Il vecchio criterio rappresentativo delle democrazie occidentali sembra sempre più in crisi, ma per ora non si riescono a trovare dei correttivi
In questi giorni non si fa altro che parlare dei mali dell’ anti-politica, dei partiti liquefatti, dell’indifferenza dimostrata dalla cittadinanza verso il richiamo delle elezioni, e così via. Senza dubbio è lecito andare alla ricerca delle colpe passate e recenti che hanno reso possibile questa caduta d’interesse per le varie consultazioni ufficiali, ma mi pare che non si sappia, o non si osi, risalire ai motivi di fondo, che come sempre devono collegarsi a forti rivolgimenti in atto a livello culturale, se ovviamente si prende questa nozione in tutta la sua pregnanza, facendola corrispondere alla cultura materiale, e alla sua massima espressione, la tecnologia.
Bisogna insomma rifarsi ancora una volta agli insegnamenti del buon vecchio McLuhan, vincendo la presunzione di averli appresi a memoria e già archiviati. Per dirla nei suoi termini, stiamo vivendo una lunga transizione dalla Galassia Gutenberg a quella incentrata invece sui media elettronici. Ammettiamolo pure, i cosiddetti “immortali principi” dell’89, della Rivoluzione francese, sono viceversa, come tutte le cose umane, condizionati da un timer inevitabile, legato appunto ai mutamenti tecnologici. Non per nulla quei principi vengono anche designati come appartenenti al sistema borghese, quando gli attori delegati erano ricchi e influenti proprietari di beni e in possesso di una valida educazione. Poi i diritti si sono estesi a tutta la cittadinanza, ma sempre nel rispetto dell’individualismo, ciascuno chiamato a mettere una croce su un elemento cartaceo, la scheda, ma a intervalli decisamente troppo lunghi, un quinquennio, presso di noi. Siamo così chiamati ad affidare una rappresentanza a esponenti scelti con fatica, o in tanti casi senza poter manifestare una propria scelta, esponenti che poi si rendono autonomi, incontrollabili.
Naturalmente gli inconvenienti di un simile sistema, diciamo così, a maglie larghe, pieno di buchi, sono già stati lamentati più volte, però col correttivo immediato che nulla di meglio è stato trovato, e infatti dobbiamo deplorare i tanti paesi del mondo che quei sistemi pur così rarefatti non riescono a darseli. I fallimenti su questo piano della “primavera araba” sono dolorosamente eloquenti. Anche per questo verso, insomma, le costrizioni della tecnologia si fanno sentire, dobbiamo ammettere che gli “immortali principi” francesi valgono solo per i Paesi in cui la classe borghese ha saputo condurre la rivoluzione industriale, con esclusione dell’infinito numero di nazioni che invece per quella fase costitutiva non sono passati.
Ma ora, il disagio sta cogliendo anche i primi, urgono da tutte le parti esigenze di contatti più diretti e frequenti, di consultazioni telematiche, oppure di predicazioni e dibattiti che avvengono al caminetto elettronico. Aumenta il fascino di protagonisti di un dibattito incalzante, non più mediato dalla carta stampata ma sgorgante proprio dai tanti canali televisivi. Si assiste insomma alla crisi del vecchio criterio rappresentativo, il che avviene anche nelle arti, che abbandonano la tela dipinta per affidarsi a una performance condotta dal vivo e in tempo reale. Sia ben chiaro che io personalmente non ho una soluzione certa a questi dilemmi, mentre dichiaro la mia risoluta contrarierà ai vari appelli alla rete che ci vengono da Grillo e compagni, ma proprio in forza della mia adesione al mcluhanismo non posso neppure ignorare le esigenze che ne conseguono. Siamo insomma nel pieno di un processo di transizione, si allontanano vecchi porti, e non si intravedono nuovi approdi sicuri.
Renato Barilli