Riformare un pasticcio come l’articolo V della Costituzione è necessario, ma riformarlo in senso statalistico e neo-centralista è contro qualsiasi principio liberale
L’annunciata riforma del Titolo V della Costituzione è teoricamente necessaria. Effettivamente quel testo con confuse velleità federaliste, scritto in fretta e furia da Franco Bassanini e varato dalla sinistra “a colpi di maggioranza” (modalità che la sinistra rimprovera sempre agli altri ma utilizza quando le fa comodo), quel testo, dicevo, ha creato un mare di problemi: in particolare conflitti di competenze e di attribuzioni fra stato e regioni e discrezionalità esagerate di regioni ed enti locali. Andava certamente riformato. Il guaio è che la riforma annunciata appare di tipo dichiaratamente statalista e neo-centralista: riportare cioè a Roma tutto (o quasi) il potere decisionale e – quello che più conta – la gestione dei soldi.
Che le regioni ne abbiano combinate di tutti i colori è fuori di dubbio, anche se non si deve escludere un certo sado-masochistico eccesso di scandalismo mediatico e giudiziario nel “cercare” e “denunciare”. Ma quando si parla di regioni, per prima cosa bisognerebbe saper distinguere, almeno per quanto riguarda i bilanci, tra la gestione finanziaria, la burocrazia, la sanità, i servizi. Insomma, anche se è sgradevole dirlo, non si può equiparare, in termini di efficienza e di costi per lo stato, la Lombardia o il Veneto o l’autonomo Friuli Venezia Giulia con la Calabria o la Campania o l’autonoma Sicilia. Comunque il ritorno al centralismo statalista è un anacronistico passo indietro, in particolare quando lo stato viene indebolito dall’alto, dalle istituzioni e dalla burocrazia europee. Mettere le regioni in condizioni di non fare danni – ed è necessario e possibile – non deve voler dire restituire questa possibilità allo stato, il quale, come vediamo ogni giorno, già ci riesce alla perfezione.
Sappiamo tutti benissimo che lo stato centrale è un pachiderma burocratico, non è più efficiente, finanziariamente coretto e rispettoso delle regole delle regioni. E su questo punto bisognerebbe fare qualche impietosa considerazione sul danno che la Lega ha provocato alla nobilissima idea federalista a cominciare da quando si liberò di Miglio per intraprendere i percorsi più volgarmente clientelari, lottizzatori e partitocratici. Ma questo è un altro discorso.
Carlo Maria Lomartire