Accadimento

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lib2
Che significa la parola “accadimento”?

La voce “accadimento” si dimostra densa di “profondo spessore scientifico e grande originalità”, come una forma di “breviario per il futuro”, interpretato “a partire” dall’opera del pensatore italiano Benedetto Croce, anche nella prospettiva della ricorrenza dei centocinquant’anni dalla nascita ( 1866-2016 ). Si può dire che tale “voce” abbia accompagnato, e tuttora accompagni, il nostro modesto e pur tenace percorso filosofico, giustificandone così la ampia discussione teoretica e critica, alla comprensione della cui tessitura può giovare la scansione nei seguenti paragrafi:
1.La definizione crociana di “accadimento”. 2. L’ermeneutica filosofica di “accadimento”: Raffaello Franchini e Gennaro Sasso. 3. “Accadimento”, statistica e teoria della previsione. 4. “Accadimento” e fisica quantistica. 5. “Accadimento” e totalità della storia e del mito. 6. “Accadimento”, “vitalità” e sensazione. 7. “Accadimento” e “flusso di coscienza”. Vico, Croce e Joyce. 8. La questione dei “concetti puri” e dei “concetti funzionali” o “pseudoconcetti”.
1. La definizione crociana di “accadimento”. Nel cuore della “Filosofia della pratica”, sin dalla prima edizione del 1905, il Croce stabilisce la distinzione tra volizione e azione, per chiarir la quale spiega: “Se la volizione coincide con l’azione, non coincide e non può coincidere con l’accadimento. Non può coincidere; perché, che cosa è l’azione e che cosa è l’accadimento ? L’azione è l’opera del singolo, l’accadimento è l’opera del Tutto: la volontà è dell’uomo, l’accadimento è di Dio. O, per mettere questa proposizione sotto forma meno immaginosa, la volizione dell’individuo è come il contributo ch’egli reca alle volizioni di tutti gli altri enti dell’universo; e l’accadimento è l’insieme di tutte le volizioni, è la risposta a tutte le proposte”.(1) Poco oltre, l’Autore chiarisce che “la repugnanza verso coloro che intentano il processo alla storia, pretendendo che si fosse dovuta svolgere in guisa diversa da quella in cui si è svolta e tracciandone la correzione e il modello ideale, è ben giustificata; e chiunque sia fornito di senso storico, anzi di semplice buon senso, la risente in sé. Tale questione, infatti, si riduce all’altra: è corretto applicare alla storia le categorie di giudizio, che applichiamo a volizioni e azioni singole ? È corretto giudicare utilitariamente gli avvenimenti storici e l’intero corso storico ? – E, così rettificata, la domanda diventa chiara e richiede soluzione negativa “. (2)
2. L’ermeneutica filosofica di “accadimento”: Raffaello Franchini e Gennaro Sasso. Su questi luoghi di Benedetto Croce, l’ “uomo che piantava gli alberi” ( la Estetica, la Logica, la Filosofia della pratica, Teoria e storia della storiografia, la riconsiderazione di Vico, Torquato Accetto, i secentisti, i martiri del 1799 ), è fiorita una fitta serie di revisioni e interpretazioni, nella quale “ingens sylva” si segnalano, per la importanza ed originalità i contributi di Raffaello Franchini e Gennaro Sasso, il primo dei quali, ponendo in correlazione la teoria dell’ “accadimento” con la coeva definizione di una terza forma di conoscenza, “il colpo d’occhio” o la “conoscenza percettiva” nella “Filosofia della pratica” del 1908, elaborava la teoria della “previsione”, approfondendo insieme la questione degli “pseudoconcetti” ( 1964, 1966, 1972); mentre il secondo, in “Benedetto Croce. La ricerca della dialettica” (1975), meditava sui nessi tra “volizione” e “accadimento”, “accadimento” e “vitalità”, e tra la teoria dell’ “accadimento” e la “questione dei giudizi” ( ‘individuale’ e ‘definitorio’). L’azione, secondo Croce, nel terzo volume del proprio “sistema”, che precede di qualche mese la seconda edizione della “Logica come scienza del concetto puro” ha bisogno, per nascere, di una particolare forma di conoscenza, che non è quella intuitiva o estetica propria dell’artista e nemmeno quella concettuale propria del filosofo, “ o, meglio, è anche queste due, ma solo in quanto in ritrovino entrambe quali elementi cooperanti nella conoscenza ultima e compiuta, che è quella s t o r i c a. Se la prima si chiama intuizione, la seconda concetto e la terza percezione, e si fa della terza il risultato delle due prime, si dirà che la conoscenza occorrente all’atto pratico è la conoscenza p e r c e t t i v a”. (3) Siffatta forma di conoscenza “intermedia” viene anche definita dal Croce, nello stesso contesto e con felice metafora, il “colpo d’occhio”, come il senso storico-politico, che deve esser proprio dell’uomo d’azione e di ogni uomo in quanto impegnato nell’azione. Franchini, alla ricerca di opportune “mediazioni” in Croce, trova in questa dottrina”un motivo fecondo, che molti anni dopo avrebbe trovato pieno accoglimento nella teoria del giudizio come non semplicemente storico ma p r o s p e t t i c o, in quanto il giudizio storico si può atteggiare diversamente, per ciò che si riferisce al contenuto, rispetto cioè al passato e al futuro, a una situazione passata da conoscere e a un’altra situazione in sviluppo, nata dalla prima, che è la vera mediazione dell’azione, la sua preparazione indeterminante. Detto questo, resta validissima la distinzione, a cui il Croce si accinge subito dopo, tra azione e accadimento, a cui si potrebbe avvicinare quella, or ora accennata , tra i due contenuti del giudizio”. (4) Superando gli apporti di Omodeo, De Ruggiero e Gramsci, Franchini vede nella teoria della storia da un lato la parziale sopravvivenza della tesi giovanile della “Storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte” (1893, 1902); dall’altro il perfezionamento della teoria del “predicato di esistenza”, “momento concettuale o universale del giudizio storico, che è unità di giudizio definitorio e di giudizio individuale”. (5) E qui si pone la questione della ”qualificazione del concetto puro”, distinto rispetto ai “concetti empirici o astratti”, ponendo in luce le tre caratteristiche fondamentali degli “pseudoconcetti”. “E’ questo un nodo centrale della Logica crociana, che sarebbe errore gravissimo considerare cosa secondaria, se non addirittura una sorta di fissazione dell’Autore, come pure continuano a fare studiosi anche di non comuni doti speculative. Le formazioni che Croce, con un termine icastico e preciso, ma infelice perché caricato successivamente di un’intenzione svalutativa che era il preciso opposto della sua dottrina, chiamò p s e u d o c o n c e t t i , sono un prodotto sì dell’astrazione intellettualistica ma hanno tre caratteristiche fondamentali per cui poco o nulla è corretto