Un saggio di Aldo Mola su uno degli elementi fondamentali della democrazia e del liberalismo: la separazione tra i poteri
Urge un manualetto, no, un catechismo, no, un santino (poche righe ma chiare) che ricordi a tutti, dal Quirinale all’ultimo dei cittadini, la separazione dei poteri: esecutivo, legislativo e ordine (non potere) giudiziario. Urge per ricordarci che l’esecutivo è il governo, nominato dal capo dello Stato (imperatore, re, quel che si voglia) e approvato dal Parlamento, questo Parlamento qui, non quello che si vorrebbe in futuro.
La separazione dei poteri, cardine dello Stato garante delle libertà, esclude l’irruzione del capo dello Stato nei dibattiti in corso al Parlamento. I discorsi della Corona e quelli ex officio dei presidenti della Repubblica documentano la sobrietà dei re e (con qualche sbavatura) dei presidenti da De Nicola e Einaudi sino a Ciampi. Nessuno lanciò strali alle Camere, men che meno in incontri non istituzionali, come è accaduto in occasione dell’omaggio del “ventaglio” (che semmai dovrebbe indurre alla quiete).
Il presidente Napolitano ha invece ammonito le Camere a non intralciare le riforme volute dal governo e dal paese (una volta tanto non è stato detto che “ce lo chiede l’Europa”). Ma chi ricorda a Napolitano che il dissenso sui disegni di legge non è opposizione alle riforme ma rifiuto di riforme sbagliate? Chi gli ricorda che questo governo non è affatto espressione della maggioranza degli elettori e neppure dei votanti? Chi gli ricorda che secondo tutti i sondaggi i cittadini (cioè il Paese) vogliono l’elezione diretta dei senatori, pochi o tanti che siano?
Il punto è tutto lì: in una continua falsificazione della realtà politica.
Pertanto fissiamo alcuni punti fermi.
Iniziamo dal capo del governo, Renzi.“E’ di Matteo il fin la meraviglia;/ chi non sa far stupir vada alla striglia…”. Renzi non è né la Terza né la Quarta Repubblica. E’ una fantasmagoria di parole, di artifici, di giochi linguistici. Molto oltre il barocco. E’ il rococò. Un piolo diviene la gamba di una sedia che ancora non c’è ma ne fa immaginare altre e un’intera sala e poi l’arredo di un appartamento, di un palazzo: una ridda di visioni, premonizioni, allusioni…, che alla fine risultano ciò che sono: illusioni. Bolle di sapone. Come dimostrano i dati sul debito pubblico, il prodotto interno lordo, la disoccupazione, il caos normativo a cominciare dal fisco. E l’irrilevanza agli occhi dell’Europa (Cipro presiedette il Consiglio europeo prima del suo collasso…! tocchiamo ferro).
I fatti sono quelli che sono. In illo tempore, grazie al sostegno di tanti che volevano sbaraccare Bersani Pierluigi dalla segreteria del Partito democratico, Renzi ebbe un decoroso secondo posto alle primarie. Pazientò. La sua forza non era in lui, ma nella debolezza dei governi, cioè del Partito democratico stesso, suo azionista principale, con la benevola supervisione del presidente della repubblica, Giorgio Napolitano. Ebbe la rivincita, affossò il predecessore (“staitranquilloEnrico” rimarrà negli annali come didascalia di Cesare pugnalato in Senato) e promise tutto in cento giorni, ai quali poi aggiunse un innocente zero: mille. E poi quanti altri mille?
Ma – ed è il secondo punto da chiarire bene- quale seguito elettorale effettivo ha Renzi? Napolitano lo sa bene. Ma è meglio ricordarlo anche a lui. Alle elezioni dei deputati italiani al Parlamento europeo (un’assemblea di modesta rilevanza: conta poco per la politica estera ed economica, zero per quella militare: tutti poteri assegnati alla Commissione o, nel caso del potere militare, rimasti nelle mani dei governi o in quelle della Nato) il Partito democratico ha ottenuto il 40,8% dei voti dvalidi ma appena il 22% di quelli degli aventi diritto. Al tempo stesso, però, ha fagocitato i due alleati di governo, Nuovo Centro Destra e UDC e quel che rimaneva dell’intruglio di Mario Monti e altri, anche se questi “partiti”, ormai palesemente senza seguito elettorale, continuano ad avere in carica ministri “pesanti” dall’Interno alla Sanità, dall’Istruzione a Infrastrutture e Trasporti: un precedente inquietante, che la dice lunga sull’anomalia del quadro politico-istituzionale che annaspa disperatamente nel timore di una verifica elettorale: perché non si sa (o si sa troppo bene) quale potrebbe essere la risposta dell’elettorato alla prima occasione utile.
Nel frattempo che cosa fa o cerca di fare questo governo che alle Europee ha perduto consenso elettorale anziché aumentarlo? Ha abolito l’elettività dei presidenti e dei consiglieri provinciali, senza alcun significativo risparmio della spesa pubblica. Non ha sotto controllo né le regioni né i comuni, fonte e causa di sperperi spaventosi, come inutilmente denuncia la Corte dei Conti (il caso del “grattacielo” di Torino è solo uno tra i molti, ma è emblematico perché chiama in causa la trimurti Bresso, Fassino. Chiamparino).E ora chiede perentoriamente l’eliminazione dell’elezione diretta del centinaio di componenti della futuro Senato. Perché mai? Mettiamo pure che debbano contare meno di quanto ora pesino, diamo per scontato che debbano lavorare senza indennizzi di sorta (ma chissà perché, visto che gli “uffici” costano sempre di più), perché mai questi “volontari passivi del sistema rappresentativo” non dovrebbero essere eletti dai cittadini? L’esercizio del diritto di voto è forse un reato? E’ forse un rito sospetto? E’ un cumulo di brogli e frodi? Allora va abolito anche per la Camera Bassa.
Questo è il terzo mistero poco gaudioso al centro del dibattito (tra gli ormai pochi italiani che ancora si occupano della vita pubblica). Renzi non è Frate Cipolla che abilmente improvvisò la fiaba sui carboni ardenti quando scoprì che gli avevano sottratto le penne dell’arcangelo. E’ Calandrino. A forza di raccontarne, crede alle favole che narra (o si sente raccontare). Attento, però. Calandrino finì preso a sassate perché si credeva invisibile. Qui da vedere, da certificare, sono i conti dello Stato. In un’Europa che non sorride, in un Mediterraneo rosso sangue.
Non è più tempo di fiabe. Né, meno ancora, di ulteriore contrazione del diritto di voto e di confusione tra i poteri né, meno ancora, di irruzioni indebite nel dibattito parlamentare da parte di non ha titolo per intervenirvi. Quirinale compreso.
Aldo A. Mola