Per la Chiesa esiste il perdono, per lo Stato la libertà e il benessere dei cittadini: una differenza da tener sempre ben presente
Aborto, carcerati, lefebvriani. La “grande amnistia” invocata da Papa Francesco per il Giubileo è tanto forte per autorevolezza morale quanto potenzialmente per così dire“eccessiva” perché mette insieme ambiti molto distanti tra loro.
A parificare concettualmente, quasi azzerandoli, tali ambiti è lo strumento del perdono. Questioni relative alla fede e alla storia della Chiesa, come quella del movimento fondato da Marcel Lefebvre, si mischiano con altreche riguarderebbero la coscienza individuale (aborto) e un’entità politica come lo Stato (amnistia).
Un Parlamento realizza l’amnistia per ragioni intrinseche di tale strumento, su iniziativa dei parlamentari che decidono secondo la loro coscienza e le loro idee. Secondo coscienza e propri convincimenti dovrebbe decidere una donna contro o per l’aborto.
Nessuno mette in dubbio la separazione tra Stato e Chiesa, ma il rischio è che l’opinione pubblica pensi che le leggi che regolano l’aborto e l’amnistia possano essere fondate, invece che su principi di libertà, benessere e sicurezza dei cittadini, funzionamento dello Stato, sul concetto di perdono–necessariamente “cattolico” in un paese come l’Italia – come accadrebbe per l’indulgenza ai lefebvriani.
Il perdono può essere confuso col sacramento cattolico della confessione, che presuppone una figura terza, il prete, che fa da mediatore tra l’uomo e Dio. Il che, e si accolga il volo pindarico, è concettualmente in contrasto col principio di responsabilità del singolo che alla base della democrazia.
Ernesto Vergani