficie del deficit spending. E il deficit spending è la ripartenza del business (anche se Massimo Recalcati non lo capisce); possiamo anzi dire che la spesa in disavanzo è liberista di per sé. Ma è un’operazione che non è mai stata fatta dal 1929 ad oggi: l’Italia rifiuta Keynes poiché rifiuta il business. A caro prezzo il Belpaese si sta avvicinando all’Inghilterra, con il consolidamento in itinere del senso dell’Establishment di cui si vedono gli embrioni in due fatti degni di nota: la tavola rotonda del forum di “Affari e Finanza” al quale partecipa il presidente uscente dell’Inps Pasquale Tridico curato dalla fondazione Giangiacomo Feltrinelli “Tra Welbeing e Welfare, a che punto siamo?” – iniziativa organizzata dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli Milano con il contributo di Maurizio Molinari – e la Human Fundation no profit presieduta da Giovanna Melandri, che si assume lo straordinario obiettivo di tradurre Franklin Roosevelt nella realtà del nostro ordinamento un po’ argentino. Ha dichiarato l’ex ministro dei Beni Culturali, che a mio modesto avviso andrebbe nominata senatrice a vita per altissimi meriti culturali: “Il mondo della finanza sostenibile nasce come grande prospettiva di sviluppo dopo la crisi finanziaria del 2009. Non siamo in una fase di post-pandemia ma in una fase di sindemia, cioè di crisi plurali: c’è la Covid 19, c’è l’energia, c’è il clima, c’è anche la riscrittura delle regole di una finanza che pochi anni fa implose per la vicenda di Lehman Brothers. Io preferisco parlare di finanza a impatto, perché la parola “sostenibile” è bellissima ma sta perdendo di chiarezza. Preferisco parlare di una exit strategy da un capitalismo finanziario che non genera valore e non dà risposte alle crisi sindemiche.

Gli strumenti sono tanti. Sul fronte della finanza pubblica, con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) si sta aprendo una grande stagione di investimenti (con risorse a debito, va ricordato). Secondo me, calare in questo contesto il modello impact significa introdurre sulle linee di utilizzo del Pnrr appositi strumenti di valutazione d’impatto sociale, ambientale, di parità di genere, territoriale e così via. Questa è la vera sfida. Non possiamo permetterci che il Pnrr non generi impatti percepibili, misurabili e addizionali rispetto alle traiettorie del business as usual della nostra economia. Poi c’è il capitolo della finanza privata. Oggi le masse finanziarie investite nel mondo sono pari a 130-140mila miliardi di dollari. Di questi, circa 40mila miliardi di dollari si auto-definiscono Esg compliant, cioè attenti ad ambiente, società e governance. Poi c’è la finanza a impatto, cioè quella che vuole ottenere intenzionalmente un impatto positivo misurabile e addizionale rispetto a un investimento tradizionale. Dieci anni fa valeva 40-50 miliardi di dollari, una goccia nell’oceano; oggi è arrivato a mille miliardi di dollari…”. Ecco che laissez faire e “Great Society” si incontrano. Ma veniamo alle brutte notizie. Il governo non ne azzecca una negando la realtà con il trucco dell’ideologia, e revoca nei fatti l’indipendenza della magistratura contabile nel momento esatto in cui la Corte dei Conti, con atteggiamento tecnicamente “rooseveltiano”, chiede e verifica che i soldi pubblici siano spesi bene (sic!). Un presidio di legalità.
Lesa maestà, come ha osservato qualcuno! Assistiamo ad un curioso replay dello spettacolo “mussoliniano” – per certi aspetti – che c’è stato tra gennaio e febbraio scorso: l’annunciata populisticamente, e poi ritirata abrogazione del Superbonus fiscale 110%. Dilettanti allo sbaraglio, Trump de noantri.
