Fra le riforme considerate urgenti, indispensabili, irrinunciabili, non più rinviabili… ma sempre ferme al palo, in molti citano quella del Titolo V della Costituzione, a suo tempo riformato dal ministro Franco Bassanini (Pd) con un governo di centrosinistra che, ampliando l’autonomia delle regioni, sperava di assecondare le spinte federaliste della Lega. Quella riforma però, scritta e approvata frettolosamente solo dalla allora maggioranza di sinistra, di fatto ha creato una serie di situazioni conflittuali fra poteri dello Stato e in particolare fra Stato e regioni, soprattutto in materie importanti e sensibili come la realizzazione di infrastrutture e la produzione e distribuzione di energia. Materie che devono, oggettivamente, restare di competenza finale dello Stato.
Il risultato della riforma Bassanini è stato una serie infinita di conflitti di competenze con conseguenti paralisi e accumuli di ritardi. Perciò ora si vuole di nuovo cambiare tutto, anche sull’onda della pessima reputazione che l’istituto regionale è riuscito a guadagnarsi negli ultimi anni inanellando una impressionante serie di scandali e sperperi.
Un ottimo clima, dunque, per “rimettere la Regione al suo posto” e restituire allo Stato centrale il potere di un tempo. Già, come se quest’ultimo non fosse inefficiente, corrotto e sprecone quanto se non di più delle Regioni. Con la differenza che, se non altro, queste ultime sono più vicine al cittadino e un po’ più facilmente controllabili. Come, d’altra parte, dimostra proprio la scoperta della catena di scandali e scandaletti regionali degli ultimi tempi. Insomma ben venga la riforma della riforma del Titolo V, ma facendo bene attenzione che non sia un pretesto per ripristinare quello statalismo ipercentralista e iperburocratico tipicamente italiano, che vorrebbe essere napoleonico ma riesce solo ad essere borbonico.
Sulla strada dell’autonomia – se non del federalismo, termine che la Lega ha fatto diventare quasi una parolaccia – non si può tornare indietro, non costringeteci a scegliere fra un decentramento pasticciato e un disastroso centralismo. Si tratta di definire meglio le competenze del centro e quelle della periferia e non di riportare tutto al centro. D’altra parte fino ad ora a pagare in termini di sottrazione di risorse e tagli dei costi è stata quasi solo la periferia, Regioni, Province e, più di tutti, Comuni. I sacrifici dell’amministrazione centrale sono stati minimi e più nominali e di facciata che reali. La spesa pubblica, anzi, continua ad aumentare, Non ha senso, perciò, restituire anche tutto il potere a Roma. Anzi sarebbe controproducente, visto anche l’uso che ne fa.
Carlo Maria Lomartire