paragonarle ai concetti empirici di Hegel. La prima di esse è che sorgono dal concreto e dopo il concreto: proprio il contrario, dunque, di quanto avveniva in Hegel, che concepiva lo Spirito come uno sviluppo continuo da una iniziale astrazione verso una sempre maggiore concretezza, nell’unico ambito razionale. (..) Seconda caratteristica di codeste formazioni è che l’intelletto che le genera non opera nell’ambito delle forme teoretiche bensì all’interno della forma utilitaria e fa anzi tutt’uno con questa: il che significa che il movimento dal concreto all’astratto è irreversibile e dunque che, perché si abbia un nuovo concreto, è necessaria l’originalità di una nuova individuazione, destinata a diventare soggetto di un nuovo predicato. Terza caratteristica dei concetti empirico-astratti è che essi, operando sul concreto, cioè su tutta la realtà che è storia e dunque sulla stessa natura in quanto storia, non sono affatto, come si crede anche da parte di chi condivide in tutto tale dottrina, una particolare prerogativa delle scienze matematiche, fisiche o naturalistiche. Il momento della schematizzazione è comune a tutti i fenomeni e a tutte le attività umane, sicché pseudoconcetti possono trovarsi nella storiografia come nella fisica; nella matematica come nella scienza economica, nella sociologia come nella critica letteraria”. (6) Più oltre, Gennaro Sasso si pone la questione del rapporto tra “vitalità” e “accadimento” nella Parte III. “Storia dell’utile” della fondamentale monografia “Benedetto Croce. La ricerca della dialettica”; (7) nella Parte IV. “L’accadimento e la questione dei giudizi”, ivi proponendo le sfaccettature “Volontà, accadimento, sintesi”, e de “L’accadimento come ‘sintesi’, come ‘risultato’ o come ‘somma’: pensabilità o impensabilità dell’accadimento ”; (8) quindi ancora nel capitolo III della stessa Parte IV, “L’accadimento e l’identificazione dei giudizi”, là dove riprende il problema della “identità del giudizio definitorio e del giudizio individuale”, e “la questione dei giudizi e il predicato di esistenza”, già trattata dal Franchini ma su altra linea interpretativa. (9)
3. “Accadimento”, statistica e teoria della previsione. Per dirla con il ‘nostro’ Poeta della giovinezza, Eugenio Montale di ‘Satura’, gli “inizi sono sempre inconoscibili: se si accerta qualcosa, quello è già trafitto da uno spillo” ( splendida metafora per indicare la proprietà del “Verstand”, “intelletto astraente”, in contrapposizione alla “Vernunft”, o ‘ragione’ storica pensante ). Certo, è possibile ritrovare in Croce, sull’ “accadimento” come in altro riguardo, novità di mire semantiche, lessicali o persino di profilo gnoseologico, come avviamento alla dottrina dell’ universale concreto (‘ A = a’, simboleggiava Carlo Antoni la teoria del giudizio, anche riprendendo – storicisticamente – il classico “principio d’identità” formulato nella Logica aristotelica). Pure, tutta la sequenza problematica, investigata dal Sasso, può ben essere svolta in altra guisa, apparentemente “tradizionale” per un verso, “novatrice” per l’altro. Così: “A) La giuntura nel tratto logica – economia non è fittizia sol che si pensi alla funzione del colpo d’occhio o giudizio prospettico che assicura quella mediazione e passaggio; B) Il giudizio individuale è apparentemente contraddittorio nella oscillazione tra sforzo analitico e atto sintetico, e così pure la formazione dei concetti funzionali, dacché ‘le filosofie sintetiche non possono fare a meno delle esposizioni analitiche, così come quelle analitiche non riescono a muoversi fuori dell’oggetto della loro analisi, che è la sintesi’; C) La funzione della memoria o del giudizio prospettico può soccorrere l’esigenza di intreccio, culminazione e risultamento che emerge dalla dottrina dell’accadimento; D) Esigenza che è comune al problema della dialettica e delle sue origini, ossia al tema del sentimento e del bisogno pratico, e che anzi del ‘riscatto del sentimento’ in funzione metacategoriale si fa un punto di forza”. (10) Ora, il “prospettivismo” e la “processuale unità di pensiero e di azione” ( Vittorio Stella, “Il giudizio su Croce”, Pescara 1971, p. 183 ) non sarebbero possibili senza il sentimento dialettico del reale. Né, d’altra parte, potrebbe aversi il ‘colpo d’occhio’, che non è la ‘profezia’ né la metafisica pianificazione del corso storico, senza base dialettica e vitale. Congiuntamente, questa stessa ‘urgenza’ potrebbe esser tale, cioè ‘dialettica della vitalità’, senza proiettarsi verso un incremento dell’azione o dell’opera, del ‘prammatismo come fare’ dello spirito umano. Non relazionati, i due aspetti dell’attività delle forme decadono rispettivamente a ‘schema’ ideologico o religioso il primo, e a dispersiva incoerenza ed ‘ambiguità’ volitiva e affettiva, il secondo. In questo nesso, da trattare con delicatezza, è la giuntura di logica ed economia, teoresi e prassi, che altri interpreti considerano, tuttavia, con estrema e circospetta problematicità, sin quasi al limite della negazione.Nesso che corrisponde, in fondo, non ad altro eterno e irrenunciabile nucleo di verità che al concetto classico, platonico e aristotelico di ‘phronesis’, come saggezza pratica, distinta dalla ‘sophìa’, come sapienza teorica. Nell’umanesimo, infatti, di cui la filosofia di Croce e dell’ accadimento rappresenta – per certi versi – la forma più affinata e più alta, la ‘prudenza’ come saggezza pratica, giudizio, accortezza, mediazione di esperienza di cose antiche e di cose moderne, analisi intellettuale e virtù, viene ripresa e dichiarata in un passo fondamentale, per quanto poco letto in questa prospettiva, del Machiavelli, nel ‘Proemio ai Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio’: ‘con più virtù, più discorso e iudizio’. Dove, notabilmente, Machiavelli media la ‘virtù’ ossia il ‘gusto e la capacità dell’agire’ con il ‘discorso’ cioè l’analisi intellettuale., mercé il ‘iudizio’ ( il ‘judicium’ o la ‘prudentia’ dei latini ), ossia l’avvedutezza, l’accortezza, la sagacia, il ‘colpo d’occhio’ come la “risultanza dinamica, per stare ai termini dello storicismo rinnovato, del pensiero con l’azione”. (11) Geniale e nemmeno del tutto momentaneo contributo offerto dal mai ripetitivo segretario fiorentino: che nel capitolo VI ‘De principatibus novis qui armis propriis et virtute acquiruntur’ del capolavoro, trattando della imitazione con un palpito storicistico e dialettico di umiltà e orgoglio, simile al ‘Proemio’ dei ‘Discorsi’, scrisse: ‘Non si meravigli alcuno se, nel parlare che io farò de’ principati al tutto nuovi, e di principe e di stato, io addurrò grandissimi esempli; perché, camminando gli uomini