Si parla tanto di riforma universitaria, ma cosa significa davvero per noi diritto allo studio?
Da tanto, troppo tempo, si parla di riforma dell’università: una riforma che è tanto più necessaria non solo per la situazione delle università italiane, ma soprattutto perché una nazione che non investe (o investe troppo poco) nella formazione della classe dirigente è una nazione destinata ineluttabilmente a decadere.
Dato questo su cui tutti sembrano d’accordo, ma da cui non sono sinora nate che riforme o proposte a corto respiro, adatte più a risolvere problemi contingenti o a soddisfare le richieste di poteri o caste particolarmente forti.
Secondo il nostro (modesto) parere occorre invece affrontare il problema alla radice:
Cosa s’intende per diritto allo studio?
Dovrebbe essere un concetto semplicissimo: uguale possibilità per tutti di accedere agli studi e di laurearsi: “stessa possibilità per tutti” cioè: arriva in fondo chi è più capace!
Un sistema utilizzato da millenni da un’istituzione esemplare per efficienza e capacità di selezione: la Chiesa. Quanti esempi abbiamo di figli di poveri contadini che hanno fatto carriera solo grazie alle loro capacita! Basti pensare a Papa Roncalli, figlio di contadini poverissimi!
Invece nelle nostre Università si applica il principio (falsamente) democratico e sessantottino della “laurea per tutti”: chiunque ha diritto di entrare all’università e, prima o poi, di arrivare alla laurea.
Un sistema che è falsamente democratico perché favorisce chi ha più mezzi (e può permettersi di restare universitario a vita pagando ogni anno le tasse d’iscrizione e facendosi mantenere dai genitori) e tarpa le ali ai migliori (che vedono il proprio titolo svilito dalle lauree concesse a man bassa da tante, troppe università divenute semplici “diplomifici”)
Che fare dunque? A grandi linee:
- consentire l’accesso all’università solo a coloro che siano effettivamente meritevoli (attraverso esami d’ingresso o, forse meglio ancora, attraverso esami di Stato davvero seri e validi alla fine delle scuole superiori)
- garantirsi che gli studenti restino effettivamente in corso (pur concedendo possibilità di ritardi o di sospensioni nella frequentazione)
- garantire agli studenti effettivamente meritevoli la possibilità di mantenersi agli studi senza gravare sulle famiglie (questa sì che sarebbe una norma effettivamente democratica)
- selezionare le università in base a criteri oggettivi (e non solo in base al numero degli studenti: in questo modo si incentivano i “diplomifici” anziché i centri d’elezione)
In che modo? Anche qui a grandi linee:
- abolendo il valore legale della laurea (in questo modo verrebbero premiati quegli studenti e quelle università effettivamente validi)
- istituendo un buono-scuola non spendibile (gli studenti potrebbero così scegliere senza problemi l’università che considerano più adatta a loro e più efficiente: un modo semplice e sicuro per introdurre una forma di concorrenza tra i diversi istituti in base al giudizio dei diretti interessati: gli studenti)
- introdurre un credito d’imposta per le famiglie degli studenti più meritevoli (in questo modo lo Stato non finanzia a fondo perduto, ma semplicemente anticipa dei fondi per le famiglie in un momento in cui gli studenti costano e non rendono)
Si tratterebbe di una riforma non solo a costo zero, ma probabilmente al risparmio: sia per lo Stato che eviterebbe spese enormi per finanziare università sempre più gonfie di studenti fuori corso, sia per tanti studenti che potrebbero sin dall’inizio essere avviati a carriere altrettanto valide senza perseguire il miraggio di una laurea tanto lontana quanto inutile
Angelo Gazzaniga