“Per la rubrica L’Albatros: Dino Cofrancesco e il laicismo in Italia”.
Sono completamente d’accordo con Massimo Teodori, che ne ha scritto recentemente sul Corriere della Sera. Lo Stato non dovrebbe aiutare in nessun modo la Chiesa e le varie organizzazioni cattoliche. Le militanze religiose o ideologiche per il loro sostegno si affidino esclusivamente ad adepti e soci. E’ un discorso, questo, che va ampliato. In una società aperta e liberale, ‘nessun pasto è gratis’: è il mercato–anche quello culturale–a dover stabilire quali imprese debbono vivere e quali no.
E’ un principio, però,che DEVE VALERE PER TUTTI: per la Chiesa come per le Fondazioni (ad esempio per la Fondazione Gramsci), per le Università cattoliche come per quelle laiche, per le organizzazioni che curano spettacoli teatrali e sportivi come per quelle che (semmai) adoperano i finanziamenti pubblici per organizzare viaggi a Lourdes, per Radio Maria come per Radio radicale, per le industrie cinematografiche come per quelle automobilistiche.
Mi rimane, però, un dubbio. Abbiamo il più ricco patrimonio d’arte del mondo e buona metà di tale patrimonio è fatta di luoghi di culto. Se per la crisi delle vocazioni non ci sono più preti per mantenerli aperti al pubblico e si dà un aiuto al clero purché provveda in qualche modo alla bisogna, tale aiuto è ‘incostituzionale’?
In realtà,il nostro laicismo è taroccato: scatta solo quanto sente odor d’incensi ma non batte ciglio davanti alle bandiere rosse. Come le leggi che, secondo lo spiritoso rilievo di Gaetano Salvemini, in Italia, valgono per i nemici e si applicano agli amici, così la logica del mercato (per certi sedicenti liberali ‘pannunziani’) deve abbattersi impietosamente sugli avversari ideologici ma, per quanto riguarda la nostra parte, debbono farsi valere considerazioni ‘alte’, non legate alla volgare filosofia della prestazione e dello scambio.
Dino Cofrancesco