A Firenze arriva la gastronomia autarchica

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Un esempio di dirigismo statalista: I prodotti locali si devono utilizzare non perché migliori, ma per legge.

Una nota disciplinare del Comune di Firenze ha dettato nei giorni scorsi la sua… disciplina per la qualità del centro storico della città dal punto di vista della ristorazione: chi vuole fare impresa in merito deve usare almeno il 70% dei prodotti locali, le deroghe saranno decise caso per caso.
Ora si viene a sapere come dovrebbero funzionare queste deroghe. Diciamo che non ci sono limiti al senso del ridicolo che, in mano ad una pubblica amministrazione, diventa tragedia collettiva. Dovrebbero essere cinque saggi a decidere della deroghe: tre dipendenti del Comune (il direttore dello sviluppo economico, il dirigente del settore, il responsabile del centro storico) e due esterni: un esperto di alimentazione (associazione cuochi) e un esperto di scienze dell’alimentazione.
A parte gli esterni, coerenza vuole che da oggi per diventare dirigenti dell’amministrazione fiorentina sia previsto anche un esame di assaggi e bevute, con esaminatori venuti chissà da quali altre corporazioni. Dirigenti che dovranno destreggiarsi tra pesce crudo, falafel e pitas e kebab, pollo al curry, involtini primavera e pollo alle mandorle, nonché mozzarelle di bufala, formaggi piemontesi, veneti e francesi, hot dog tedeschi e/o americani tzatziki e vari cibi a base di melanzane agliose e vini resinati, fino alle pizze che – non prodotte da molto improbabili farine toscane – dovranno essere vagliate coi capperi di Pantelleria, i pomodori di Pachino o i classici San Marzano campani. Poi si dovrà passare ai vini e alle birre, e qui l’elenco – oltre alle ottime produzioni toscane vinicole – e’ infinito… mentre sulle birre vedremo se saranno in grado di distinguere le qualità di una bionda tedesca o di una corposa scura irlandese e così via.
Sapete cosa mancano? Le associazioni di consumatori, quelle che – pagate dallo Stato e foraggiate anche dalle amministrazioni locali – cercano di infilarsi in ogni luogo della nostra vita per farsi vedere e dire la loro, sicuramente “santa sanctorum” anche nella gastronomia. Comunque, non e’ mai troppo tardi, date loro tempo per capire quali spazi si stanno aprendo a Palazzo Vecchio e vedrete che si faranno avanti.
Comunque, i cinque saggi delle nostre papille gustative e del nostro stomaco e dei nostri gusti estetizzanti gastronomici, dovranno fare un lavoro gigantesco. Proponiamo che alle porte di ingresso delle mura sopravvissute intorno al centro storico siamo messi dei cartelli a forma di mezza luna, come quelli dei parchi giochi e delle fiere; ad ogni epoca spetta la sua Disneyland.
La vicenda fiorentina, oltre che culturale e solleticante lo spirito canzonatorio, è anche economica. La liberalizzazione del commercio e delle nostre teste non è favorita dal trionfo delle corporazioni culturali ed economiche, ma proprio dal contrario. E’ l’incontro delle culture, inclusa quella gastronomica e di ogni estrema diversità, che favorisce la qualità. In questi incontri è la casualità del mercato che fa la qualità, la scelta e la selezione tra offerta e domanda che deve essere fatta, in libera scelta, da parte del consumatore.

Vincenzo Donvito

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