L’Alitalia sta vivendo nuovamente un periodo drammatico.
Dopo la sciagurato salvataggio di quattro anni fa che, sotto gli auspici di Berlusconi (per suoi motivi elettorali) e dei sindacati (per la solita difesa dei posti di lavoro nelle aziende ormai decotte, specie se statali), ha fatto gettare al vento quattro miliardi di euro dei contribuenti (che tanto sarebbero serviti in questi momenti difficili) siamo tornati al punto di partenza: l’Alitalia perde 750.000 euro al giorno e non ha più nemmeno i soldi per pagare il carburante.
Alcuni punti appaiono evidenti:
- questa situazione non è dovuta solo a motivi congiunturali o esterni: il piano industriale è fallito (si è rinunciato ai voli intercontinentali che sono gli unici a essere redditizi e che avrebbero potuto servire a rilanciare i viaggi in Italia; si è fatta la guerra dei prezzi (perduta) con le compagnie low cost nel mercato italiano)
- i cosiddetti “capitalisti coraggiosi” hanno dimostrato di non avere né soldi né voglia di partecipare all’aumento di capitale: sono entrati in Alitalia da capitalisti “all’italiana”: non perché credono in un’iniziativa imprenditoriale, ma per compiacere il potente di turno
- Air France è disposta ad acquistare l’Alitalia solo a certe precise condizioni: azzeramento dei debiti (a carico dello Stato italiano); riduzione del personale, limitazione dell’operatività di Fiumicino
- La soluzione dell’intervento di Poste Italiane è poco più di una barzelletta: una piccolissima compagnia di proprietà delle Poste (la Mistral) che perde l’8% del proprio fatturato si fonde con una compagnia senza più soldi per salvarla!
- La soluzione di cedere Alitalia ad Air France è obbligata: uscire dall’alleanza con i franco-olandesi presuppone una penale da salasso
Che fare allora?
L’unica soluzione sarebbe quella già prospettata in un nostro precedente intervento: il fallimento.
In questo modo lo Stato potrebbe intervenire con un prestito-ponte (come hanno fatto negli USA con il salvataggio delle case automobilistiche) per garantire la continuità del servizio e poi cederla al migliore offerente intera o a pezzi.
In questo modo, tra l’altro non si pagherebbero penali; si salverebbero i posti di lavoro; si eviterebbe di continuare a pagare i costosissimi leasing ereditati dal salvataggio di AirOne; si potrebbe scegliere l’alleato più adatto.
Ma le banche resterebbero con il cerino in mano (cioè perderebbero buona parte dei loro investimenti) e i “capitani coraggiosi” vedrebbero sfumare il loro investimento:
una cosa ancora impossibile in un Paese che si proclama liberale e in cui pagano sempre e solo gli stessi: i cittadini.
Angelo Gazzaniga