Uscire dall’euro non è un problema ideologico, ma un problema finanziario concreto
Si sentono sempre più voci a favore di un ritorno dell’Italia alla lira.
Ci riferiamo , ovviamente, non alle richieste di tipo qualunquistico o propagandistico di molti nostri partiti (tesi più a cercare voti tra chi soffre per la crisi che a fare proposte concrete) ma a chi, spesso di area liberale, e comunque serio ed attendibile propone questo ritorno al passato della lira.
Riteniamo obiezioni facilmente superabili sia quella che la UE non prevede la possibilità di rescissione dei patti perché niente, e tanto più in politica, si può ritenere immutabile sia quella del costo dell’operazione: basti pensare a quanti esempi abbiamo avuto di cambio della moneta.
Vorremmo, invece, farci due domande :
in caso di ritorno alla lira, è scontato che la nuova parità (cioè il valore di scambio euro=lira) sarà diversa, altrimenti non si capirebbe a che cosa può servire una lira agganciata al valore dell’euro. Si ipotizza, da parte di quasi tutti gli economisti, un cambio lira=euro attorno a 1400/1500, cioè una svalutazione del 20/30%.
Ma:
- questa svalutazione avrebbe senz’altro effetti positivi sulle esportazioni delle industrie italiane, ma solo per un breve periodo (fintanto che si svuotano i magazzini) perché un Paese trasformatore come l’Italia per produrre deve importare le materie prime che verrebbero a costare il 20/30% in più;
- una simile svalutazione sarebbe un toccasana solo per chi è indebitato (il debitore vede ridursi il proprio debito, soprattutto nei confronti dell’estero), e per chi possiede valuta estera (vedrebbe rivaluto il proprio capitale);
- sarebbe invece una tragedia per chi ha reddito fisso (stipendi o pensioni): il costo della vita (ad es benzina, riscaldamento, generi alimentari, tutto ciò che comperiamo all’estero) aumenterebbe in proporzione senza un equivalente aumento dei salari;
- ci sarebbe da aspettarsi un aumento dell’inflazione perché i produttori cercherebbero di scaricare i maggiori costi sugli acquirenti: e chi non ricorda l’inflazione a due cifre degli anni ’70 tanto rimpianti?
Sarebbe in pratica come scaricare il peso dell’inefficienza e delle colpe della classe politica sui più deboli e sui meno colpevoli che, anziché essere tartassati dalle tasse, lo sarebbero dall’inflazione.
Esiste poi un secondo problema: un debito pubblico astronomico di circa 2000 miliardi di euro.
In questo caso:
- i debiti vanno comunque rimborsati alla scadenza (anche se attraverso nuovi debiti): è impensabile rientrare velocemente da un debito così grande
- è altrettanto impensabile che gli investitori stranieri vengano ad acquistare obbligazioni italiane in lire: vediamo già adesso qual è la fiducia che gli investitori esteri hanno verso l’Italia. Gli unici investimenti sono in pratica l’acquisto di marchi (e aziende) di risonanza mondiale a prezzo di saldo;
- grazie all’euro abbiamo avuto decenni di tassi bassi e stabili: con la lira per attirare gli investitori stranieri dovremmo alzare (e non di poco) i tassi: il costo del debito passerebbe dagli attuali 90 miliardi di euro a quanto? Lo deciderebbero gli investitori;
- un’altra soluzione potrebbe essere quella di “piazzare” il debito pubblico agli italiani: sia attraverso un acquisto (più o meno forzoso) di titoli pubblici da parte dei privati (provvedimenti degni del migliore statalismo) sia convincendo le banche ad acquistare BOT o CCT come investimenti in conto capitale: in ambedue i casi sarebbero altre risorse (in un Paese come il nostro già scarso di capitali) sottratte agli investimenti e ai finanziamenti ad aziende e iniziative produttive (e già ora ci lamentiamo del “credit crunch”!)
Ultimo problema: la possibile, anzi quasi certa, fuga di capitali all’estero. All’annuncio del probabile cambio dell’euro in lira è ovvio che chi possiede capitali cerchi in ogni modo di convertirli in valuta estera: significa vedere in un sol colpo aumentare il valore del proprio capitale del 20/30%. Chi non lo farebbe?
Solo rimedio possibile: un controllo rigido e asfissiante sulla circolazione dei capitali: un altro modo per tornare ad un’economia autarchica, dirigista e statalista di cui non sentiamo affatto la mancanza!
Tutti noi vorremmo tornare all’Italia del “miracolo economico”, ma temiamo che la strada maestra, l’unica percorribile, sia quella di cambiare una classe politica disastrosa, una burocrazia soffocante, una moralità pubblica inesistente: la via del cambio della moneta temiamo sia, più che una scorciatoia; una trappola mortale per il nostro Paese.
Angelo Gazzaniga