quasi sempre per le vie battute da altri, e procedendo nelle azioni loro con le imitazioni, né si potendo le vie di altri al tutto tenere, né alla virtù di quelli che tu imiti aggiugnere, debbe uno uomo prudente intrare sempre per vie battute da uomini grandi, e quelli che sono stati eccellentissimi imitare, acciò che, se la sua virtù non vi arriva, almeno ne renda qualche odore; e fare come gli arcieri prudenti, a’ quali parendo el loco dove disegnano ferire troppo lontano, e conoscendo fino a quanto va la virtù del loro arco, pongono la mira assai più alta che il loco destinato, non per aggiugnere con la loro feccia a tanta altezza, ma per potere, con l’aiuto di sì alta mira, pervenire al disegno loro’. Che è un passo del più alto interesse per la piena rispondenza del concetto di uomo ‘prudente’, o arciere ‘prudente’ ( come altrove di principe ‘prudente’) al carattere giudizioso della percezione storico-politica, e per l’aspetto evidente di anticipo e di proiezione prospettica nell’esempio recato dell’arciere e della sua mira. Paragone che – teoreticamente – per noi richiama, sullo stesso tema del ‘giudizio prospettico’, altri due classici contesti, il precedente dantesco l’uno, ‘quanto un buon gittator trarrìa con mano’ di Purg. III,69 per la distanza, percorribile col ‘colpo d’occhio’, dei due poeti Dante e Virgilio, dalle anime degli scomunicati che attesero in punto di morte a convertirsi; e della crociana ‘Filosofia della pratica’ il secondo. ‘Il gusto pratico… è, anzi, l’atto volitivo stesso…Astraetelo dall’atto volitivo, e l’atto volitivo stesso vi sparisce dinnanzi. Se esso può aver luogo non solo nell’individuo operante, ma anche in colui che contempla l’azione, ciò accade perché l’individuo che contempla si unifica, in quell’istante, con l’individuo che opera, e vuole imitativamente con lui, con lui soffre e gode: come il discobolo segue con l’occhio e con tutta la persona il disco lanciato; ne segue la corsa rapida e diritta, e i pericoli di ostacoli in cui sembra stia per urtare, e le giravolte e le deviazioni, e sembra farsi, egli stesso, disco rotante e corrente”. “Il gittatore di Dante, l’arciere di Machiavelli, il discobolo di Croce: tre immagini corpose per adombrare, pur nella varietà storica e fantastica, filosofica o politica, uno stesso più profondo concetto: quello della prospettiva, dell’uomo che sa protendersi in direzione operativa, lanciando un ponte verso le cose e verso il mondo o anticipandone, col proprio orientamento penetrato di intelligenza e passione, il corso e gli eventi”. (12) Ora,il rapporto di volizione-azione del singolo rispetto alla totalità dell’accadimento, ponendo le basi della moderna teoria statistica o della previsione, era già tematizzato appunto nel ‘nostro’ trattato di filosofia politica, il citato “De Principatibus” di Machiavelli, al Capo XXVI: “Nondimanco, perché il nostro libero arbitrio non sia spento, iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare l’altra metà, o presso, a noi”. “O presso”, all’incirca, a un dipresso o quasi, il Segretario fiorentino definisce il rapporto percentualmente paritetico di azione e caso, virtù e fortuna. Nella modernità, con il calcolo dei probabili, si ha in proposito l’assioma del limite di Richard von Mises (1928), il quale postula che, crescendo sempre più la serie dei risultati, la serie delle frequenze tende a un limite definito. Si tratta, dunque, di un assioma di tendenza, perché si determina con esso il principio di una sempre maggiore approssimazione a un limite definito, proprio nel crescere delle prove all’infinito, ossia alla totalità dei loro tentativi, o anche – più “filosoficamente” – all’ intierezza dell’ ‘accadimento’. E’ noto lo schema che raffigura la probabilità dei lanci della moneta, per testa e croce. Da parte sua, Karl Popper nel paragrafo 50 della “Logica della scoperta scientifica” (1938-1968), rappresenta diversamente, ma analogamente, le due serie degli eventi (A) e delle frequenze (A’): ma sempre con l’approssimazione alla equiprobabilità, con l’alzarsi verso l’infinito del numero delle prove (‘0.50’ in Von Mises; ‘7/14′, tra I e 0, in Popper ). Così, sebbene Popper abbia corretto il criterio di Von Mises, adottando un “assioma del caso” in vece dell’ “assioma del limite”, grazie all’introduzione di tre modifiche alla propria dottrina anche a seguito della discussione con l’Einstein, tale teoria delle frequenze resta sempre fondamentale. Il ‘tentativo’, così come la volizione individuale, è in una relazione non statica o meramente quantitativa, ma dinamica o – per dir così – elastica, di compenetrazione reciproca, con la probabilità del ‘resultato’. Inoltre, siffatta ‘relazione’ è una relazione di tipo tendenziale, proprio perché la singola prova o volizione non esaurisce il tutto; e, in altri termini, analogamente al dettato della crociana “Filosofia della pratica”, è relazione tra “volizione-azione” ed “accadimento”: “Se la volizione coincide con l’azione, non coincide e non può coincidere con l’accadimento. Non può coincidere, perché, che cosa è l’azione e che cosa è l’accadimento ? L’azione è l’opera del singolo, l’accadimento è l’opera del Tutto: la volontà è dell’uomo; l’accadimento è di Dio”. (13)
4. “Accadimento” e fisica quantistica. L’interesse del concetto crociano di accadimento risiede perciò anche nel fornire le basi per una dottrina della previsione, “debole”, non olistica né profetica della storia, in quanto ( scontando in anticipo la inafferrabilità della totalità dell’accadere ) para innanzi al dramma della storia e del divenire la sagacia, l’avvedutezza, il “colpo d’occhio” o la “virtù” del soggetto conoscente-agente. Sì che, trasponendo il contesto crociano nei termini del suo interlocutore Albert Einstein, si può dire che l’idea di “completezza” da questi prospettata ( e perciò ascritta in negativo alla “formule d’incertezza” di Werner Heisenberg ), come la corrispondenza predittiva di teoria e cose, valore di una quantità fisica e realtà fisica, equivalga alla nozione di totalità o accadimento, “risposta a tutte le proposte”, insieme di ogni volizione-azione, teorizzata propriamente dal Croce. In effetto, anche la storia ( e così la storia fisica o microfisica, che ora interessa ) è perennemente “incompleta”; e perciò potrebbe dirsi che “l’azione locale è del singolo; l’azione a distanza è di Dio”. La “separabilità” dell’analisi microfisica è sotto controllo; l’azione a distanza ( presupposta nell’esperimento EPR – Einstein Podolskj Rosen – e successive interpretazioni-correzioni ) è incontrollabile, per il principio di “azione a distanze che si annullano” ( ‘Prinzip der Naherwirkung’). In