È inoppugnabile che in quell’anno gli organi dello Stato accettarono in qualche modo le richieste della mafia: ma sospettare che autorità ufficiali abbiano tradito Falcone e Borsellino è pura dietrologia
Spero che i lettori si ricordino di qualche dato relativo alla cosiddetta teoria dell’informazione, da cui sappiamo che contano, fanno vera e propria informazione, i dati provvisti di consistenza e anche di novità, se invece questi si moltiplicano in misura caotica, cadiamo nella ridondanza o addirittura nel rumore. Ebbene, oggi la sterminata serie di talk show ci fa vivere proprio in stato di ridondanza o di assordante rumore, per cui certi dibattiti continuano a rimasticare gli stessi problemi, trascurando del tutto alcuni punti fermi che invece proprio in trasmissioni precedenti, meglio condotte, sono stati conseguiti.
Questo è pure lo stato della tormentata questione dei rapporti tra stato e mafia. Si è avuta una trasmissione di qualche tempo fa condotta da Mentana, non ricordo bene se si trattasse di un Bersaglio mobile, in cui Nicolò Amato, per qualche tempo Direttore generale degli istituti di prevenzione e pena, questa la dicitura ufficiale, disse delle cose memorabili, e direi con schietto sapore di verità. Lasciamo stare il capitolo Falcone-Borsellino, stragi del 1992, per le quali mi sembra che sia pura e semplice dietrologia gratuita pensare che qualche ramo ufficiale dello Stato consegnasse i due al braccio armato della malavita, quando sarebbe bastato semplicemente rimuoverli dalle loro funzioni, secondo il classico promoveatur ut amoveatur. Sicuramente ci furono delle talpe, o deviazioni di servizi segreti, che fecero giungere agli attentatori le notizie utili per la consumazione dei due crimini, ma lo Stato nel complesso reagì nel modo dovuto stringendo le maglie della prevenzione dura nelle carceri col famigerato 41 bis, e proprio la testimonianza di Amato lo assicura in modo perentorio.
Si deve dunque venire all’anno dopo, quando la mafia manda una lettera (febbraio) alle varie autorità dello Stato, a cominciare dal Presidente della Repubblica passando per i vescovi di Firenze e di Milano, e perfino per Maurizio Costanzo e Vittorio Sgarbi, chiedendo l’alleggerimento di quelle norme, minacciando gravi ritorsioni in caso contrario. Lì per lì lo Stato resistette, e allora appunto scattò la punizione, con gli attentati del maggio 93 rivolti proprio a colpire i vari destinatari di quella lettera che avevano osato far finta di niente. Entrano in questo capitolo l’attentato non riuscito del maggio 93 ai danni di Costanzo, e invece quello riuscito a Firenze, Georgofili, e magari in ritardo l’ultimo a Milano, Via Palestro. A quel punto è vero che gli organi dello Stato si spaventano, il presidente Scalfaro dà ordine all’allora ministro della giustizia Conso di licenziare il troppo rigido Amato, il che avviene nel giugno di quell’anno disgraziato, appunto il ‘93, sostituendolo con altra persona più morbida, incaricata appunto di attenuare il 41 bis, di ridurre il numero delle persone sottoposte ad esso, e di renderlo comunque più sopportabile.
Sembra proprio che questi siano dati inoppugnabili, tali da costituire un nucleo davvero “informativo”, tutto il resto, che si continua a far piovere attorno ad esso, è solo rumore o ridondanza. Resterebbe tutt’al più il compito di trovare gli infami che fecero sapere alla mafia i movimenti dei due condannati, ma non si sospetti inutilmente di un tale crimine le autorità ufficiali della Repubblica.
Renato Barilli