Ci sono delle somiglianze con la situazione del 1994? E cosa possono insegnarci?
Vent’anni dopo la clamorosa “discesa in campo” di Silvio Berlusconi, che in due mesi riuscì prima a fondare un nuovo partito (Forza Italia) e poi contro tutte le previsioni a vincere le elezioni politiche con il Polo delle Libertà, alcune impressionanti similitudini devono indurre alla riflessione.
Prima somiglianza: il potere incontrollato della magistratura. Il Pool di Mani Pulite, guidato allora dal procuratore capo di Milano Saverio Borrelli e con il pubblico ministero Antonio Di Pietro come “punta di diamante”, riuscì a scardinare fra il 1992 e l’anno seguente il sistema democratico dei partiti, indagando un terzo dei parlamentari e affermando il potere incontrastato di una “oligarchia aristocratica” non eletta dal popolo. Il culmine di quella azione politica, illustrata da Ferdinando Cionti nel suo importante saggio “Il colpo di Stato” (pubblicato da LibertatesLibri) fu l’abolizione della autorizzazione a procedere per i parlamentari, concesso da una classe politica in ginocchio, e che di fatto demolì la separazione dei poteri fra legislativo e giudiziario.
Oggi, vent’anni dopo, l’influenza della magistratura, massicciamente presente in parlamento e impersonata al di fuori di esso dal “partito dei giudici”, mantiene pienamente ed esercita senza contrasto, né alcuna investitura popolare, una facoltà di veto che spesso travalica in egemonia politica di fatto.
Seconda somiglianza: la forza politica largamente dominante in Italia, allora come oggi, è la sinistra. Si trattava nel 1994 della “gioiosa macchina da guerra” guidata da Achille Occhetto e battezzata “Alleanza dei Progressisti”, unica forza apparentemente in grado di vincere le elezioni, perché unica ad essere risparmiata dal Pool di Mani Pulite dopo la disintegrazione del vecchio pentapartito.
Oggi, il Pd di Matteo Renzi, diretto discendente della dinastia politica Pci-Pds-Ds – con l’aggiunta della vecchia sinistra democristiana – appare largamente dominante in tutte le intenzioni di voto, oscillando fra il 41 per cento ottenuto alle ultime elezioni europee e addirittura il 49 per cento di gradimento di cui gli ultimi sondaggi ancora gratificano il capo del governo.
Terza somiglianza: oggi, come nel 1994, la sinistra rappresenta gli interessi e difende il “partito dei giudici” e la oligarchia aristocratica della magistratura. Salvo – come vent’anni fa l’ala migliorista subito decimata da Mani Pulite – poche voci garantiste e alcune dichiarate intenzioni di riforma della giustizia (ben lontana da una reale separazione delle carriere e certo non in grado di intaccare l’alleanza corporativa fra giudici e pubblici ministeri).
Quarta somiglianza: il vecchio centrodestra, ormai declinante e incapace di imbastire una coerente e articolata opposizione (anzi, in gran parte a rimorchio della prassi di governo e culturalmente succube del pensiero politicamente corretto), si affida alle forze residuali di Silvio Berlusconi, visibilmente erose e arroccate ormai attorno ad indeboliti centri di potere contrattuale (il cosiddetto Patto del Nazareno). Anche se Forza Italia dovesse superare – ma non è affatto certo – la soglia del 15 per cento alla prossima tornata elettorale, non potrebbe sperare di contrastare un Pd di Renzi che appare, di fatto, senza veri avversari alle prossime elezioni. Proprio come sembrava dovesse accadere nel 1994, quando i resti del Pentapartito tentavano flebilmente di organizzare una forza politica in grado di competere con la sinistra, senza rendersi conto di essere già stati abbandonati dagli elettori.
Quinta somiglianza: oggi, come nel 1992-94, l’unico partito in ascesa al di fuori dell’area di sinistra è la Lega, passata dal separatismo populistico di Bossi al populismo tout court di Matteo Salvini. A prescindere dal fatto che la Lega di quest’ultimo si presenta ormai come una formazione personalistica e rissosa, quasi una variante dei Cinque Stelle di Grillo, essa incarna – proprio come nel 1994 – l’avversario ideale per il Pd di Renzi: non votabile dalla maggioranza dei moderati, estremista e certamente perdente di fronte alla nuova “gioiosa macchina da guerra” organizzata da Renzi.
Sesta somiglianza: oggi, come nel 1994, si ondeggia fra ipotesi incerte e contraddittorie di nuove leggi elettorali. Nel 1991 si era usciti dalla “maledetta proporzionale” grazie a un provvidenziale referendum popolare (quello promosso da Mariotto Segni). Ma l’esito poi fu il “Mattarellum”: una mistura di sistema maggioritario e proporzionale che, se finì col favorire il “nuovismo” del partito di Berlusconi, conteneva già in sè il germe della sua successiva dissoluzione. Adesso si prepara una legge elettorale dai contorni confusi e arbitrari (come sempre quando si ragiona di soglie di sbarramento e premi in seggi) mentre sullo sfondo resta lo spauracchio di un sistema proporzionale puro, uscito con motivazioni discutibili, e dopo l’ennesima invasione di campo, da una sentenza della Consulta.
Insomma, ce n’è abbastanza per preoccuparsi. E non è affatto detto che si possa contare ancora una volta sullo “stellone” italiano. Allora è giunto il momento di raccogliere le forze democratiche e liberali attorno a un progetto fatto di valori, cultura politica, proposte chiare e capacità di impegno sul campo. Tutto il contrario di quello che fino ad ora Berlusconi, Salvini, Alfano, i residui montiani e i neo-populisti Fratelli d’Italia hanno mostrato di voler e saper fare.
Se le condizioni per una rivincita e un reale cambiamento in senso liberale esistono, Libertates ci sarà. A cominciare dai punti chiave di un programma senza compromessi.
Dario Fertilio