particolare, anche se Karl Popper non intende propriamente parlare, a proposito delle “relazioni d’incertezza”, di “mancanza di conoscenza”, la sua definizione di “relazioni statistiche di diffusione”, legate ai limiti della “dispersione statistica dei risultati” e perciò limitante “la precisione di certe previsioni individuali”, è pur sempre la percezione di un limite còlto dinanzi alla totalità dell’ “accadimento” o della realtà microfisica: sì che potrebbe ragionevolmente dirsi – a proposito del suo “Poscritto alla Logica della scoperta scientifica” – che Popper finisca per attribuire, assai spesso, alla particella, quella “volizione” o “volizione-azione” o grado “percettivo” che, per Croce, è del ‘singolo’. Ad esempio, ragionando l’esperimento delle due fessure in cui si evidenzierebbe il carattere di diffusione o dispersione statistica dei fotoni, ripreso da Landé nelle sesta di ben tredici tesi confutatorie, il Popper pone la questione: “La consueta domanda ‘le particelle che attraversano la fessura 1 come ‘sanno’ che la fessura 2 è aperta anziché chiusa?’ ora ammette una ragionevole delucidazione. E’ lo schermo ( o la griglia o il cristallo ) che ‘sa’ se può assorbire dei pacchetti di quantità di moto..Non occorre che la particella ‘sappia’ nulla: essa interagisce semplicemente con lo schermo ( che ‘sa’ ) secondo le leggi della quantità di moto e della periodicità dello spazio; o, più precisamente, interagisce con i dispositivi sperimentali totali”.(14) Lo stesso dicasi per i “pesi” di possibilità delle sei facce di un dado, o per l’esempio della distribuzione di probabilità della bilia di un biliardo: “come la bilia può ‘sapere’ che è stato rimosso un birillo se non giunge mai vicino al posto ?”. La risposta è: “la bilia non ‘sa’; ma il biliardo nel suo complesso ‘sa’ e cambia la distribuzione di probabilità, o la propensità, per o g n i bilia”. Dove è evidente che, pure trattandosi di esempi particolari ( dove l’accadimento non è la totalità delle risposte o degli eventi ma solo il dispositivo complessivo tolto in considerazione ), occorre sempre pensare il s i s t e m a t o t a l e in rapporto al quale si danno le ‘propensità’ o ‘probabilità’ reali delle sue parti di produrre certi risultati, onde poter ipotizzare la dottrina statistica, base comune al pensiero indeterministico di tutta la epistemologia contemporanea. Vero è che al Popper manca la nozione esatta di “accadimento”, a volte impropriamente assunta sotto forma di “armonia prestabilita”, allorché – sempre nel “Poscritto” – egli è indotto a postulare l’ipotesi oggettiva di un caos molecolare “che mantiene costanti le possibilità di testa e croce”, a suffragio della teoria indeterministica dei processi fisici. E’ argomento che riprende anche dall’amico Landé, il quale aveva mostrato che lo scienziato determinista, per spiegare l’inclinazione o tendenza di una palla, fatta scivolare lungo un tubo al centro di una lama di acciaio, a deviare verso sinistra o destra anche prima di venire a contatto con la lama, è stato costretto a congetturare che “anche questo rapporto era predeterminato molto tempo prima che il tubo e la lama fossero mai esistiti”, e dunque a invocare una forma di “armonia prestabilita tra gruppi ed eventi “ che sembrano casuali, per confermare che anche le “fluttuazioni dalla media si conformano alle attese statistiche della teoria degli eventi casuali”. (15) Ma l’esigenza che il determinista è costretto a proiettare all’indietro, e ‘ad infinitum’, per giustificare le fluttuazioni statistiche particolari all’interno di un sistema predeterminato, l’indeterminista invece più correttamente soddisfa rappresentando il perennemente attuale ( e non ‘regredente’, ma piuttosto ‘progredente’ all’infinito ) dramma dialettico o relazionale di ‘evento’ singolo e ‘accadimento’ complessivo, risultato particolare e totalità delle risposte: progredente e non regredente all’infinito – si badi -, non per asserire una visione olistica e totalizzante della storia umana e fisica, ma sol perché è l’esercizio delle prove ‘innalzantesi all’infinito’ a restituire la equiprobabilità prospettica delle frequenze, evidenziando l’aspetto indeterministico, dinamico e relazionale dei processi. Anche notevole è, al riguardo, l’esempio dell’ argomento a sostegno della “oggettività della meccanica quantistica”: l’esempio della fiala. “Consideriamo – dice Popper – un grande fiasco al cui interno sia stato fatto il vuoto, nel quale inseriamo una fiala piena d’aria. Sturiamo quindi la fiala. Sappiamo tutti quel che accadrà – oggettivamente – in ogni caso: l’aria sfuggirà dalla fiala e rapidamente si distribuirà uniformemente per tutto il fiasco. Sappiamo pure che anche se aspettassimo moltissimo tempo, non troveremmo mai un esempio del processo inverso: l’aria non ritornerà spontaneamente nella fiala. Ci troviamo di fronte a un processo irreversibile. Questo semplice fatto ha dato origine a interminabili discussioni soprattutto perché, com’ è ovvio, non è fisicamente possibile che l’aria ritorni. Se una molecola si muove in una direzione, dev’essere fisicamente possibile per essa muoversi anche nella direzione opposta; ma se la direzione dei movimenti di tutte le molecole viene invertita, allora esse devono rientrare nella fiala” .(16) Ora, a noi sembra che il fatto che -oggettivamente – l’aria sfugge dalla fiala sturata dentro il fiasco e vi si distribuisce uniformemente è dovuto a due condizioni: 1) perché il movimento di una molecola d’aria è collegato a quello di tutte quante le altre, e 2) perché la direzione del movimento è qui già segnata dal collo della fiala o bottiglia aperta. Due condizioni di cui, per l’improbabile ritorno o rientro nella fiala, non sussiste più la seconda ( anche se continua sussistere la prima ), perché chiaramente la direzione del movimento non è più segnata dal collo della fiala da cui le molecole son già uscite; ma di cui, per la predetta fuoruscita delle molecole dalla fiala, essendo importanti entrambe le condizioni, la seconda ha valore in quanto ‘associata’ alla prima. Dunque la totalità dell’ ‘accadimento’ sperimentale tolto in esame è ancora una volta la nota dominante della congettura fisica, e dunque del dispositivo predisposto a verificarla-falsificarla, allo scopo di illustrare un “asserto probabilistico” tematicamente esemplare per la meccanica quantistica. E tutte le “interminabili discussioni” sorte intorno a tale esempio di “irreversibilità” di movimento molecolare sono da ricondursi all’errore di avere scisso astrattamente e intellettualisticamente ( lo “spillo” di Montale !) le due condizioni sopra rimarcate nell’esperimento del fiasco e