Perché dico no al partito animalista

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Obiezioni teoriche a un partito animalista, non per la battaglia che vuole portare avanti, ma per il concetto stesso

Costituire un partito animalista? Il progetto di Michela Brambilla è nutrito di buone intenzioni: da una più efficace difesa degli animali e dei loro diritti fino a un loro accesso ai principi fondamentali della Costituzione. Peccato che si rischi di perdere quella che è l’idea forza dell’animalismo: la sostanziale continuità e convergenza tra le lotte dei diritti degli umani e dei non umani. Conoscere, o ricordare, un po’ di storia non guasterebbe. Rammentare, ad es., che la prima Dichiarazione dei diritti degli animali, nel 1891, è stata opera del fondatore della Humanitarian Society, Henry Salt, amico di Gandhi e impegnato nelle più importanti riforme del suo tempo, dalla lotta contro la pena di morte alla riforma dei sistemi carcerari, alla rivendicazione dei diritti delle donne, dei bambini nelle fabbriche e delle minoranze oppresse. Salt pensava ad una “repubblica del futuro” in cui la stessa tendenza umanitaria che aveva emancipato gli schiavi si sarebbe estesa anche alle altre specie, sulla linea della “bella città universale” vagheggiata dallo storico Jules Michelet, animato dagli ideali della Rivoluzione francese: una città in cui tutti gli esclusi trovino il loro diritto, e quindi anche gli animali, i più innocenti, i più disperati.
Molti passi si sono compiuti da allora ma l’ispirazione originaria è rimasta: lo sforzo di estendere agli animali sul piano politico e giuridico i principi fondamentali validi per l’etica umana. Il parallelo tra le lotte di liberazione è esplicitamente introdotto dal filosofo Peter Singer che individua una stretta analogia tra razzismo, sessismo e specismo come forme di discriminazioni arbitrarie. Certo, essere un partito ‘tematico’ risponde per la Brambilla all’esigenza di uscire dalle ideologie degli opposti schieramenti per concentrarsi su un obiettivo assoluto e primario. L’esplicito riferimento ai Verdi e alle prove deludenti da essi fornite è del tutto condivisibile ma trascura il dibattito che su tali temi, in questi ultimi decenni, ha visto impegnati filosofi, giuristi, bioeticisti e, soprattutto, rispecchia una cronaca che rischia di introdurre una sorta di ‘separatismo’ tra obiettivi che dovrebbero essere perseguititi inscindibilmente. D’altra parte, non è forse ‘ideologico’ anche un partito animalista, al di là delle forze politiche che lo sostengono? Un partito che rischia, suo malgrado, di alimentare un’antica dicotomia che per anni ha avvelenato la nostra cultura etica e politica: l’idea che dietro l’interesse per gli animalisti celi il disinteresse per gli uomini. Immagini, certo, deformate e fittizie ma non del tutto superate. Per questo, l’affermazione orgogliosa della Brambilla: “non c’entriamo col civismo” meriterebbe qualche riflessione. In realtà, il civismo è importante: una cultura imperniata sull’idea che non esiste alcuna incompatibilità tra la nostra tradizione umanistica e un’etica del rispetto per tutti i viventi parte innanzitutto da un’educazione della cittadinanza, a cominciare dalle scuole. Se riconosciamo la comunanza dei destini tra uomo, natura e animali, dobbiamo sforzarci di mettere in relazione le questioni relative all’ambiente e alla qualità della vita con quelle attinenti alla libertà e alla giustizia. La sfida è dunque di integrare i principi e gli obiettivi dell’umanesimo con i nuovi doveri verso le altre specie. Una sfida che, per la sua importanza e complessità, non può diventare patrimonio di un partito ma richiede di essere trasversalmente condivisa.

di Luisella Battaglia

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