Il Fatto Quotidiano un po’ schizofrenico titola il 1 giugno 2023: “Fatta fuori la Corte dei Conti. Recovery: “La spesa è ferma”, ma la brutalità della sintesi ad effetto nel populismo di Travaglio un po’ Benito rende (Travaglio è un manipolatore al livello di Mussolini e Montanelli).
Nell’interno del giornale, leggo invece in discontinuità con i titoli da Apocalisse nel dossier “Pnrr e scudo erariale, il governo non cede: addio Corte dei Conti” di Virginia della Sala e Giacomo Salvini, che si presta ad una curiosamente insolita interpretazione freudiana: “Partiamo dallo “scudo erariale”: viene prorogato di un altro anno, da giugno 2023 a giugno 2024, e limita la responsabilità contabile dei dirigenti pubblici ai soli casi di dolo e colpa grave (perché non si vuole tradurre in realtà il deficit spending!, ndr). Quando la notizia era trapelata, nei giorni scorsi, la Corte dei Conti aveva reagito. Il presidente Angelo Canale aveva spiegato che la Corte è un “presidio di democrazia”, mentre l’associazione dei giudici contabili aveva aggiunto che la proroga dello scudo avrebbe provocato “impunità” e vantaggio per gli amministratori “infedeli”. Il governo però ha tirato dritto. “Lo scontro si fa in due e da noi non c’è mai stata una parola sopra le righe”, ha detto Fitto definendo la polemica “singolare” e “curioso” il fatto che i giudici attacchino il governo Meloni e non lo abbiano fatto coi precedenti esecutivi – Conte e Draghi – che avevano approvato e prorogato la norma. A Chigi, però, è scontro: Fitto e Fazzolari al momento l’hanno avuta vinta spingendo per la norma mentre il sottosegretario Mantovano avrebbe preferito evitare. Alla fine è riuscito a limitare la proroga dello scudo al 2024 invece che al 2026, ammesso che passi il vaglio del Quirinale. Palazzo Chigi è intervenuto prima ancora di incontrare oggi i magistrati contabili, uno sgarbo istituzionale. All’interno della Cdc (Corte dei Conti, ndr) sembrano esserci posizioni differenti. Il presidente aggiunto Tommaso Miele ha detto che non c’è scontro col governo, il presidente Carlino invece è stato molto più duro. Sul tavolo c’è pure l’emendamento che silenzia le osservazioni periodiche sull’avanzamento del Pnrr e dei suoi progetti. Fitto ha provato a sostenere la decisione con un ragionamento curioso: sottolinea che il controllo concomitante sia previsto da una legge del 2009 ma che sia stato reso effettivo solo con il Pnrr e che, quindi, si sia occupato solo di questo. Quasi fosse un deficit.”
In realtà Fitto – ancorchè a sua insaputa, of course – è estraneo tout court alla mentalità e al principio della spesa in disavanzo; non è uno Schlesinger, per intendersi, a capo del dicastero degli Affari europei ma il Ghino di Tacco della Puglia come versione degenerata di Aldo Moro, ma entrambi consumati esperti del politichese.
Concludevano Della Sala e Salvini: “Solo nel 2021 c’è una delibera che lo organizza e che fa riferimento a una legge che risale a prima che venisse deciso il Pnrr” dice. E’ vero, ma il decreto che lo istituisce parla di un controllo da applicare ai “principali piani, programmi e progetti relativi agli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale” di cui il Pnrr è la massima espressione. Per Fitto i controlli della Cdc (Corte dei Conti, ndr) devono limitarsi a quelli previsti dal decreto legge 77 (voluto da Draghi) che prevede l’interazione successiva con la Corte dei Conti europea: operazione complementare al controllo concomitante, non opposta o alternativa. Oggi si capirà se i giudici contabili e il governo riusciranno a trovare una sintesi: nel peggiore dei casi la Corte perderà il controllo in itinere sul Pnrr o lo vedrà rimodulato, nella migliore le modifiche potrebbero saltare – l’emendamento intanto è stato accantonato – ma si cercheranno di evitare nuovi attriti. Il più grosso finora ha riguardato la delibera sulle colonnine a idrogeno in cui la Corte aveva segnalato “responsabilità dirigenziali” sul bando demandando alle amministrazioni le possibili sanzioni, mandando su tutte le furie Fitto insieme all’ultimo rapporto sul coordinamento della finanza pubblica in cui si segnalava la spesa quasi ferma. Mosse che per il ministro interferiscono con il negoziato per le modifiche del Pnrr. Ed è scattata la “punizione”.

