Grazie ad un informato articolo di Luigi Ferrarelle, pubblicato il 19 u.s. sul Corriere della Sera, apprendiamo che in un anno i ricorsi in Cassazione sono 52.843, di cui 33.980 giudicati inammissibili, 7.600 di imputati che in primo grado avevano chiesto il patteggiamento- e magari fatto di tutto, per concordare con il Pm, la pena per il reato contestato- ma che poi, avendolo ottenuto, lo impugnano “al solo scopo di allontanare il più possibile il momento in cui quella pena da loro concordata diventerà definitiva” e, quindi, sarà eseguita. Inoltre, si andrebbe affermando la nuova moda di impugnare in Cassazione la sentenza di condanna “senza nemmeno fare lo sforzo di inventare un qualsiasi motivo per cui sarebbe sbagliata, ma anzi candidamente spiegando che il ricorso viene presentato per finalità trasversali, al solo fine di evitare il passaggio in giudicato della sentenza”, sempre per allontanare l’esecuzione della pena. Infatti anche questi ricorsi- per quanto manifestamente strumentali, anzi, dichiaratamente infondati- come tutti gli altri, devono essere gestiti per la trasmissione dalla Corte d’Appello alla Corte di Cassazione, la registrazione, la fascicolazione, l’assegnazione alla sezione competente, la fissazione dell’udienza , in media 7 mesi dopo il deposito del ricorso, perché finalmente la sezione competente possa dichiararli inammissibili con un’ammenda simbolica di 1000 euro. Un disastro!
Ma questo è l’effetto. Occorre individuarne le cause, se si vuol tentare di porre rimedio ad una situazione totalmente fuori controllo, alla deriva. Con due premesse:
che i ricorsi immotivati sono uno scandalo cui porre rimedio con ogni mezzo;
che 7 mesi sono un tempo intollerabile per effettuare operazioni “materiali”.
Ciò posto, la Magistratura sostanzialmente punta l’indice contro il legislatore per quel che riguarda l’impugnazione della pena patteggiata e gli avvocati per la proposizione di 7.621 ricorsi “inutili”.
In effetti, avere la possibilità di impugnare una condanna concordata, e spesso addirittura invocata, è un’assurdità. D’altra parte per l’art. 111 della costituzione “Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali è sempre ammesso il ricorso in Cassazione per violazione di legge” e gli avvocati, esattamente come i giudici, possono sbagliare, ci mancherebbe altro.
La verità è che per introdurre il patteggiamento- su suggerimento e incalzante insistenza della magistratura, che di fatto già lo praticava- si è violata la costituzione, ed in particolare l’art. 112 per il quale il Pm “ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”, attribuendogli invece un enorme potere discrezionale di natura sostanzialmente “politica”, che mai avrebbe potuto avere, e per farlo si è mascherato l’accordo tra le parti, aggiungendo una “verifica” dello stesso, mediante una pronuncia del giudice che praticamente lo conferma, ma formalmente lo supera, e che ovviamente è impugnabile in Cassazione. Il solito pasticcio all’italiana.
Detto questo, il numero dei ricorsi in Cassazione, ammissibili e non, è ingestibile. Come mai ? Forse gli italiani sono patologicamente litigiosi? Anche, ma sta di fatto che solo qualche decennio fa non lo erano più di tanto e il sistema funzionava. Forse gli avvocati sono troppo impreparati ? Anche, ma non hanno nessun potere, una giustizia efficiente ne potrebbe e dovrebbe stroncare le azioni sbagliate sul nascere. Io sono convinto che la prima, se non l’unica, causa del disfacimento della giurisdizione della Cassazione sia costituita dalla sua rinuncia alla sua funzione.
Tutto il nostro sistema giurisdizionale è fondato sulla sicurezza dell’interpretazione della legge, stabilita dalla Cassazione. Sennonché questa , ormai da decenni, ha praticamente rinunciato a tale sua unica e fondamentale funzione, diversamente adattando la propria interpretazione della legge ai casi di specie. E su questo potremmo intrattenerci a lungo. Ricordiamo solo che Gherardo Colombo- l’ex pm di mani pulite poi divenuto consigliere di cassazione, non certo sospettabile di conservatorismo- si è dimesso, perché talvolta la stessa sezione della Cassazione, con due Collegi diversi, operanti magari contemporaneamente l’uno all’insaputa dell’altro, dava interpretazioni diverse ed opposte della stessa legge, cosicché egli non credeva più nel suo lavoro. Stando così le cose, chi non tenterebbe la sorte?
Ferdinando Cionti
Con questo articolo l’avvocato Ferdinando Cionti. inizia la sua collaborazione con Libertates Avvocato a Milano dal 1960 ed esperto di marchi, si è laureato in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Napoli nel 1960, ha iniziato subito la pratica professionale a Milano. Dal 1960 al 1970 ha collaborato con celebri avvocati, quali il prof. Giandomenico Pisapia, Mario Luzzati e Remo Franceschelli. Negli anni settanta, ha fondato lo “Studio legale Cionti”. Nella sua ultraquarantennale attività ha maturato esperienze in quasi tutti i settori del diritto civile e anche in alcuni settori del diritto penale, ma, coerentemente ai suoi interessi scientifici, si è sempre occupato e ancora si occupa, prevalentemente, di proprietà intellettuale.Ha pubblicato tra l ‘altro ( Giuffrè)i: La funzione del marchio (1988); Alle origini del diritto all’immagine (1998); La nascita del diritto sull’immagine (2000); La funzione propria del marchio (2004).