della fiala, guardando al problema della direzione, senza considerare il carattere di g l o b a l i t à o t o t a l i t à del movimento molecolare, cui la stessa direzione è associata. Ultimo significativo esempio della inerenza della teoria trascendentale dell’ ‘accadimento’ alla fisica quantistica è costituito dal citato esperimento delle due fessure, dovuto a Young, discusso da Niels Bohr e interpretato in chiave propensionale dal Popper. “L’apparato sperimentale consiste in una sorgente di luce ( o di elettroni ), di un primo schermo con una stretta fessura, ad assicurare che la sorgente sia la più ridotta possibile; di uno schermo con due fessure che lasciano passare la luce e di un altro schermo ( o lastra fotografica ) su cui possiamo osservare le frange di interferenza, secondo la teoria ondulatoria della luce. Il problema principale è questo. Se oscuriamo la sorgente luminosa finché in un solo esperimento viene emesso un solo quanto (una sola particella ) e ripetiamo l’esperimento una volta al giorno, sovrapponendo i risultati di molte ripetizioni, otteniamo ( o supponiamo di ottenere ) ancora delle frange di interferenza. Queste frange cambiano se una delle due fessure viene chiusa: se apriamo per un momento solo la fessura superiore e poi per un momento solo quella inferiore, il risultato ottenuto sarà completamente diverso da quello che si otterrebbe se entrambe le fessure venissero aperte nel medesimo istante di tempo. Così, le due fessure cooperano nel produrre le frange, o nel determinare che la particella raggiungerà un punto anziché un altro sul secondo schermo. Ma ciascuna particella può passare soltanto attraverso u n a delle fessure. Come può venire influenzata dal fatto che l’altra fessura è aperta ( o chiusa )? Dal punto di vista dell’interpretazione propensionale, la risposta a questa domanda è semplice: è l’ i n t e r o d i s p o s i t i v o sperimentale a determinare le propensità. Nel caso in cui entrambe le fessure sono aperte, i possibili risultati di qualsiasi esperimento differiscono chiaramente da quello in cui una sola dio esse è aperta. Ma le propensità dipendono, come sappiamo, dalle possibilità. Possiamo perciò ben capire la diversità dei risultati. Così, la particella attraverserà soltanto una delle due fessure e, in un certo senso, non rimarrà influenzata dall’altra. Ciò che l’altra fessura influenza sono le propensità della particella in rapporto all’ i n t e r o d i s p o s i t i v o s p e r i m e n t a l e, non la particella stessa: le p r o p e n s i t à a raggiungere un punto o l’altro sul secondo schermo”. (17) Lo stesso dicasi per l’esperimento dei fasci separati in fotoni, a conferma che la teoria propensionale o statistica delle formole d’indeterminazione e delle proprietà relazionali delle particelle esige la intuizione o rappresentazione del “dispositivo totale” e del “complesso” della situazione, entro cui si pone l’aspetto predittivo-conoscitivo della realtà microfisica, e dunque la sua dimensione indeterministica ( ma realistica ), tale però da essere attinta, in virtù della “pensabilità dell’accadimento” globale, per via teoretico-trascendentale. Del Croce, Popper non conosce la “Logica”, pure citando elogiativamente la di lui testimonianza etica di Libertà, nella premessa a “Miseria dello storicismo”. Ma i conseguimenti teoretici, conquistati in virtù delle leggi del pensiero, segnatamente nel solco di Kant ( “uno dei suoi quattro Autori” ), lo affiancano alla dottrina crociana dell’accadimento, tuttora operante – per esigenza – nelle dispiegate analisi del “Poscritto alla Logica della scoperta scientifica” (1956-1982). Il che lo fece definire al Franchini: “Un pensatore che tiene in maniera quasi fanatica ( pur essendo il preciso contrario di un fanatico ) all’etichetta di ‘empirista’, che poi si comporta, o finisce spesso per comportarsi, da idealista o trascendentalista”. (18)
5. “Accadimento” e totalità della storia e del mito. A prosecuzione dell’efficacia ermeneutica della nozione di “accadimento”, si impongono via via i recuperi dello sgomento di fronte all’infinito, in Pascal e Leopardi; le riflessioni di Leonardo Sciascia a proposito della scomparsa di Majorana; Italo Calvino e le “Lezioni americane” o “Le città invisibili” ( in eminente esempio, “Andria” ); Umberto Eco e la seduzione del prospetto globale ne “Il pendolo di Foucault”; Roberto Calasso e la totalità del mito, con le “Nozze di Cadmo e Armonia”; finalmente, ma non certo esaustivamente, Stephen Hawking e l’ambiziosa ricerca dell’ “occhio di Dio” ( “Dal Big Bang ai buchi neri” ). Per il primo rispetto, ci siamo imbattuti nei frammenti pascaliani “Contro l’indifferenza” ( ed. Serini, IV/2, fr. 218-222 ): “Quando considero la breve durata della mia vita, sommersa nell’eternità che la precede e la segue, il piccolo spazio che occupo e financo che vedo, inabissato nell’infinita immensità degli spazi che ignoro e che m’ignorano, io mi spavento e stupisco di trovarmi qui piuttosto che là, non essendoci nessuna ragione perché sia qui piuttosto che là, oggi piuttosto che domani. Chi mi ci ha messo ? Per ordine e per opera di chi questo luogo e questo tempo furon destinati a me ? ‘Memoria hospitis unius diei praetereuntis’ “. “Quanti regni ci ignorano !”. “Il silenzio eterno di quegli spazi infiniti mi sgomenta”. O dei “Pensieri”, VII/2, fr. 531: “Il minimo movimento interessa tutta la natura: il mare intero cambia per una pietra. Così, nella grazia, la più trascurabile azione interessa, per le sue conseguenze, tutto. Dunque, tutto è importante. In ogni azione bisogna considerare, oltre l’azione stessa, il nostro stato presente, passato, futuro, e quello degli altri cui essa interessa, e vedere la connessione di tutte queste cose. Allora si sarà molto guardinghi”. I commentatori notano l’analogia col Leibniz, al passo della “Teodicea” (I,9), dove è detto che “L’universo, quale che possa essere, è tutto di un pezzo, come un oceano: il menomo movimento vi estende il proprio effetto a qualsiasi distanza”, a significare la responsabilità dell’uomo di fronte alla natura, nel corso suo totale. O gli echi di “miseria e grandezza dell’uomo” fino al “Dialogo di Tristano e di un amico”, in cui Giacomo Leopardi rappresenta “l’insazietà del cuore umano, e la miseria irrimediabile a cui l’uomo è dannato sopra la terra”. (19) Ancora una volta, la scoperta di nuovi astri e mondi consentita dal cannocchiale di Galileo, sposata alla particolare sensibilità pascaliana per il problema del rapporto tra l’uomo e l’infinito, riflette accenti di attualità modernissima. “E noi potremmo individuare incunaboli della concezione crociana dell’ ‘accadimento’, come