Punizione poi gattopardescamente ritirata. L’indipendenza della Corte dei Conti è formalmente garantita, ma la “balance des puvoir” è sostanzialmente svuotata. Ma il deficit spending è negato.
Fatti da Repubblica delle Banane, mentre è dietro l’angolo la possibile scintilla di una “rivolta francese” che sarebbe eziologicamente legata alla negazione della spesa in disavanzo.
Tuttavia la spesa in disavanzo non si fa dall’oggi al domani, richiede il senso dell’Establishment e questo è allo stato nascente. Meglio tardi che mai! Infatti, osserva Carlo Di Foggia: “La sintesi, brutale, è questa: finora si è speso poco o nulla sui veri progetti nuovi, quasi tutto è finito in sussidi, il grosso dovrebbe arrivare adesso ma i ritardi sono evidenti e mettono a rischio la quarta rata; visto l’andazzo, la revisione del piano riguarderà centinaia di progetti. Il terzo monitoraggio sul Piano di ripresa e resilienza presentato ieri (31 maggio, ndr) dal ministro titolare Raffaele Fitto era atteso da mesi. A breve verrà depositato alle Camere (l’opposizione chiede di riferire in aula) ma la bozza circolata è sufficiente a mostrare un quadro complicato.”

Se in Italia non è mai stato fatto il New Deal delle politiche a debito, non si può del resto pretendere che tutto vada bene all’improvviso (sic!), ma Carlo Azeglio Ciampi + Beniamino Andreatta commisero un notevole errore politico a impedire all’allora Comitato del Cipe di perseguire la spesa in disavanzo stroncando il risanamento immaginato, ma mai realizzato dal duo Pomicino-Galloni. Un’occasione sprecata a cavallo della caduta del Muro di Berlino e della dissoluzione dell’Urss; purtroppo, il Cancelliere della Germania riunificata non era animato da intenti benigni nei confronti di un’Italia che – prima di Mani Pulite – poteva superare i successi del capitalismo renano.
La Banca d’Italia è fatta di galantuomini, ma l’onestà non basta. Ci vuole una visione, e ai dinosauri tecnocratici di Via Nazionale è sempre puntualmente mancata. L’ideologia dei Tecnici è la miopia della tecnocrazia che si sostituisce alla democrazia, quando la politica fallisce. “Il governo dei tecnici? E’ il sogno degli imbecilli”, disse Bettino Craxi a Sergio Zavoli.
Oggi, è apprezzabile il fatto che il governatore Visco nelle sue Considerazioni finali abbia espresso un ragionamento keynesiano che tuttavia è respinto da Giorgio La Malfa, antikeynesiano.
Infine, vorrei concentrare l’attenzione sull’ottima requisitoria di Pasquale Tridico, defenestrato dall’Inps ma in ottima forma: il successo è l’altra faccia del fallimento. Ci sono gli echi di Paul Krugman nella sua analisi “americana”; il salario minimo legale è l’inizio del business, e sono ormai maturi i tempi – mentre cresce la povertà con esiti potenzialmente rivoluzionari – per tornare alla scala mobile lungo la strada iniziata, e interrotta, dal professor Ezio Tarantelli assassinato dalle Brigate Rosse alla Sapienza di Roma nel 1987. Le Br erano contrarie al mercato, ricordiamolo. Tuttavia – a integrazione della riflessione del galantuomo Tridico – osservo soltanto che se non è stato introdotto il salario minimo legale nel nostro Paese, la colpa è più di Mario Draghi che della Meloni.
