Uno sciopero può avere tantissime motivazioni: ma quella dell’ultimo sciopero generale è stata molto originale: perché non cambi niente
L’appena concluso sciopero generale ha mostrato ancora una volta come in Italia non si debba parlare tanto di destra e sinistra quanto di “immobilisti” e “innovatori” .
Uno sciopero (tanto più se generale) si può fare per diversi motivi:
- per promuovere un’iniziativa, o una legge o un idea (e non sembra proprio questo il caso: lo slogan era “così non va!”, cioè quanto di meno propositivo ci possa essere)
- per difendere qualcuno (o come gruppo o come classe) oggetto di attacchi o minacce (chi?)
- per respingere un’iniziativa o una proposta.
Ovviamente è questo il nostro caso: ma quale proposta? Il Job act renziano e la legge Fornero montiana; due provvedimenti discutibili e migliorabili fin che si vuole, risultato di compromessi più o meno pasticciati, appoggiati da centro sinistra e centro destra, ma comunque frutto di quella necessità ormai indifferibile di riformare un sistema invecchiato e ingessato quale quello italiano.
E il sospetto è proprio questo: è uno sciopero non tanto contro questa o quella legge, ma uno sciopero contro qualsiasi riforma, da qualsiasi parte venga (non dimentichiamo lo sciopero generale fatto sempre dalla CGIL quando Berlusconi cercò di abolire l’art. 18).
Uno sciopero in difesa dello status quo, della conservazione dell’esistente a qualsiasi costo, a spese dei più deboli e di chi non trova lavoro.
Uno sciopero fatto per difendere le posizioni di potere ormai consolidato e mai democraticamente verificato (come richiederebbe la Costituzione) di un sindacato (con una maggioranza di pensionati) legato alla concertazione e al potere di blocco anziché alla difesa dei veri interessi dei lavoratori, che non sa ormai offrire che slogan e dinieghi.
Non vogliamo con ciò affermare che il sindacato non serva: anzi. Secondo i liberali, e noi di Libertates non facciamo eccezione, esso è un elemento fondamentale per la democrazia e la libertà economica e politica, nell’interesse non solo dei lavoratori ma di tutta un’economia sana ed efficiente.
Un sindacato però che (parliamo soprattutto della CGIL) non guardi, da vero e autentico difensore dello status quo, sempre all’indietro, ai fastigi del buon tempo passato (per loro) ma che si adegui ai cambiamenti sempre più rapidi dell’economia e della globalizzazione. Mentre tutto cambia, l’economia, i mercati, i partiti, il modo di far politica, le esigenze stesse dei cittadini, solo loro sono rimasti saldi come una roccia a rifiutare qualsiasi riforma: certo potrebbero perdere un certo tipo di potere acquisito, ma così rischiano di far perdere il treno all’Italia tutta.
Che la divisione destra-sinistra sia ormai superata lo dimostra anche il fatto che una legge di riforma del mercato del lavoro sia stata proposta in Italia prima dal centro-destra di Berlusconi e poi dal centro-sinistra di Renzi e in Europa dal premier di centro-destra spagnolo Rajoy e da quello di centro sinistra di Schroeder…; il vero scontro è ormai tra immobilisti (che nulla hanno a che fare con la gloriosa tradizione conservatrice europea) e innovatori.
Angelo Gazzaniga