Cambiano gli uomini e i nomi, ma lo scopo è sempre lo stesso: restare al potere
Chi scrive non ne può più del buonismo in chiave di solidarietà, con i suoi revival nostalgici dell’egemonia culturale della Balena Bianca travestiti da tutte le mutazioni gattopardesche del caso. Stefano Rodotà e Maurizio Landini hanno fondato la coalizione sociale che si propone dichiaratamente di lanciare un progetto di ri-nazionalizzazione fanfaniana dell’economia italiana, come risposta alla tecnocrazia dell’austerity mangia-risparmi (almeno ufficialmente). Tuttavia, nella complessa realtà delle cose tipica di un ordinamento balcanizzatosi come il nostro, dove l’entità degli scandali è paragonabile addirittura alla concezione rapinatoria dei denari pubblici che aveva la Banca Romana in età giolittiana, le motivazioni recondite del “narcisismo socialista” di due personaggi vanitosi e intrinsecamente anti-democratici come Landini e Rodotà sono assai più tristi e machiavelliche.
Essi raccolgono l’eredità del satrapismo ciociaro declinato nella sua furbesca cristianità statalista da Sprecopoli, chez la gestione parasovietica dell’economia italiana da parte dell’andreottismo, vera autobiografia della Nazione. Orbene, è la coalizione sociale che vuole impedire l’approdo di un’americanizzazione temperata della società italiana quasi come se l’incoraggiamento di un inedito rinascimento dal lato dell’offerta minacciasse di far andare per bene le cose. Lo scenario nazionale che si va delineando è esattamente il contrario di quella che il filosofo Massimo Cacciari chiama la “democrazia oligarchica”: le èlite rifiutano cioè di simmetrizzare populisticamente il loro rapporto con l’elettorato medio per cercare invece di migliorarne la qualità impedendo che l’italiano tout court rimanga fermo al “principio di piacere” (vedi Sigmund Freud); per contro la famigerata “democrazia partecipativa” di Andreotti in salsa romana e oggi del pan-sindacalismo landiniano mira geneticamente in quanto tale ad intercettare solo e soltanto il “principio di piacere” degli italiani sulla base di un mediocratico do ut des: voi confermate l’appoggio alla mia corrente e/o coalizione, e io non intaccherò i vostri privilegi. Ed è in tale direzione che Landini-Rodotà-Maltese si muovono, per conquistare il loro orticello di potere con la conseguenza devastante che la inveroconda “democrazia del referendum” prenderà il posto dell’agognato a parole ma mai realizzato impeachment anglosassone: sei bocciato se sei un asino, sei promosso se sei bravo!
La proposta del reddito minimo di cittadinanza, già analizzata con severità liberale su Libertates, e quella davvero spregiudicata di un potenziamento referendario dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori uscito fortissimo dalla sgangherata riforma Fornero, sortirebbero l’effetto di distruggere sine die la volatilità del “venture capital” (amore per il rischio imprenditoriale). Sergio Luciano in un’analisi imperdibile su Panorama ha riassunto molto bene l’incantesimo socialisteggiante del Divo dentro la cui cornice i Rodotà di oggi posizionano le pedine del loro “fascismo di sinistra”-un tempo Eugenio Scalfari lo definiva così (prima di convertirsi allo spirito sfasciatutto di Zagrebelsky molto Gustavo), che è la mentalità del “vogliamoci tutti bene”.
Alexander Bush