l’insieme delle risposte alle volizioni individuali, dedotto in ‘Filosofia della pratica’ del 1909, a conferma del momento ‘religioso’, tragico-vitalistico, cosmico, che designa la peculiarità dello storicismo italiano”. (20) Analogamente, mi accadde di cogliere “Approssimazioni dell’accadimento: A proposito di Leonardo Sciascia e della scomparsa di Majorana”, sulle tracce della confidenza del 16 aprile 1989 dello scrittore siciliano ( Racalmuto 8 gennaio 1921 – Palermo 20 novembre 1989 ) a Gesualdo Bufalino: “Curiosamente , coi miei pensieri mi pare di stare a fare la punta a una matita: sempre più sottile, sempre più acuta, ma che non serve”. E Sciascia dedicò uno dei suoi racconti-inchiesta, suscitando nel 1975 qualche discussione con il fisico Edoardo Amaldi, all’eore Ettore Majorana, “scomparso per aver capito troppo del dramma della esistenza e della forza cosmica che lo sostanzia”. Battute taglienti, lo Sciascia, pone in bocca a Majorana a proposito degli anni “pontificali” del danese Niels Bohr, 1935 e seguenti, che sono esattamente gli anni della replica al “paradosso” di Einstein Podolskj Rosen a proposito della “azione a distanza” e delle ipotesi sulle “energie di scambio” nella fisica delle particelle. (21) “Con Heisenberg – nota Sciascia -, il rapporto era del tutto diverso. E la ragione crediamo di intravederla, retrospettivamente, nel fatto che Heisenberg viveva il problema della fisica, la sua ricerca di fisico, dentro un vasto e drammatico contesto di pensiero. Era, per dirla banalmente, un filosofo”. (22) “Nel genio precoce – quale era appunto Majorana ( Catania 5 agosto 1906- scomparso il 25 marzo 1938 )- la vita ha come una invalicabile misura: di tempo, di opera.. E poiché è un ‘tutt’uno’ con la natura, un ‘tutt’uno’ con la vita, e natura e vita un ‘tutt’uno’ con la mente, questo il genio precoce lo sa senza saperlo. Il fare è per lui intriso di questa premonizione, di questa paura. Gioca col tempo, col suo tempo, coi suoi anni, in inganni e ritardi. Tenta di dilatare la misura, di spostare il confine. Tenta di sottrarsi all’opera, all’opera che conclusa conclude. Che conclude la sua vita”. (23) Sia stato per la premonizione dei rischi insiti nella scissione del nucleo, o per le incombenti leggi razziali del ’38, o per entrambe le situazioni,”Ettore Majorana era religioso. Il suo è stato un dramma religioso, e diremmo pascaliano. E che abbia percorso lo sgomento religioso cui vedremo arrivare la scienza, se già non c’è arrivata, è la ragione per cui stiamo scrivendo queste pagine sulla sua vita”. (24) “Majorana – concludevo nel 1990 – scomparve o volle scomparire non solo, allora, perché aveva previsto il destino di morte che sarebbe scaturito dalla comparsa della scissione nucleare; ma, prima e meglio, perché aveva capito troppo della formidabile ( in senso etimologico: che incute terrore, dal lat. ‘formido’) catena deduttiva, ipotetico-congetturale, formalistico-matematica, che spingeva verso l’approssimazione dell’accadimento o complesso totale delle forze fisiche e microfisiche – e, quindi, anche del risvolto applicativo in termini di cultura e di morte” (“L’azione a distanza”, cit., 1990, pp. 99-100). I libri “totali” di Calvino – segnatamente i “Six Memos for the Next Millennium” o “Lezioni Americane” e “Le città invisibili” – hanno suscitato vasta risonanza ( Alberto Arbasino, in “Repubblica” del 20 settembre 1988; Gian Carlo Ferretti, “Le capre di Bikini. Calvino giornalista e saggista.19455-1985”, Roma 1989; “Atti” del Convegno Internazionale di Firenze, 26-28 febbraio 1987, per Garzanti, 1988; Giuseppe Brescia, “L’azione a distanza”, cit., pp. 116-118; “Italo Calvino e Andria”; “Il senso del celeste: conoscenza e influssi negli antichi; risorsa e comunicazione per i moderni”; “L’incantamento del cielo: dall’ Antico a Proust”; “Il trascolorare del cielo nello ‘spleen’ di Baudelaire”; “Il senso del celeste e i princìpi vichiani in James Joyce”; “Il senso del celeste: Galilei e Margherita Hack”; “Arthur Koestler, epistemologo della creatività”; “Il nuovo ‘Non fu sì forte il padre’”, nella rubrica “Noi credevamo” -”videoandria”; “ Santillana e Italo Calvino”; “Te Lucis Ante. Momigliano e Bassani interpreti della poesia di Dante”; “Il Purgatorio di Arthur Koestler”, nei “Saggi” di “libertates”). Riguardando il viaggio sino a Sirio ( la stella più vicina a noi della Via Lattea ), ripresa dal racconto “Micromega” del 1752 di Voltaire, nelle “Lezioni” calviniane, l’ambizione del prospetto “totale”, come dell’ accadimento astronomico e fisico, si interseca con l’intenso dibattito a proposito del paradosso EPR e della “azione a distanza” da un lato, con la “macchina del tempo” scandita nel “Mulino di Amleto” da Giorgio De Santillana ed Hertha von Dechend, dall’altro. Sono gli anni dei romanzi di Eco, delle riscoperte del mito in Calasso, del progetto cosmologico di Hawking. Con differenti moduli: “Dio è più vicino. Scienza e Filosofia a confronto”, recitava Gianni Vattimo in “La Stampa” del 29 giugno 1988 ( e, con lui, G. Rampoldi, “La Stampa” del 16 giugno 1988; M. Neri, “La Stampa – Tuttolibri” del 4 giugno 1988; Tullio Regge, “La Stampa – Tuttoscienze” del 29 giugno 1988; L. Abbott, “Il mistero della costante cosmologica”, in “Le Scienze” n. 239 del Luglio 1988, pp. 88-95; J. Boslough, “L’universo di Stephen Hawking”, ed. it., Milano 1990 ). Infine, mentre per le “approssimazioni all’accadimento”, categoria della “totalità” in relazione alla “singolarità”, di Calvino e Calasso il consenso è generalizzato ( cfr. Sergio De Santis, “Roberto Calasso e i luoghi dell’anima”, in “Prospettive Settanta”, X, 1988, pp. 458-463 ); il romanzo a “tesi” di Eco intercettava notevoli resistenze a proposito di punti dottrinali significativi ( Carlo Morandini, “Il nome della rosa: una lettura critica”, in “Nuovi Studi Politici”, del luglio-settembre 1987, pp. 89-102; Piero Di Vona, per la mistificazione della ‘sefirah’ nel “Pendolo di Foucault”; Sergio Noja, “Il distico segreto” nel “Giornale” del 23 ottobre 1988; Raffaele Nigro, “La frenesia del Pendolo”, “Il Mattino” dell’ 11 ottobre 1988; Pietro Citati, “Giocando a dadi con Eco e Foucault”, in “Repubblica” del 21 ottobre 1988; Salman Rushdie, “The Observer”, London, 15 ottobre 1090; sino a “Effetto Eco” a cura di Francesca Pansa e Anna Vinci (Roma 1990). “Si direbbe che il Riso abbia bisogno di un’eco” ( dal celebrato “Essai sur le rire” di Bergson ), diventa in chiave metafisica “Si direbbe che il Piano abbia bisogno di un’eco” ( la cerchia di Casaubon, Diotallevi, Belbo che lo studiano nel “Pendolo”); fino alla “paranoia del Complotto” di “Il cimitero di Praga” (2011).