Perché? In una parola, non è molto intelligente ma è “one track mind”: chiedo il copyright a Piero Ottone, che nel 2009 mi disse: “E’ mentalmente unidirezionale”.
E, il caso di aggiungere, sopravvalutato. L’icona che sostituisce la persona: ma visto da vicino è di una mediocrità disarmante. La mediocrità della medietà dei Parioli; Draghi poteva fare Roosevelt e non ha voluto, Giorgia ha l’“attenuante” di essere culturalmente unfit. La parola a Tridico, artefice del New Deal a sovranità limitata:

“Le considerazioni del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nell’ultima relazione annuale del suo secondo mandato, offrono spunti interessanti su diversi temi: globalizzazione, nuova governance Ue, inflazione, Pnrr e mercato del lavoro. Su quest’ultimo tema vorrei soffermarmi, riprendendo alcune questioni di cui ho spesso parlato negli ultimi anni e che oggi emergono anche dalle considerazioni di Bankitalia come necessità o soluzioni per l’economia: salario minimo, lotta alla precarietà, ruolo dei migranti, contrasto alla povertà e alla disuguaglianza, occupazione femminile e giovanile. Il salario minimo legale, che esiste in 21 Paesi Ue su 27, alla luce di contratti collettivi non rinnovati anche da 7 anni, inflazione, forme contrattuali atipiche e “pirata”, emerge come la principale delle priorità. Su questo oggi pochissimi esperti economisti hanno dubbi, mentre gli oppositori si trovano in una parte del mondo (oggi al governo), sindacale e datoriale. Come abbiamo sempre evidenziato negli ultimi Rapporti annuali Inps, circa il 30% dei lavoratori guadagna meno del 60% del reddito mediano, ovvero meno di 1.000 euro lordi al mese.
La mancata indicizzazione dei salari all’inflazione ha eroso ulteriormente il potere d’acquisto dei lavoratori, ha fatto perdere ai salari oltre il 10% nel 2022 e un ulteriore 7,6% quest’anno. Un salario minimo legale di almeno 9 euro l’ora porterebbe, secondo i dati Inps, benefici a circa 4,5 milioni di lavoratori che vedrebbero crescere i loro salari, la maggior parte donne e giovani.
Inoltre l’indicizzazione del salario minimo all’inflazione spingerebbe il rinnovo di contratti collettivi scaduti da anni, con un beneficio anche per chi sta sopra la soglia minima. Queste regole esistono nella maggior parte dei Paesi dell’Ue e risponderebbero, riprendendo una frase del Governatore, a esigenze non trascurabili di giustizia sociale. Non solo. Un salario minimo darebbe una spinta ai consumi e alla domanda aggregata e favorirebbe un’allocazione più efficiente del capitale e degli investimenti, che in questi anni hanno goduto di una leva facile, spesso sostitutiva dell’innovazione, attraverso salari bassi e flessibilità spuria (precarietà), per rimanere più o meno competitivi sul mercato con strategie di investimento molto orientate allo sfruttamento del lavoro e in segmenti produttivi avanzati, piuttosto che ad alta densità di capitale e di innovazione, che avrebbero generato maggiori guadagni di produttività. Anche nella relazione di Bankitalia si legge che queste strategie hanno contribuito alla stagnazione della produttività almeno dal 2007.
A queste considerazioni si aggiungono quelle sulla demografia, con l’ovvia conclusione, anch’essa più volte sottolineata nei rapporti Inps, della necessità di incrementare i flussi migratori regolari nel nostro Paese… Senza flussi migratori adeguati, l’offerta di lavoro complessiva si ridurrebbe perché, come afferma anche il Governatore, il recupero di natalità auspicato, e quindi anche solo eventuale, rafforzerebbe l’offerta di lavoro solo nel lunghissimo periodo…”
“Nel lungo periodo saremo tutti morti”: John Maynard Keynes.
