L’Accademia Reale di Svezia ha sciolto l’11 ottobre la riserva sull’assegnazione del premio Nobel 2012 per la letteratura che, con la motivazione “che con un realismo allucinatorio fonde racconti popolari, storia e contemporaneità”, è andato allo scrittore cinese Mo Yan, nome de plume di Guan Moye, da molti considerato il più importante scrittore cinese contemporaneo.
Non è la prima volta che uno scrittore cinese conquista l’onorificenza: ma è la prima volta che questa viene assegnata ad uno scrittore cinese vivente in Cina. Nel 2010 fu la volta di Gao Xingjian, nativo di Ganzhou, ma in Francia da circa 25 anni, prima da esule poi da cittadino: dopo le proteste di piazza Tienanmen, nel 1989, rassegnò le dimissioni da membro del Partito Comunista cinese e ora considerato persona “non grata” per il governo di Pechino e all’indice in patria.
L’annuncio della proclamazione era stato anticipato sul Web dai consueti bookmakers, che avevano scatenato un toto-vincitore. Quest’anno era favorito l’Estremo oriente: il giapponese Haruki Murakami, atteso vincitore già dallo scorso anno e lo stesso Mo Yan. Ma anche l’ungherese Peter Nadas e William Trevor, più alcuni pluricandidati come Cees Nooteboom, Philip Roth e i nostri Umberto Eco, Claudio Magris e Dacia Maraini.
E’ un’assegnazione meritata? Difficile dirlo: ma, pur essendo uno degli scrittori più celebrati in patria, è difficile pensare che Mo Yan fosse il candidato più forte e meritevole. D’altro canto l’Accademia di Stoccolma, soprattutto negli ultimi decenni, si è attirata critiche feroci per le sue scelte, spesso “politiche”. Harold Bloom, uno dei più influenti critici letterari statunitensi, accusò Doris Lessing di aver scritto un solo libro decente quarant’anni fa e Le Clézio di essere illeggibile. Senza dimenticare Dario Fo, «semplicemente ridicolo». E critiche feroci – per assegnazioni senza dubbio “politiche” del Nobel per la Pace – se l’è attirate in occasione del conferimento a Henry Kissinger, nel 1973, a Yasser Arafat, nel 1994, e a Barack Obama, presidente degli Stati Uniti da troppo poco tempo per aver potuto agire concretamente in favore della Pace.
Nel 2010, il Nobel per la Pace è stato assegnato al dissidente politico cinese Liu Xiaobo, «per il suo impegno non violento a tutela dei diritti umani in Cina», scatenando le rimostranze ufficiali del Governo di Pechino. Il Governo cinese ha definito «osceno» il premio a Xiaobo e ha immediatamente posto agli arresti domiciliari sua moglie, Liu Xia, senza accusarla formalmente di alcun reato.
Dopo l’assegnazione del premio Nobel a Liu, c’è stato un immediato deterioramento dei rapporti con la Norvegia, Paese che ospita la cerimonia per l’assegnazione del solo Nobel per la Pace. Ad andarci di mezzo è stata l’esportazione del salmone norvegese: dimezzate in un anno le esportazioni verso la “Terra di mezzo”, uno dei principali importatori. Un deficit coperto, tuttavia, da altri mercati, come quello scozzese. Questo dimostra chiaramente come non sia diminuito il consumo interno, bensì si sia voluto dare un messaggio inequivocabile alla Norvegia. Pechino, inoltre, ha ancora un conto in sospeso con Oslo per l’assegnazione al Dalai Lama.
Come riportato dal Financial Times del 12 ottobre, da Weibo, piattaforma cinese di micro-blog, sono piovuti migliaia di messaggi di congratulazioni al neo titolare del Nobel per la Letteratura. La maggior parte per festeggiare il primo – finalmente! – Nobel cinese. E così la Repubblica Popolare si riconcilia con la commissione per l’assegnazione del premio e suona le fanfare per il suo primo laureato ufficiale.
Ora un premio ad un cinese stimato dal regime, nonché apprezzato in Occidente per le riduzioni cinematografiche di un suo capolavoro: “Sorgo rosso”. Conosciuto e amato in patria, è vicepresidente dell’associazione degli scrittori ufficialmente sostenuta da Pechino. Famoso, nel 2009, il suo rifiuto di partecipare alla fiera del libro di Francoforte per la presenza di alcuni autori dissidenti in esilio, con il suo romanzo Rane ha criticato la politica del figlio unico. Molti hanno letto tutto ciò come dissenso al governo. Tuttavia, se anche Il Quotidiano del Popolo ha ammesso che questo “è un dolore che non passa e che ha perseguitato tanti cinesi”, è difficile pensare che l’atteggiamento di Mo sia stato così “disallineato”.
Molti altri, invece, hanno espresso tutto il loro scetticismo, anche nella stessa Cina: «il primo Nobel è stato “silente” – è stato scritto in Rete, facendo riferimento al silenzio del Governo cinese, in patria, per il riconoscimento a Liu – il secondo è stato ancora Mo Yan», giocando con il fatto che la traduzione di “mo yan” è “non parlare” .
La premiazione riuscirà, dunque, a riconciliare il comitato del Nobel – con Svezia e Norvegia – col governo comunista cinese, per superare i recenti imbarazzi. Lo scopo politico è stato già ampiamente raggiunto. Se poi Mo Yan meritasse realmente il riconoscimento letterario, be’, questa è un’altra storia.
Bad Boy