Incontro con il figlio di Amerigo Dùmini, il capo della squadra fascista che sequestrò e uccise Giacomo Matteotti.
Il figlio di Amerigo Dùmini, l’uomo che diresse l’operazione del sequestro di Matteotti il 10 giugno 1924, vive da qualche decennio a una trentina di chilometri da Roma, a San Vittorino, una località situata su un costone tufaceo. E l’uomo infatti, a 70 anni compiuti, abita proprio in una grotta di tufo, senza elettricità, senza riscaldamento, senza alcuna comodità, quasi senza mobilio, tranne lo stretto necessario. Si autodefinisce giustamente “Mario Dùmini l’eremita”. Dà in beneficenza la sua pensione sociale di circa 500 euro mensili e vive con il pochissimo che ricava dal suo saltuario lavoro come badante. Nel tempo libero studia, scrive, discute e s’impegna, con tutte le energie, in una strenua battaglia affinché i detenuti vengano sottratti alle condizioni disumane in cui spesso si trovano e siano rieducati anziché puniti. Il tema di base, in fondo, è lo stesso che sviluppò, da tutt’altra angolazione, il padre nel suo significativo e ormai introvabile libro autobiografico Galera…SOS, pubblicato nel 1956.
I punti di contatto – a parte una straordinaria somiglianza nei lineamenti del viso – finiscono qui. Amerigo amava il denaro e il lusso, vestiva elegantemente, aveva acquistato uno splendido villino a Firenze. Mario vive soltanto per la sua crociata, disprezza il denaro, non immagina nemmeno di potersi trasferire in un appartamento, apprezza il contatto con la natura, affronta l’acqua che inonda la grotta nei periodi di pioggia e l’assalto delle zanzare durante l’estate con lo stesso sereno spirito di sopportazione, dedicando le sue forze e le sue giornate al bene del prossimo. Nei libri che ha pubblicato, Lettera ai secondini carcerari cristiani e Lettera a Sua Santità, non mancano le note polemiche contro una Chiesa ed un clero che dovrebbero impegnarsi di piú per il bene di chi soffre, che dovrebbero liberarsi davvero, e non soltanto a parole, di ogni orpello e di ogni ricchezza per destinarla ai poveri.
Come, nel suo piccolo, ha fatto e sta facendo lui. È una maniera per riequilibrare l’immagine demoniaca che una storiografia spesso di parte ci ha tramandato del padre? Forse sì, anche se l’eremita non lo ammette. Del padre ha pochi ricordi ma quelli che ha sono sereni. Era un uomo d’ordine, non alzava mai la voce, educava i figli con fermezza ma anche con amore. Su Amerigo Dùmini a tutt’oggi manca una vera biografia critica che ne metta a fuoco la figura sine ira et studio. Il libro di Giuseppe Mayda del 2004, Il pugnale di Mussolini. Storia di Amerigo Dùmini, sicario di Matteotti, è zeppo di sviste e di forzature madornali, che circolano indisturbate senza che nessuno si sia preso la briga di esercitare un controllo sull’acribia del volume. Certamente Amerigo era un personaggio ricco di ombre. Ma sulla vita e sull’azione di Mario Dùmini brilla soltanto la luce della campagna di san Vittorino.
Enrico Tiozzo