6. “Accadimento”, “vitalità” e sensazione. E’ giunto il momento di approfondire il nesso tra “Vitalità” e “accadimento”, introdotto da Sasso e Antoni, e proiettato – così – verso l’ermeneutica filosofica applicata al motivo della “sensazione” e del “flusso di coscienza”, nella modernità. Lo scavalcamento dell’individuo nel complesso della vitalità era stato magistralmente trattato dal Croce nel saggio “Intorno alla categoria della vitalità”: “Terribile forza questa, per sé affatto amorale, della vitalità, che genera e asservisce o divora gli individui, che è gioia e dolore, che è epopea ed è tragedia, che è riso e pianto, che fa che l’uomo ora si senta pari a un Dio, ora miserabile e vile; terribile forza che la poesia doma e trasfigura con la magia della bellezza, il pensiero discerne e conosce nella sua realtà e nella realtà delle sue illusioni, e la coscienza e la volontà morale impronta di sé e santifica, ma che svela sempre la sua forza propria con le sue ragioni che si fanno valere oltre la nostra volontà e riimmergono di volta in volta la civiltà nella barbarie, che precede la civiltà, e alla civiltà succede interrompendola per far sorgere in lei nuove condizioni e nuove premesse. L’uomo non può negare il diritto di essa, la forza della vitalità, perché le appartiene, come non può negare quelle della poesia, del pensiero, della vita morale, alle quali parimenti appartiene, né può negare lo spirito in universale, perché l’ha in sé come sua forma eterna”. (24) Il pullulare di forze irrazionali nell’individuo è stato dipanato da Carlo Antoni nel suo “Commento a Croce”, con una analisi che rende ragione del rapporto cosmico e che conviene, pertanto, riprodurre: “Nel corso degli anni il pensiero crociano si è andato sempre più raccogliendo sulla moltitudine di forze irrazionali pullulanti in noi, umori, appetiti, bisogni, affetti, desideri, passioni, che ha riassunto con il termine ‘vitalità’. Ha riunito in quest’ultima categoria, accanto al momento dell’utile, anche il sentimento, in quanto affetto del piacere e del dolore. (..) Il raggio di luce, che batte sui nostri occhi e ci desta, il freddo che improvvisamente avvertiamo, aprendo una finestra, sono ‘sensazioni’, dati elementari della nostra vitalità, quanto il dolore di una trafittura, la fame, la stanchezza fisica, e non sono intuizioni artistiche. Va da sé che non si tratta di elementi isolati, quali li concepivano gli empiristi ed i sensisti, bensì appartengono a quel continuo, che è appunto la nostra vitalità. In quanto vitalità, la sensazione non implica affatto un fuori e un dentro. E’ un atto, è l’atto del nostro sentirsi vivere, ed ha una certezza immediata. Non ammette infatti discussione, ché nessuno mi potrà contestare che sento un dolore o che vedo un colore. E’ questa certezza del dato di fatto che si vuole citare a testimonio, allorché si rimprovera ai filosofi di pretendere che ‘il mondo è una nostra rappresentazione’. La cosiddetta ‘percezione’, che intendiamo già come un giudizio, un atto del pensiero, è appunto l’atto con il quale affermiamo l’esistenza del dato di fatto, che abbiamo una sensazione e la valutiamo. Il suo soggetto non è l’intuizione artistica, ma la vitalità. La natura di dato immediato, come fa immaginare le inclinazioni e le passioni come altrettanti stati di passività, così fa attribuire una passività alle sensazioni. E’ ciò che ancora gli esistenzialisti designano come il nostro ‘essere gettati nel mondo’. (..) Può sembrare che negando che la sensazione sia l’effetto d’uno stimolo meccanico proveniente dall’esterno, si isoli il nostro spirito dal restante mondo e lo si costringa a cavar tutto da sé. In realtà è proprio quando si considera la sensazione come un fatto meccanico, che si isola il soggetto dal restante mondo. Già l’isolamento del nostro organismo dal restante universo e dalle sue forze ( luce, calore, aria, umidità, energia elettrica, gravità, ecc.) è un’arbitraria astrazione. E già questo nostro vivere organico è un atto di sintesi incessante, dove non c’è una materia passiva in nessun posto, ma l’unificazione di forze attive provenienti dal cosmo. Noi, del resto, avvertiamo questa comunione cosmica, quando, senza pensare ed agire, ci abbandoniamo a ciò che entra in noi e la natura ci è allora piacevole e benefica amica. Nell’istante della sensazione, in quanto immediata vitalità, l’infinito universo vibra e palpita in noi concretamente e si fa consapevole di sé in un atto individuato, che non è né esterno né interno. Qui la soggettività non ha confini, bensì si estende ai confini dell’universo. Ma siffatta partecipazione è attiva, è una sintesi. In questa, che è l’unica realtà, l’intelletto compie, per i suoi scopi pratici, l’astratta divisione. La vitalità in questo non si differenzia affatto dalle altre forme dell’attività dello spirito, che tutte sono atti di comunione col mondo. Là dove la sintesi si compie nella forma della vitalità, il mondo si presenta come ‘natura’, mentre dove si compie nelle altre forme spirituali, esso si presenta come storia. La differenza tra natura e storia sta dunque nella diversità delle forme con le quali entriamo in comunione col tutto”. (25)Il nesso cosmico e la comunione col tutto si evidenziano, dunque, in modalità differenti, nella “natura” e nella “storia”, sotto specie ( pur se quant’altre mai sfaccettata ) di “vitalità” o di “creatività” delle altre forme spirituali.
7. “Accadimento” e “flusso di coscienza”. Vico, Croce e Joyce. L’autonomia della poesia; la distinzione tra ‘persona pratica’ e ‘personalità artistica’ nello Shakespeare; l’interpretazione della legge dei ‘corsi e ricorsi storici’, come esigenza del perpetuo rinnovarsi di idealità spirituali e non meccanica ripetizione di fatti e accadimenti storici; la necessità, per non lasciarsi sopraffare, di contrapporre ‘forza a forza’, puntando però sempre al riscatto del cielo o dell’amore ( “Love loves to love love” ); il divario tra “res gestae” e “res gerendae” ( come “the irreparability of the past” e “the imprevedibility of the future” ) nel corso dell’intenso addio, al numero 7 di Eccles Street, tra Leopold Bloom e Stephen: – sono questi, soltanto alcuni dei più importanti princìpi vichiani, e d’interpretazione vichiana attraverso Croce, che James Joyce adotta nell’ Ulysses ( ed. 1922, ora Penguin, London 1992, alle pp. 236 e 241-242; 490-492; 427-433; 816 sgg. ) e poi in Finnegans Wake del ’39, il cui quarto libro è dedicato, propriamente, al “Ricorso”.” Art has to reveal to us ideas, formless spiritual essences. The supreme question about a work of art is out of how d e e p a l i f e d o e s i t s p r i n g. The painting of Gustave Moreau is the painting of ideas. The deepest poetry of Shelley, the words of Hamlet bring our mind into contact with the eternal wisdom, Plato’s word of i d e a s. All the rest is the speculation of s c h o o l b o y s f o r s c h o o l b o ys ( Ulysses, ed. cit., p. 236 ). E c’è la reinterpretazione ideale in senso ‘crociano’ della teoria dei corsi e ricorsi storici. “ The year returns. History repeats itself.” – “No. R e t u r n i n g n o t yhe s a m e – T h e n e w I w a n t”. Dove, nella stessa pagina ( di Ulysses, 491-492 ), mirabilmente per i tempi, Joyce mette a diretto confronto la ‘vulgata’ dottrina vichiana della “storia che si ripete” meccanicamente e materialmente, con la correctio di Croce, lavorata dai primi del Novecento ( “Giambattista Vico scopritore della scienza estetica” ) sino alla monografia del 1911: “No. Non ritorna mai lo stesso accadimento. – Il nuovo, io desidero” ( E’ la risposta esatta ). Così, per il nesso passato presente avvenire, il Joyce inserisce lo schema ‘ideale’ nella scena dell’addio tra Bloom e Stephen, “momento culminante” del racconto, in luogo del più celebrato monologo di Molly Bloom a