Poche settimane fa la Cina ha rimescolato le carte distribuendo gli incarichi di potere, come previsto nel ben oliato meccanismo di cooptazione che fa capo al Partito comunista.
Il nuovo leader è il 52enne Xi Jinping: il “principino” (così è chiamato perché fa parte del gruppo dei “principi rossi”, che riunisce figli e nipoti dei protagonisti della “Lunga Marcia” e della rivoluzione del 1949 ) prende il posto di Hu Jintao. Nonostante l’importanza sempre maggiore di Pechino a livello geopolitico ed economico, della Cina si sa ancora troppo poco. Un libro uscito di recente (Quanto vale un Laogai?, a cura del giornalista e saggista Stefano Magni, ediz. bibliotheca Albatros/Comitati per le Libertà) ci aiuta a capire come noi occidentali dobbiamo porci di fronte a un Paese – quasi un continente – con 1,3 miliardi di cittadini, che oggi è la seconda potenza economica mondiale.
Liberista in economia, totalitaria in politica, molto repressiva nei confronti delle minoranze, indifferente rispetto ai diritti civili della popolazione, la Cina è un mondo complesso e difficile da esplorare. Il libro raccoglie i saggi di Stefano Magni, Carlo Altomonte ed Elisa Borghi, le interviste ai dissidenti Harry Wu (fondatore della Laogai Research Foundation) e Tienchi Martin Liao (presidente dell’Independent Chinese Pen Centre), le testimonianze di Antonello Brandi (attivista per i diritti umani), Adriano Teso (imprenditore e politico), Gianfranco Librandi (imprenditore) e i giornalisti Leonardo Facco ed Enzo Reale. Oltre a descriverci, sotto varie angolazioni, le mille sfaccettature della Cina, tutti provano a rispondere a una domanda: “Quanto vale un Laogai?”.
Molti non lo sanno – o fanno finta di non vedere – ma in Cina sopravvive l’arcipelago dei Gulag, che si chiamano, appunto, Laogai. Sono campi di rieducazione tramite il lavoro,iIstituiti da Mao Tse-tung. All’interno di essi sono morti la maggior parte delle vittime delle sue numerose purghe: di fame, stenti, superlavoro e tortura. La Laogai Research Foundation – fondata da Harry Wu – calcola che dal 1949 ad oggi i prigionieri dei Laogai siano stati tra i 40 e i 50 milioni. Tuttora questi campi di rieducazione sono attivi: più di novecento in tutto il Paese. Possono essere scambiati per normali fabbriche, visto che in molti casi sono legati a industrie, pubbliche o private. Al suo interno vi lavorano prigionieri costretti a lavorare fino a 18 ore al giorno. Ovviamente la rieducazione comprende anche accurate sedute di “autocritica” per la riforma del pensiero (o lavaggio del cervello che dir si voglia).
Il libro si propone di fornire un quadro completo non tanto del regime cinese (su cui si versano fiumi di inchiostro ogni mese), quanto della percezione dello stesso in casa nostra. Perché spesso, troppo spesso, certi argomenti “scabrosi” vengono colpevolmente ignorati.
Orlando Sacchelli su “Il Giornale.it ”