Chi propugna, a seguito dell’avvento di internet, l’abolizione tout-court dei diritti di copyright, è vittima di un grottesco fraintendimento. Sostenere che la rete, in sé, abbia natura esclusivamente libertaria, non è altro che un luogo comune, un cliché che si ripropone puntualmente ogni volta che nel settore della comunicazione si sviluppa l’innovazione. Come insegna Schumpeter, nessuna rivoluzione tecnologica può consolidarsi se non grazie a forti interessi economici che ne impongono la normalizzazione. Se perciò il diritto d’autore ha bisogno di essere salvaguardato, è altrettanto vero che il sistema attuale è superato, irrazionale e anti-economico, come scrive Fabio Macaluso nel bel saggio: “E Mozart finì in una fossa comune – Vizi e virtù del copyright” (Egea).
L’esperienza americana dimostra che la strada da seguire è un sistema di registrazione dei lavori creativi, sottoposti a copyright per un periodo di tempo da definire, eventualmente rinnovabile. Il sistema ne risulterebbe rovesciato: tutte le nuove creazioni sarebbero di pubblico dominio, tranne quelle esplicitamente coperte da copyright. La durata della protezione andrebbe drasticamente ridotta: l’attuale limite di 70 dalla morte dell’autore è ingiustificato. Un sistema che preveda un primo termine iniziale e poi una serie di eventuali successivi rinnovi, a pagamento, servirebbe a “liberare” anticipatamente una grande massa di opere la cui protezione, dopo un certo periodo, non interessa più a nessuno. Il sistema normativo attuale è incredibilmente farraginoso, una semplificazione è necessaria.
Nella riforma del copyright dovrebbero trovare un esplicito riconoscimento i “Creative Commons”, strumenti che forniscono agli autori i mezzi legali e tecnici per stabilire il grado di libertà di circolazione delle proprie creazioni. E’ indispensabile inoltre riformare le società di gestione dei diritti d’autore, la cui posizione di monopolio produce varie inefficienze. Sarebbe opportuno anche introdurre una specifica tassa sulla pubblicità via Internet, destinata a compensare autori ed editori. Infine, è necessario inasprire le sanzioni contro i soggetti che incoraggiano la pirateria, fra cui gli “online locker services”, e le copisterie illegali.
In conclusione, se i teorici di una “nuova economia della liberalità” tentano paradossalmente di mettere d’accordo l’ideologia “di sinistra” fautrice dell’uso gratuito dei beni comuni, con il liberismo puro “di destra”, che rifiuta qualsiasi intervento normativo – più realisticamente Macaluso ribadisce che, anche in questo caso, l’unica alternativa reale è tra il corretto svolgimento del mercato e il caos. Senza i diritti di copyright, gli autori sarebbero destinati alla fine del grande Amadeus, morto povero al punto da non potersi pagare neppure un funerale e una tomba. “I sostenitori dell’economia dei beni comuni digitali – chiosa Macaluso – rischiano di fungere da ‘utili idioti’ adoperati per stemperare la dura realtà del capitalismo globale”.
Alessandro Litta Modignani
milanese, giornalista free lance, liberale e radicale da sempre