Chi spezzò le ali a Raul Gardini

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Gardini fu il capro espiatorio del tentativo di bloccare la fusione Eni-Montedison: una teoria complottista o la verità?

In un Sistema Italia sempre più stressato dal suicida “moltiplicatore costituzionale” della decrescita ¬- più debito più recessione più disoccupazione – che è il Fiscal Compact in seno al socialismo neoliberista della “neoCostituzione preventiva” (una macroscopica distorsione dei principi dell’economia di mercato), pochi ricordano una tragica vicenda: l’assassinio imprenditoriale di Raul Gardini e la sua istigazione al suicidio, qualche anno più tardi, da parte di quello che il liberale a 24 carati Piero Ostellino chiama “lo Stato etico”.
Per uccidere nella culla l’“operazione trasparenza” della joint-venture tra Eni e Montedison, punto nevralgico della “più importante operazione di fusione tra l’industria chimica pubblica e quella privata (vedi “Paradiso Ior”)”. La nascita secondo lo spirito avventuriero del “capital venture” di una “società mista paritetica con l’80% delle azioni equamente divise tra Eni e Montedison e il restante 20% sul mercato”-si chiede il copyright ai giudici di Milano-, forte della sponsorship di un politico estremamente complesso come Claudio Martelli avrebbe sdoganato per sempre la via italiana al modello renano dell’economia sociale di mercato, quale prolungamento dell’eredità di Enrico Mattei con altri mezzi. Troppo bello per essere vero. Il quadro tratteggiato dai giudici della V sezione penale del Tribunale di Milano disvela il “pactum sceleris” tra la mangiatoia del Caf e la parte più conservatrice della magistratura, nell’azione di “stalking giudiziario” versus il capitano coraggioso, troppo coraggioso, outsider un po’ matto Gardini:“In una situazione caratterizzata da una costante crescita degli utili del comparto chimico dell’Eni (61 miliardi nel 1987, 487 miliardi nel 1988) nel gennaio/ febbraio del 1988 assumevano caratteri di concretezza le trattative per la creazione di un polo chimico tra l’ente, la cui presidenza era allora ricoperta dal prof. Franco Reviglio, e la Montedison Spa, di cui era presidente Raul Gardini, avente quale finalità quella di “razionalizzare” e potenziare la chimica italiana”. Il Caf si arrabbiò moltissimo (tra cui il cattolico ciociaro Giulio, un evergreen nella banalità del male) e non gliela perdonò. Sono i giudici a denunciarlo:“La corsa di Gardini alla “privatizzazione” di Enimont era stata in varie forme ostacolata dalla parte pubblica e da forze politiche ed istituzionali, le quali non intendevano rinunciare al controllo sugli enti che gestivano la chimica italiana in considerazione dei rilevantissimi interessi-di natura economica, politica, sindacale-che ruotavano attorno ad essi. Nel corso dell’esame delle fasi salienti della vicenda Enimont si è infine rilevato come la corsa di Gardini avesse subito una drastica battuta d’arresto con l’emissione, in data 9 novembre 1990, da parte del presidente del Tribunale di Milano, Diego Curtò, su richiesta dell’Eni, del provvedimento di “fermo provvisorio” delle azioni Enimont e con la nomina, in qualità di custode, dell’avvocato Vincenzo Palladino”.
Soltanto in seguito-e non prima-nel novembre 1990 oggettivamente ridimensionato dal “fermo provvisorio” e nell’imminenza del doloroso scioglimento della joint-venture Eni-Montedison, Gardini si era sentito costretto a “venire a patti con il sistema…dare del denaro al sistema politico” poiché “l’esigenza di disporre di un’ingente provvista extrabilancio (di circa 152 miliardi di lire) era sorta nella fase finale della vicenda Enimont e rispondeva al fine di corrispondere in forma occulta somme di rilevante entità al sistema politico, in previsione dello scioglimento della joint-venture Eni-Montedison”.
Chi scrive nutre la ferma convinzione che Raul incominciava a morire allora, stretto tra le pressioni delle “arciconfraternite degli interessi costituiti” e l’insostenibile stress psicologico della “perfect storm” di Mani Pulite.
L’uomo che aveva osato troppo, che aveva sfidato il sistema guardando dall’alto in basso Belzebù, recitato dai volti di Enrico Cuccia e Giulio Andreotti, era stato costretto a scendere a patti con il sistema spiritualmente vetero-sovietico di questo disgraziato BelPaese e si era infine ucciso.
Troppo intelligente e troppo fragile.

Alex Bush

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