L’idea di un Manifesto sembra in contrasto con quella di uomo libero: si può farne uno per i liberi consumatori?
Premessa. Il titolo e’ un ossimoro. Come fa un libero ad avere un manifesto? Piu’ di qualcosa non torna: un libero camperebbe quindi alla giornata, sarebbe una sorta di simpatico giramondo da ospitare una sera a cena e da non dare mai in moglie o marito al proprio pargolo? Se poi, oltre che libero (difficilmente influenzabile) e’ anche consumatore, come la mettiamo visto che non consentirebbe a nessun negozio o ad una qualsiasi economia di programmare le proprie offerte commerciali?
Quindi: Manifesto. Libero. Consumatore… un disastro per un’economia? Un vezzo culturale senza costrutto nella realta’ del quotidiano e del vivere comune? Roba che un qualunque mediocre ispirato all’economia marxista del 1800 e al pensiero socialista e liberale del 1900 metterebbe all’indice come pericolo per qualunque forma di organizzazione sociale, figuriamoci statale?
Puo’ darsi. Per chi considera l’umano come soggetto da organizzare, irregimentare, perche’ solo cosi’ si farebbe il bene comune. Bene che dovrebbe nascere dalla costrizione, dall’annullamento dell’individualita’, annullamento spacciato per benessere anche del medesimo individuo.
C’e’ un cane (essere vivente noto come costante e affidabile) che dice ad un altro cane: sai qual e’ la caratteristica degli umani? Incostanza e inaffidabilita’. Gli umani sono quelli che dicono di volerti bene e poi ti abbandonano lungo una strada o ti tengono chiuso in casa mentre loro vanno a divertirsi, ti vogliono e -anche tra loro umani- si vogliono “un bene da morire”, da farti morire o da ammazzarsi fra di loro per amore. E sono questi umani che i mediocri di prima mettono in gabbie (culturali, sociali e materiali) per far loro credere di poter essere felici. Chi ammazza per amore lo fa nel nome del proprio dio, sia esso spirituale che materiale, ma sempre un qualcosa che lui dice di controllare poco perche’ potenza a lui esterna e superiore, e a cui si ispira per far bene a se stesso e a quelli che ama, dovendoli anche ammazzare in nome di questo amore.
Dio -come detto- spirituale o materiale. Con la promessa di un paradiso extra-terreno o di benessere terreno (1). Tante le figure: Allah, Stato, Dio (con la d maiuscola), Monarca, etc. Tutto un contesto in cui l’individuo, il nostro libero e consumatore, non c’e’.
E noi vogliamo scrivere un manifesto per questo libero? E’ un vezzo storico, dove quelli che ora mi ricordo sono: il manifesto dei Dieci Comandamenti, il manifesto del Partito Comunista, il manifesto di Ventotene, e chi piu’ ne ha piu’ ne metta; nel nostro procedere, qualunque manifesto ci porterebbe al medesimo punto su cui stiamo girando intorno: i sogni. Ma come si fa a scrivere un manifesto dei sogni? Facile per chi si crede “dio sceso in terra” (2). Impossibile per chi reputa di non poter e di non essere in grado di scrivere sui sogni propri (figurarsi su quelli degli altri e dei tutti). Un manifesto, quindi, delle sensazioni? O delle tendenze? O -passando alla materializzazione- per dire a qualcuno che forse abbiamo eletto o scelto o che ci siamo trovati come “capo”, per dire a questo qualcuno cosa vorremmo per essere felici? E come si fa, anche volendo, se diamo affidabilita’ alla conversazione fra cani di qualche riga sopra? Dai nelle mani di uno o tanti incostanti e inaffidabili la costruzione della tua casa o di quell’amore che forse non ammazzeresti per dimostrargli il tuo tanto?
Gia’ sento l’eco: Ma cosi’ non si va da nessuna parte! E replico: perche’ finora dove siamo andati, pur seguendo un qualche dio di quelli esplicitati sopra? Dobbiamo forse arrivare alla temporanea conclusione che gli unici manifesti che ci possono interessare sono quelli che leggiamo nelle bacheche per strada o virtuali, e ci invitano ad andare da qualche parte? E quale sarebbe l’alternativa per un manifesto degli individui, quello degli esseri sociali? Grazie, no! Gia’ dato negli ultimi secoli.
Ma, ma, ma… certo, qualche tampone c’e’. Ma basta che siamo consapevoli che sia un tampone. Dobbiamo quindi -forse- vergare una sorta di “manifesto della riduzione del danno”, dove il danno e’ quello provocato dai soggetti della conversazione tra cani.
(1) non uso per entrambi (extra-terreno e terreno) la parola paradiso perche’, nel primo caso, si possono ipotizzare le cose piu’ incredibili (chi controlla?), mentre nel secondo (dove c’e’ chi puo’ raccontare con riscontri tangibili) si puo’ lavorare di fantasia non piu’ di tanto.
(2) brutto modo di dire, ma al momento non mi viene altra espressione per esprimere un concetto che mi sembra esplicito con queste parole.
(parte prima)
Vincenzo Donvito