Il crack di Vicenza e la truffa ai piccoli risparmiatori

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angelo
Cambiano le banche (popolari), ma le storie sono sempre le stesse

C’era una volta un piccolo risparmiatore di una delle province più ricche e laboriose d’Italia: quella di Vicenza.
Come impiegare i suoi sudati risparmi?
Si reca alla sua banca, la banca a cui si rivolge tutta la provincia: la Popolare di Vicenza.
Lì, ovviamente, gli consigliano di acquistare azione della banca stessa: una banca solida, con le caratteristiche tipiche di una popolare. Radicata sul territorio, in cui tutti conoscono tutti, con una dirigenza immutabile negli anni, un presidente anche lui imprenditore della provincia (Zonin), con un’assemblea in cui votano sempre gli stessi con un voto per testa e non per azione (certezza che nulla verrà cambiato) dedicata ad aiutare i piccoli risparmiatori, con un rendimento non elevato ma costante, disposta ad avere un occhio di riguardo per i propri azionisti.
Ovvia la decisione di acquistare le azioni al prezzo proposto dalla banca stessa: 64 euro per azione.
Dopo alcuni anni in cui tutto fila liscio cominciano ad apparire sui giornali (con molto tatto perché è sempre pericoloso diffondere informazioni che possono irritare i potenti) notizie poco rassicuranti. La Bce (l’orco di tutte queste banche) chiede informazioni dettagliate, il capitale è troppo ridotto rispetto alle insolvenze, si sussurra che la Banca d’Italia abbia mandato ispettori.
Il nostro risparmiatore comincia a preoccuparsi, chiede di vendere le azioni e recuperare il capitale: prima sorpresa, le azioni della Popolare di Vicenza sono praticamente illiquide; in parole povere se non si trova a chi venderle nessuno le compra perché non esiste un mercato vero.
Come spesso avviene in questi casi la situazione precipita tutto d’un tratto: occorre un aumento monstre di capitale (1,4 miliardi di euro) per evitare il crollo. Si scopre che la banca ha finanziato amici degli amici, ha commissionato consulenze milionarie, assunto dipendenti inutili…
Una delle tanto esecrate grandi banche nazionali (l’Unicredit) si fa avanti per garantire l’aumento di capitale, assumendone di fatto il controllo; ma con il passare dei mesi la situazione si fa sempre più intricata: nessuno si fa avanti per acquistare le azioni della Popolare e l’Unicredit stessa rischia di venir travolta da un esborso di tale consistenza (più di 1 miliardo di euro).
Si costituisce in gran fretta un fondo comune tra le banche (il fondo Atlante) che a sua volta si prende in carico l’aumento di capitale togliendo le castagne dal fuoco sia alla Popolare, sia all’Unicredit, sia a tutto il sistema bancario italiano (a rischio di crollo di fiducia).
Cosa scopre alla fine il nostro risparmiatore?
Che il suo ineffabile presidente (ora all’estero) Zonin ha venduto sei mesi prima buona parte delle sue azioni a una società che è stata finanziata dalla stessa Popolare.
Che il valore effettivo della sua azione (cioè il valore dell’azione data in cambio all’aumento di capitale) è di 0,15 euro (a fronte di un valore d’acquisto di 64 euro!): il suo investimento è stato cioè completamente azzerato!
Dato che la Popolare di Vicenza è stata ormai salvata, nulla potrà chiedere né alla banca, né a coloro che l’hanno depredata per anni.

Tutti felici e contenti: Zonin che al suo ritorno si vedrà accusato di reati minori (falsa informazione alla Banca d’Italia, ostacolo alla Vigilanza, eccetera) ma avrà salvato il proprio patrimonio; l’Unicredit che ha passato un brutto momento nella paura di dover sborsare un miliardo; la Popolare di Vicenza che si è salvata; le altre banche italiane che hanno salvato la reputazione del sistema; il management della Popolare che al peggio rischia il posto.
E il nostro piccolo risparmiatore: cornuto e bastonato ha perso tutto quanto investito senza potersela prendere con nessuno.

In questi casi si dovrebbe far valere la legge dell’economia e del buon senso: lasciare al suo destino (cioè il fallimento e la bancarotta) la Popolare di Vicenza, facendola rinascere immediatamente dopo, salvaguardando depositanti, personale e investimenti sani.
Il nostro investitore avrebbe comunque perso tutto (era un azionista) ma avrebbe potuto rifarsi sui beni di coloro che hanno contribuito a questo tracollo, Zonin in testa.

Guidoriccio da Fogliano

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