La regolamentazione dello sciopero nei servizi pubblici: un segno di democrazia e civiltà
Il ministro Del Rio intervistato dal “Messaggero” il 30 aprile ha dichiarato che decisioni come lo sciopero dei trasporti in una città debbano riscuotere il consenso della maggioranza dei lavoratori, come da tempo capita in Germania. Considerazioni del tutto condivisibili perché nei servizi pubblici la natura del conflitto va al di là di un confronto circoscritto tra datore di lavoro (il più delle volte soggetto pubblico o comunque soggetto a discipline pubbliche) ed i lavoratori interessati, giacché produce negativi effetti collaterali sull’intera collettività, in particolare sulle fasce più deboli. Non a caso una saggia tradizione vorrebbe che il sindacato spiegasse con chiarezza ai cittadini, scusandosi dei disagi, le ragioni della protesta.
Ciò anche per fare indiretta pressione sull’opinione pubblica, sulla politica e sugli amministratori ai quali toccherebbe comunque la responsabilità di una corretta gestione delle aziende. Gli scioperi nei servizi pubblici debbono seguire specifiche procedure, peraltro condivise con le organizzazioni sindacali. Queste regole (vanno dalle procedure di raffreddamento alla fasce orarie di garanzia, dai servizi minimi essenziali a veri e propri periodi di moratoria. Ma, essendo il diritto di sciopero riconosciuto di fatto non solo alle organizzazioni sindacali ma anche ai singoli lavoratori e in presenza di una patologica frammentazione della rappresentanza, la “regolamentazione” (seppur accettata dalla grande maggioranza delle organizzazioni sindacali) non dà sempre i risultati sperati. Per forza di cose più efficace si rivela, nelle situazioni di emergenza, la precettazione.
Per correggere le contraddizioni esistenti occorre sciogliere il nodo della natura del diritto di sciopero. Si tratta di un diritto soggettivo, tutelato in via assoluta, o piuttosto di un diritto individuale che deve essere esercitato collettivamente, presupponendo la ricerca del consenso da parte di coloro che ne sono titolari per esercitare insieme tale diritto? Dove esiste un forte pluralismo conflittuale c’è una ragione in più di far decidere lo sciopero per via referendaria dalla maggioranza dei lavoratori interessati. Così come è pacifico che la maggioranza dei lavoratori decida se accettare o respingere una ipotesi di accordo contrattuale. Purtroppo, in presenza di autorevoli e agguerrite schiere di difensori del principio dello sciopero come diritto individuale “costituzionalmente protetto”, dovremo rassegnarci al ripetersi delle recenti vicende del trasporto urbano nelle città metropolitane. L’obiettivo di cambiamento (coraggioso) che sembra porsi il Ministro Del Rio, è una sfida ben più impegnativa di quella dell’articolo 18.
Walter Galbusera