Inoltre la mancata ratifica del Mes è compatibile con un nuovo shock del sistema bancario a livello globale, con una destabilizzazione profonda dell’Europa. La premier, che ha una somiglianza stupefacente con Greta Thunberg – l’icona maschera la persona – identifica se stessa con l’Europa, tenendola in ostaggio. E’ uno scenario “weimarista”, che eleva la pericolosità della Meloni allo stesso livello di Trump.
Infine, nella lucida analisi “Il diritto alla casa è andato a farsi benedire (pure col Pnrr)”, Sottosopra osserva: “Accidenti ai bamboccioni, ne hanno fatta un’altra. Non solo rifiutano di lavorare per salari da schiavi, si ricoprono di fango per ricordare che il pianeta non ce la fa più, chiedono di non finire triturati da macchinari industriali mentre onorano le richieste dell’alternanza scuola-lavoro (mi sembra di essere nella Cina di Xi Jinping!, ndr). Adesso hanno pure tirato fuori la questione rimossa degli affitti insostenibili, cioè quella mancanza di alloggi a prezzi accessibili che è anche una delle molte ragioni per cui, in Italia, almeno 50mila persone vivono per strada… L’Osservatorio nazionale sulle politiche abitative e di rigenerazione urbana, che si occupa della questione da tempo, segnala che per realizzare gli alloggi necessari servirebbe un investimento pari al 20% del Pil: monumentale, specie per un Paese che ha smesso molto tempo fa di considerare la spesa pubblica come produttiva. Ma si potrebbe in realtà iniziare con una seria azione di recupero del patrimonio già esistente e non utilizzato, operazione che avrebbe anche il pregio di non regalarci nuovo cemento: l’Istat ha calcolato che ci siano fino a 2 milioni di edifici abbandonati nel Paese. Ma tra le dichiarazioni di vicinanza agli underdog e la realtà ci sono di mezzo le intenzioni, e la protesta di ragazze e ragazzi ha aiutato a renderle evidenti. La presidente del Consiglio potrebbe, infatti, a costo zero, calmierare il mercato, rendendo fiscalmente svantaggioso tenere una casa sfitta: sono circa 10 milioni le abitazioni vuote in Italia. Oppure potrebbe dare un segnale grazie ai denari del Pnrr: il piano destina infatti 960 milioni di euro agli alloggi universitari, per salire dai 40mila posti letto attuali a 100mila entro il 2026. Saranno usati per costruire studentati pubblici? O magari per recuperare i catafalchi abbandonati? Macchè! I soldi andranno ai privati come contributo per creare nuovi posti letto, senza nemmeno il vincolo di destinarne una parte a chi vive in famiglie in difficoltà. Così la collettività intera sostiene il costo dell’investimento, una minoranza ci guadagna e il diritto alla casa – così come allo studio – va a farsi benedire. Il segnale, insomma, c’è ed è chiarissimo: continuate a montare tende, perché noi abbiamo le Ztl da difendere.”
La “crisi di rigetto” in un paese che ha conosciuto il terrorismo degli anni di Piombo è nella realtà.
E l’ascesa di Matteo Salvini, instabile e pericoloso come Mussolini – il cavaliere di Vladimir in casa nostra – è nei fatti, quando la situazione diventerà insostenibile.
Insomma, l’Italia tornerà all’incubo del Fascismo ma si sta avvicinando sempre più all’Inghilterra, entrando così a far parte dei paesi anglosassoni (l’Inps venne fondata nel 1898, ma non ha potuto impedire il collasso della democrazia).
Un percorso a ostacoli e non privo di dolori, ma in atto.
Non è forse vero che la vita ha un lato di tragedia?

di Alexander Bush

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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