Micaela Ghitescu, dopo aver ben conosciuto cosa significasse il regime in Romania ha dedicato la propria vita al recupero del passato della Romania comunista.
A Jilava, piccolo centro a sud di Bucarest, si trova quello che è stato il principale carcere di smistamento dei prigionieri politici della Romania comunista. Qui inizia il viaggio verso l’inferno di Micaela Ghiţescu, singolare figura di traduttrice e promotrice culturale, imprigionata dall’apparato repressivo della Securitate per il solo motivo di frequentare una scuola borghese filo-occidentale come il Liceo francese di Bucarest. Grazie a Rediviva, piccola ma volitiva casa editrice italo-romena, oggi possiamo leggere in traduzione italiana il bel libro-testimonianza Tra oblio e memoria (traduzione di Ingrid Coman) presentato nei giorni scorsi a Milano nell’ambito della rassegna BookCity 2014.
Nata nel 1931 a Bucarest da una famiglia medio-borghese (madre insegnante di lettere, padre chirurgo), dopo tre anni durissimi di detenzione prima a Jilava e poi nel carcere femminile di Mislea, viene scarcerata nel 1955 per poi laurearsi in filologia all’Università di Bucarest. Ma non può esercitare la professione per aver dovuto firmare una dichiarazione in cui dichiarava di “non offrire garanzie per l’insegnamento e che non ne avrebbe mai fatto richiesta”. Per sopravvivere affronta con coraggio vari lavori: operaia specializzata, traduttrice tecnica, documentarista in un istituto di ricerche farmaceutiche, fino a ottenere un incarico da redattore principale alla Biblioteca Centrale Pedagogica di Bucarest. Inizia anche la sua carriera di traduttrice letteraria che la vede pubblicare in oltre 40 anni circa 80 volumi di traduzioni da diverse lingue (portoghese, spagnolo, francese, tedesco e inglese) per le quali ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti.
E’ a lei soprattutto che si deve, in Romania, l’importante operazione di recupero del passato comunista, fortunosamente non andato del tutto disperso nei vari interventi di “pulizia” della Securitate. Nel 2003 fonda e dirige «Memoria» – la rivista del pensiero arrestato, uno dei principali contributi alla memorialistica carceraria in Romania durante il comunismo. Un capitolo tragico e quasi del tutto sconosciuto in Occidente: dal 1948 alla caduta del regime oltre 3 milioni di romeni vengono incarcerati, 800.000 muoiono a seguito delle terribili condizioni carcerarie o vengono fucilati e uccisi (circa il 15-20% dei prigionieri politici).
Oggi, a 83 anni, Micaela Ghitescu si autodefinisce “una professionista della sopravvivenza”, tratto comune, a ben vedere, alla maggior parte degli uomini e donne vissuti in una fase storica in cui la dissimulazione e l’ingegneria del presente erano i soli mezzi per arrivare al domani. Tanti sono gli episodi narrati a fil di voce e con un fondo di ironia anche nelle situazioni più drammatiche. Come, ad esempio, quando l’arrestarono mettendole i famigerati occhiali di latta e togliendole quelli da vista. Questo, sarà il suo maggiore cruccio nel terribile anno che precede il processo: non poter vedere in faccia i suoi aguzzini. O la constatazione della propria impotenza negli estenuanti interrogatori che poi deve sottoscrivere, scoprendo ogni volta che quello che aveva detto era stato reinterpretato: “le cose non erano propriamente non vere, ma loro le travisavano a modo loro e alla fine ne uscivi sempre colpevole.”
Il volume della casa editrice Rediviva è il secondo della collana di memorialistica e segue il saggio Le catacombe della Romania – Testimonianze dalle carceri comuniste 1945-1964, curato da Violeta Popescu, presidente del Centro Culturale Italo-Romeno di Milano, presentato lo scorso maggio al Salone del libro di Torino. Un contributo che allarga l’orizzonte alla situazione carceraria di tutta la Romania nel periodo successivo alla presa del potere del partito filo-comunista di Petru Groza e alla creazione della Repubblica Popolare Romena nel dicembre del 1947.
Micaela Ghitescu