La “bad bank” ipotizzata dal Tesoro: non tanto un mezzo per aumentare i crediti, quanto per salvare gli azionisti delle banche.
Da quasi un anno, più o meno sottotraccia, continua il braccio di ferro tra UE e ministero del Tesoro per la questione bad bank.
Si tratta di una banca costituita”ad hoc” per raccogliere tutti i crediti incagliati (cioè ormai persi) delle banche italiane e cederli con forte sconto a qualche fondo specializzato in recupero crediti.
Per il Tesoro si tratta di un’operazione indispensabile per dare ossigeno alle banche (e di conseguenza far ripartire i crediti all’economia) giustificata dal fatto che è già stata fatta tre anni fa in diversi Paesi europei. Per le UE si tratta di aiuti di Stato (e quindi di concorrenza sleale) in quanto lo Stato dovrebbe garantire i fondi acquirenti dall’eventuale copertura delle perdite.
Apparentemente ha ragione il Tesoro: il meccanismo è lo stesso utilizzato tre anni fa, ad esempio in Spagna, e quindi non ci sarebbe diversità di trattamento.
Ma ci sono delle differenze sostanziali da sottolineare:
- tre anni fa le banche non erano in grado di sostenere il peso di quelle perdite: lasciarle senza aiuti avrebbe significato il loro fallimento e (per quanto siano criticabili e condannabili nei loro comportamenti) le banche sono un’indispensabile cinghia di trasmissione tra capitale e aziende
- attualmente le banche italiane si sono notevolmente rafforzate e hanno iscritto a bilancio già circa il 60% dei crediti inesigibili (che sono stati quindi già calcolati come persi e “digeriti”)
- le due grandi banche italiane (Unicredit e Intesa) hanno già dichiarato di non essere interessate ad una badbank
- calcolando che i fondi acquisterebbero questi crediti inesigibili approssimativamente al 20% del loro valore significa che nel peggiore dei casi le perdite delle banche non sarebbero superiori al 20% (100% – 60% già ammortizzato – 20% pagato dai fondi = 20%)
- sono perdite abbastanza agevolmente assorbibili dagli attuali bilanci bancari
- sarebbe più semplice che lo Stato ammettesse di ammortizzare queste perdite in un solo anno (come nel resto della UE) anziché in cinque anni (come avviene ora in Italia): lo Stato ci perderebbe delle imposte e le banche, una volta puliti i bilanci, tornerebbero tranquillamente a prestare alle industrie
perché allora scegliere una soluzione così contrastata e contorta?
Perché con la bad bank le perdite sarebbe a carico dello Stato, mentre nell’altro caso sarebbero i soci delle banche a perderci e (dato che le banche più esposte sono le popolari e le piccole banche locali), le vere perdite sarebbero a carico di fondazioni e potentati locali… le vere basi della politica.
Una soluzione vale l’altra, naturalmente, ma quello che noi di Libertates, come sempre, chiediamo è chiarezza e trasparenza: di essere trattati da cittadini che vanno informati e coinvolti e non da sudditi a cui dare notizie parziali (o neanche quelle) per nascondere i veri scopi di un’operazione.
Guidoriccio da Fogliano