Il salvataggio del sistema bancario italiano ricaderà su tutti noi contribuenti: ma è una storia che viene da lontano
Angelo Gazzaniga fotografa su Libertates alla voce “Montepaschi, una legge per salvare l’onore” – il secondo scandalo bancario più grave dalla bancarotta finanziaria del Banco Ambrosiano – la tendenza anti-liberista che accumuna, paradossalmente, l’Occidente all’Italia nel salvare la speculazione dalla fisiologica procedura fallimentare di mercato; si tratta – purtroppo – del “moltiplicatore keynesiano bastardo”, per citare il raffinato Nino Galloni, che Mario Monti ha adoperato nel 2011 pur di tenere in piedi il già affondato Monte Paschi di Siena con il prelievo monstre di 3,5 miliardi di euro dalle tasche degli italiani. Il risultato è il coinvolgimento borderline del Tesoro: “Ormai è assodato quanto da tempo sospettavamo: il salvataggio del sistema bancario italiano ricadrà (e già ricade) sulle spalle di tutti noi contribuenti: attraverso il salvataggio dal fallimento con la ricapitalizzazione di sette banche (Montepaschi, le due popolari venete e le quattro del Centro Italia) sia direttamente, sia attraverso il Fondo Atlante, finanziando un fondo per l’uscita “indolore” di quasi 25000 dipendenti, fondo cui quest’anno sono stati assegnati 850 milioni ma che già si sa non saranno sufficienti; ma soprattutto garantendo la cessione degli Npl (non performing loads, in italiano “crediti inesigibili”) a fondi specializzati. Operazione che si preannuncia tutt’altro che indolore… Tutte misure che sono state già prese altrove: nulla di nuovo sotto il sole…”. Tutto ciò, però, è aggravato dall’affondamento gattopardesco della riduzione dei compensi agli amministratori ancorchè in presenza dei reati fallimentari (sic!) che, come ha già notato Marcello Esposito su “Affari e Finanza”, viola la volontà primigenia della Commissione di Bruxelles alla base del bail-in: gli stipendi dei top manager sono vincolati alla qualità della loro attività.
La colpa è anche di Mario Draghi. Mi permetto tuttavia di sottolineare– in estensione all’articolo apparso su Libertates– che l’avidità di Gordon Ghekko (“prendi i soldi e scappa” per citare il titolo del film di Wody Allen) nell’asimmetria tra la speculazione e i fondamenti delle azioni, e che sta alla base dell’insano principio deregolatore della collettivizzazione delle perdite, comincia con il “metodo De Benedetti”, sdoganato dall’allora Governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi nel rastrellamento raider delle azioni del Banco Ambrosiano pre-bancarotta. Dal 1981, anche grazie alla culpa in vigilando della Banca d’Italia, i Mussari della situazione non guadagnano più in base alla qualità della loro condotta manageriale, e si arriva al disastro etico dei “furbetti del quartierino”: la sindrome piccolo-borghese di arrivare ai “salotti buoni” della finanza bruciando le tappe. Ma questa è un’altra storia. L’Ingegnere di Ivrea Carlo De Benedetti non ha commesso nessun reato di concorso in bancarotta fraudolenta, ma ha affondato con la speculazione darwinista la Banca del Vaticano per lucrare il massimo vantaggio sull’inferiorità del disgraziato e compromesso Roberto Calvi – spaventato dalla potenza mediatica della finanza calvinista e dalla protezione di Bankitalia accordata all’editore de “la Repubblica”.Emblematica da questo punto di vista è la battuta del cattivissimo Enrico Cuccia, un uomo dal carattere freddo che comprendeva benissimo la psiche degli uomini:“Il peccato veniale di un banchiere (De Benedetti, ndr) è fuggire con la cassa, quello mortale (di Roberto Calvi, ndr) è…parlare”.Corrisponde alla realtà la versione tratteggiata da Libero quotidiano; non è il ritratto di una figura esemplare, ma grigia:“Piccolo riassunto. Quando il Banco (Ambrosiano, ndr) era ormai sull’orlo del disastro Carlo De Benedetti entrò come vicepresidente e azionista il 19 novembre dell’81 e ne uscì 65 giorni dopo, il 22 gennaio ’82, con 81 miliardi 470 milioni di lire.Un miliardo 253 milioni al giorno (senza aver mai lavorato, ndr). Un record. L’Ingegnere riebbe i 51, 4 miliardi con cui aveva pagato– virtualmente, solo virtualmente– il 2% di azioni Ambrosiano più 2,5 miliardi per interessi e spese. E, incredibile, Calvi gli versò anche 27 miliardi di cash per le “emittende Brioschi…”. Oggi CDB non può parlare dalla Lilli Gruber di una riforma finita in garage come la riduzione dei compensi ai manager: è in conflitto d’interesse. Con le ombre del Ponte dei Frati Neri.
di Alexander Bush