Nei Paesi usciti dalla dittatura comunista è mancata non solo una Norimberga ma semplicemente una memoria di quanto avvenuto
La fine dei regimi comunisti in Europa ha liberato milioni di esseri umani da una dittatura che, per taluni politici e intellettuali, ciechi e sordi alla realtà, rappresentava ancora il grande sogno della rivoluzione per la giustizia sociale. Il comunismo ha mostrato a tutti il suo volto criminale e violento e, sono emersi, in modo palese i dati e i documenti che dimostrano al mondo la sua forza di oppressione, esercitata per anni su milioni di uomini e donne, accusati spesso pretestuosamente di essere nemici del popolo, e dello Stato o del partito che lo rappresentava. La voce dei dissidenti e di quegli storici che nel corso degli anni avevano fatto conoscere in Occidente la verità di una dittatura altrettanto sanguinaria del nazismo ha trovato conferme spesso agghiaccianti. Schedari delle polizie segrete, fosse comuni, prigioni e campi di concentramento diffusi a migliaia, fucilazioni di massa, processi farsa, carestie provocate dallo Stato per punire intere classi sociali, soprusi, violenze e torture d’ogni genere sono emersi alla luce del sole; non altrettanto è accaduto ai colpevoli che, con la caduta dei regimi, si sono dileguati e, in maggior parte, non sono mai stati sottoposti a procedimenti giudiziari.
In generale, non c’è stata come per il nazismo, una “Norimberga” per il comunismo, ma nemmeno si sono fatti avanti magistrati o procuratori che hanno indagato su persone e atti, la cui responsabilità criminale era da tempo sotto gli occhi di tutti. Così gli uomini delle polizie segrete, i delatori, i carcerieri, i torturatori e i magistrati di regime hanno potuto confondersi tra la folla dei controllati e dei famigliari delle vittime, impuniti. Ma anche i luoghi (carceri, campi di prigionia, segrete ecc.) sono stati di frequente destinati ad attività normalizzate (depositi di merci, scuole, caseggiati, mercati coperti ecc.), cosicché anche il culto della memoria nei siti della scomparsa, della sofferenza e della morte dei propri famigliari e amici è tornato a essere uno spazio urbano, quando non è stato distrutto dal tempo o dagli uomini.
Il risultato è una storia e una memoria difficili, se non impossibili, che hanno bisogno di “resistenti”, mossi da devozione e coraggio per ricucire il passato con il presente e lenire le ferite, cercando anche di dare giusta sepoltura alle tante vittime innocenti.
Per il nazismo, che nel 1941, dopo l’invasione dell’URSS, ha cominciato le uccisioni di ebrei all’aperto, seppellendo in centinaia di fosse comuni oltre un milione e mezzo di uomini, donne bambini, sta compiendo questo atto di pietà e insieme di ricostruzione Padre Patric Desbois, con una squadra di archivisti, archeologi, storici e volontari.
Per il comunismo, a rischio della sua stessa vita e della sicurezza della sua famiglia, in Romania, è Marius Oprea che, con la sua équipe, va a caccia di criminali di regime e di tombe nascoste. “A lungo – scrive Guido Barella che con il suo libro La tortura del silenzio (San Paolo, €. 15,00), ne racconta la storia – si è pensato che i cadaveri delle persone uccise dal regime fossero stati nascosti nei sotterranei dei palazzi del potere, ma non è così. I comunisti non hanno mai sepolto le loro vittime né dentro i loro palazzi né nei normali cimiteri, perché altrimenti si sarebbero poi trovati facilmente. No, quei corpi sono stati nascosti sotto l’erba.” Sighet, Aiud, Târgu Ocna, Ramnicu Sarat, Pitesti sono tutti carceri e luoghi di tortura in mano alla polizia di sicurezza del regime (la Securitate) che Marius Oprea vorrebbe anche trasformare in luoghi simboli del martirio del popolo rumeno, “facendo diventare le carceri del regime comunista le tappe di una marcia che attraversi così tutta la Romania, per non dimenticare mai quello che è accaduto”.
Scavando nei terreni e nei boschi intorno a questi luoghi di detenzione e tortura, Oprea scopre fosse comuni di sepoltura delle vittime.
Nel libro di Barella, si racconta anche la storia dei collaboratori di Marius Oprea, e si entra con dolore nelle vite di alcune delle vittime del regime comunista; nel tentativo di dare voce e forza a questo Centro di investigazione sui crimini del comunismo in Romania, ma insieme di restituire un nome ai tanti “sommersi” di un’epoca che ancora non ha conosciuto la giustizia umana.
Frediano Sessi