Cosa nasconde la “Lettera da Santa Cruz” letta alla presenza di Papa Francesco?
Scena indimenticabile: il presidente boliviano Evo Morales consegna a Papa Bergoglio un crocifisso corredato di falce e martello. E lo affianca nella città di Santa Cruz, dove viene lanciato un Manifesto rivoluzionario post-marxista, indossando una maglietta con l’immagine di Che Guevara.
Al di là del folclore, l’episodio è rivelatore: testimonia per così dire un doppio tentativo di “entrismo”. Entrambi, Bergoglio e Morales, cercano, in una specie di sfida concorrenziale, di trarre vantaggio l’uno dall’altro. Che cosa si propone infatti Papa Francesco dalla sua visita in Bolivia, dove ha riservato al governo “indigenista”di Morales un affetto e un sostegno mai concessi a regimi liberali di stampo occidentale? Di insufflare, gresuiticamente, un po’ di anima cattolica nella sinistra boliviana, proclamando l’alleanza della Chiesa con tutti i poveri e diseredati del mondo. E che cosa si propone invece Morales? Di arruolare il Papa, e Cristo addirittura, nel suo radicale progetto politico.
La successiva “Lettera di Santa Cruz”, letta a nome dei “movimenti popolari sudamericani” e approvata in quella occasione da Bergoglio, è un esempio significativo del clima politico, sociale e culturale che il papa argentino ha introdotto in Vaticano. Diffusa per lo più senza critiche dai media internazionali, accolta come un’apertura sociale e assimilata all’enciclica ecologista “Laudato si”, essa è un vero e proprio manifesto politico terzomondista appena velato dal linguaggio pacifista-evangelico. Numerosi sono i punti rilevanti del documento, ma uno è l’asse portante: il rifiuto netto – a tratti anche minaccioso – delle democrazie liberali, del capitalismo e in genere della libera impresa, oltre che “dell’individualismo borghese”. Pur senza dichiarare la necessità di ricorrere a dittature per realizzarlo, vi si esalta il valore centrale della “comunità”, contrapposta alle libertà borghesi formali e “astratte”. Il vero nemico è indicato nel mercato e nel denaro (Bergoglio rincarerà la dose definendolo “sterco del diavolo”). La stella polare è invece l’utopia, della quale ovviamente i regimi boliviano, cubano e venezuelano sono realizzazioni politiche concrete. L'”ecologia integrale di Bergoglio” viene trasformata così in una sorta di neopaganesimo verde (“la terra non ci appartiene, siamo noi ad appartenere alla terra”). “La causa dei migranti, degli sfollati e dei rifugiati” si fa istanza assoluta, cui tutti i paesi dovrebbero inchinarsi, in nome di una nuova fratellanza proletaria. Viene presentata come un crimine ” la speculazione e la mercificazione dei terreni e dei beni urbani”. In campo alimentare viene “rifiutata con decisione la proprietà privata dei semi da parte di grandi gruppi agro-industriali, come pure l’introduzione di prodotti transgenici”. La proclamazione del pacifismo viene contrapposta “all’imperialismo e alle nuove forme di colonialismo, siano esse militari, finanziarie o mediatiche”. Nella lotta “al profitto, allo sfruttamento, alla manipolazione o dell’accumulazione di ricchezza da parte di alcuni gruppi” si esaltano le “lotte sociali” e si chiede che le università si “riempiano di popolo”. Infine si demonizza il più odiato prodotto del capitalismo liberista: il consumismo.
L’impressione è che sia in gestazione una nuova ideologia che sarebbe riduttivo definire terzomondista e antiliberale. Essa contiene già i germi di un nuovo integralismo, concime indispensabile per la crescita di presenti dittature e possibili totalitarismi.
Gaston Beuk