Il caso della sentenza sul blocco dei salari pubblici: da quando la contrattazione aziendale è materia costituzionale?
Chi scrive prende atto, con una buona dose di narcisismo intellettuale, che Alessandro De Nicola su l’Espresso ha fatto una diagnosi molto simile a quella pubblicata su Libertates a proposito del pericolosissimo “interventismo socialcomunista” dei giudici costituzionali che simmetrizzano competitivamente i loro rapporti con il legislatore, diventando giudice-legislatore – oltretutto con una inammissibile violazione del principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla Legge: i dipendenti pubblici sono intoccabili, mentre i privati possono subire vessazioni d’ogni genere.
Si può addirittura parlare di un golpe strisciante di sinistra da parte della Consulta leggendo tra le righe l’analisi raggelante dell’economista De Nicola, già fondatore dell’associazione Adamsmith.it che produce conseguenze devastanti per la libertà d’azione legislativa dell’(ex) sovrano Parlamento nel contesto della “secular stagnation” (stagnazione secolare) che richiederebbe invece decisionismo misto a governabilità: “I nostri giudici supremi, infatti, stanno continuando a influenzare profondamente la politica economica del paese. Dopo aver determinato l’incostituzionalità del blocco delle pensioni più alte e della RobinTax, questa volta i togati del Palazzo della Consulta si sono esercitati su un tema che a chi non appartiene al sacerdozio dei giureconsulti apparirebbe fuori dalla loro portata: gli stipendi pubblici.
La questione è nota: dal 2010 i salari dei dipendenti pubblici sono bloccati per legge salvo che per progressioni di carriera. Tale provvedimento è stato reiterato fino a tutto il 2015 e contro di esso sono insorti i sindacati sostenendone l’illegittimità incostituzionale. Se la Corte avesse dato loro ragione con effetti retroattivi, le casse dello Stato rischiavano, secondo l’Avvocatura Generale, un buco di ben 35 miliardi di euro, una catastrofe”. Rendiamoci conto che se la Consulta avesse dato ragione ai sindacati di cui Maurizio Landini elogia le “magnifiche sorti e progressive”, questo Paese sarebbe già in bancarotta!“Cosa ha deciso allora il nostro Giudice delle leggi? Con uno scarno comunicato…, ci ha informato che, con decorrenza dalla pubblicazione della sentenza, è stata dichiarata P“l’illegittimità costituzionale sopravvenuta del regime del blocco della contrattazione collettiva per il lavoro pubblico”.
In altre parole, bisogna rinegoziare i contratti collettivi con le maestranze…da quando la contrattazione collettiva è materia costituzionale? La contrattazione e ancor di più il suo esito è affare delle parti coinvolte, non un obbligo sancito dalla suprema legge della Nazione. E non si dica che mentre i privati possono rimanere a becco asciutto, invece i dipendenti pubblici sono protetti dalla Costituzione: questa sì sarebbe una violazione” pesante dell’art. 3 della Carta. La conclusione dell’ineccepibile articolo del professor De Nicola invita a proporre una soluzione tranchant: se è vero come è vero che “Già gli investitori si lamentano per la lunghezza e l’incertezza dei procedimenti ordinari, figuriamoci cosa accadrebbe se nessuno potesse essere certo della sopravvivenza stessa delle leggi emanate dal nostro Parlamento”, occorrerebbe al più presto una privatizzazione affidata al Mercato della Consulta sulla base di una durissima selezione meritocratica tra i più bravi nell’ambito dei magistrati deputati a ricoprire incarichi decisionali in seno alla Corte, obbligandoli a “togliere”, non ad “aggiungere” i privilegi con la tecnica paralegislativa dell’“avvocato azzeccagarbugli” delle arciconfraternite. Magari assumendo gli analisti a libro paga della Goldman Sachs che sono obbligati a detestare i bizantinismi procedurali: altrimenti vengono licenziati su due piedi dall’inflessibile consiglio d’amministrazione che li ha assunti, quant’è vero Iddio! L’alternativa alla realpolitik di siffatto scenario è quella descritta tanti anni fa in una brillantissima intervista rilasciata a Panorama dall’ex dominus del Pio Albergo Trivulzio Mario Chiesa, sì, proprio lui: “C’è la cupola: sei o sette imprese si riuniscono e pianificano investimenti e finanziamenti, leggi ad hoc per finanziare opere pubbliche e, successivamente, per dividere i relativi appalti. Secondo una logica mafiosa…Va bene quello che, meglio di altri ma comunque non diverso dagli altri,è in grado non già di addomesticare gli appalti, che sarebbe poca cosa, ma di impedire che si crei un minimo di libero mercato”. Ma scusate, i giudici costituzionali non fanno lo stesso? A pensar male…
Alexander Bush
I meccanismi di remunerazione tra dipendenti pubblici e privati non possono essere confrontati fin quando resta in piedi l’attuale impianto normativo: nel settore privato gli aumenti di stipendi sono decisi in base alla valutazione del capo; nel settore pubblico per la maggior parte sono legati a scatti automatici (sbagliati). La remunerazione nel settore pubblico dovrebbe essere completamente cambiata. Diversamente i dipendenti pubblici per avere un aumento devono aspettare il famoso scatto. se questo viene pure bloccato non vi è possibilità di avere aumenti. E’ una questione di sistema da rivedere, non è colpa della Corte Costituzionale! La malattia del nostro Paese non è il comunismo (che grazie a Dio non esiste più) ma il conservatorismo strisciante che blocca qualsia ipotesi di riforma. Le uniche riforme che passano sono poi le più sbagliate: vedi la scuola!