Gibilterra, letto poi in tutte le salse teatrali e persino goliardiche ( “E sì, dissi sì, voglio sì”). Qui, sul cancelletto di casa, Joyce ‘ferma il tempo’, con una forma di “rallentamento” del tipo di quello immesso dal padre Omero al XIX della Odissea, quando Euriclea scopre la cicatrice d’ Ulisse e concede al poeta di riportare minuziosamente tutti i particolari della caccia al cinghiale. Joyce ricorre, per ciò, a trecento interrogazioni che definiscono in tutte le sue coordinate cosmiche l’addio tra il ‘padre’ e il ‘figlio’, Leopolod e Stephen, congiungendo “vitalità” e “cosmo”, con la collimazione dei due rispettivi ‘percorsi’, in tutte le loro relazioni fotografiche, letterarie, religiose, filosofiche, linguistiche, spaziali, temporali, astronomiche e galattiche, e poi ancora affettive, ffamiliari, geografiche e storiche europee, che trattengono al centro dell’attenzione l’influsso degli astri sugli umani destini e il problema del rapporto passato-avvenire. “Che cosa sentì Bloom, rimasto solo ? Il freddo dello spazio interstellare, migliaia di gradi sotto il punto di congelamento o zero assoluto Farhenheit, Centigrado o Réamur: le incipienti avvisaglia della prossima aurora” ( p. 916 ). “Quale prospettiva di quali fenomeni lo invogliò a rimanere ? La sparizione delle ultime tre stelle, la diffusione della luce aurorale, l’apparizione di un nuovo disco solare”. Così Joyce scioglie nella prospettiva dell’ accadimento cosmico il complesso giuoco relazionale di volizioni e destini individuali. Ora, per restare al momento dell’addio, : “Che cosa rendeva problematica per Bloom la realizzazione di queste proposte escludentisi a vicenda ? – L’ irreparabilità del passato: una volta a una rappresentazione del circo Albert Hengler alla Rotunda, Rutland Square, Dublino, un pagliaccio intuitivo e multicolore in cerca di paternità era penetrato dalla pista fino al posto dove Bloom, solitario, stava seduto tra il pubblico e aveva dichiarato pubblicamente agli spettatori esilarati che egli (Bloom) era il suo (di lui) papà. – L’imprevedibilità del futuro:una volta nell’estate del 1898 egli (Bloom )aveva contrassegnato un fiorino ( 2 s. ) con tre tacche nel contorno zigrinato e l’aveva offerto in pagamento di un conto dovuto a e ricevuto da J. E. T. Davy, drogheria con servizio a domicilio 1 Charlemont Mall, Canal Grande, perché circolasse sulle acque della pubblica finanza, nell’eventualità di un possibile ritorno, indiretto o diretto.- Era il pagliaccio figlio di Bloom ? – No.- Era tornata la moneta di Bloom ? – Mai”.Si tratta di un passo del più alto interesse, dal momento che riflette sul rapporto tra “the irreparability of the past”, cioè “historia rerum gestarum”, e “the imprevedibility of the future” ( nel linguaggio dello storicismo, come “historia rerum gestarum”). Che son i termini concettuali stessi, cui Croce approda ne La storia come pensiero e come azione del 1938, con una matura e affinata coscienza, i cui incunaboli eran presenti già nella fase sistematica, dal Capo III, L’arte e la filosofia, della Estetica del ’02, nota a Joyce nella terza edizione del 1908 durante il soggiorno triestino, fino alla Teoria e storia della storiografia, pubblicata prima in tedesco nel 1915, quindi in italiano nel ’17. Vero è che, nella prima redazione della Estetica, Croce sostava vicino alla propria tesi giovanile, nella Memoria Pontaniana del 1893, sulla Storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte. Pure, in tale sforzo di sistemazione, si affacciavano, dal di dentro, i concetti di ricerca dell’ individuum omimode determinatum, in quanto oggetto della “intuizione” ( cfr., ora, la p. 35 della riedizione Adelphi, Milano 1990 ), e del “fatto che non si può cambiare”, appartenendo esso al passato: “ factum infectum fieri nequit “ ( e cioè: “il fatto non accaduto non può accadere”, nella pagina 67 del capitolo L’attività teoetica e la pratica, in Filosofia della pratica, del 1908, pp. 61-69 ). Ancora, nelle note ‘Marginalia’ di Teoria e storia della storiografia ( sempre precedenti la stesura dell’ Ulysses, 1922 ), la medesima distinzione era chiaramente introdotta nel paragrafo Unità e diversità di storia e storiografia, “res gestae” e “historia rerum gestarum” ( v. le pp. 354-355 della cutata edizione adelphiana, del 1989 ). Sia consentita, arrivati a questo punto, una notra che appare al tempo stesso digressione e ritorno al filone principale del nostro ripensamento della dottrina dell’ accadimento. Antonio Gramsci, in una delle sue lettere dal carcere del 12 dicembre 1927, non per nulla aveva sostenuto che la Teoria e storia della storiografia contenesse, “oltre che una sintesi dell’intero sistema filosofico crociano, anche una vera e propria revisione dello stesso sistema”, potendo “dar luogo a lunghe meditazioni”. Lo storico e curatore della riedizione di Teoria e storia, Giuseppe Galasso, osserva : “Lo stesso spunto esplicitamente offerto da Gramsci è rimasto senza alcuno svolgimento; e ciò nonostante che a lui si siano ispirati, dalla pubblicazione dei Quaderni del carcere in poi, tanti studiosi del Croce o dei problemi del suo pensiero” ( pp. 401-417 della Nota del curatore ). In verità, e come ho avuto modo di ricordare più sopra, ne avevano già discusso Raffaello Franchini ( La teoria della storia di Benedetto Croce, Morano, Napoli 1966 ) e Gennaro Sasso ( Benedetto Croce. La ricerca della dialettica, Morano 1975 ), ponendo in relazione la distinzione tra pensiero e azione con il concetto di “accadimento”, “res gestae” e “res gerendae” con il nesso “accadimento” – “volizione”. Il punto è, allora, che la esigenza riformatrice del sistema crociano, a proposito del rapporto tra pensiero e azione, sarebbe stato sanato nel capolavoro della maturità, La Storia come pensiero e come azione del 1938, allorquando lo stesso filosofo – a differenza del Gentile – avrebbe chiarito come il rapporto tra conoscenza del passato ( pensiero ) e preparazione dell’avvenire ( azione ) sarebbe stato di “condizione preparante e non determinante”, dal momento che esistono la libertà e la assunzione – con essa – di personale responsabilità delle scelte.Ma questo è esattamente l’aspetto della “storiografia” come “ideale contemporaneità della storia”, dalla Guerra del Peloponneso tucididea alla dottrina di Croce. Già Nietzsche in un celebre aforisma tanto spesso enfatizzato aveva notato che non esistono “fatti” ma solo “interpretazioni”, Croce aggiunge ora, su Storia e cronaca: Questi ravvivamenti hanno motivi affatto interiori; e non c’è copia di documenti o di narrazioni che possa effettuarli, anzi sono essi medesimi che raccolgono in copia e recano innanzi a sé i documenti e le narrazioni, che, senza di essi, rimarrebbero sparpagliati ed inerti” ( sottolineatura mia da op. cit., p. 27 ). Vale sempre il caso magistrale della battaglia di Borodino in Guerra e pace di Leone Tolstoj: “Il Tolstoj s’era fisso in questo pensiero che, non solamente nessuno, nemmeno un Napoleone, possa predeterminare l’andamento di una battaglia, ma che nessuno possa conoscere come davvero essa si è svolta, perché, la sera stessa che pone termine alla battaglia, sorge e si diffonde una storia artificiosa e leggendaria, che solo uno spirito credulo può scambiare per istoria reale, e sulla quale nondimeno lavorano gli storici di mestiere, integrando o temperando fantasia con fantasia. Ma la battaglia è conosciuta via via che si svolge; e poi, col tumulto di essa, si dissipa anche il tumulto di quella conoscenza, solo iumportando la nuova situazione di fatto e la nuova disposizione d’animo che si è prodotta, e che si esprime nelle poetiche leggende o si attua con le artificiose finzioni. E ciascuno di noi conosce ed oblia a ogni istante i più dei suoi pensieri e atti ( e guai se così non facesse, perché vivrebbe compitando faticosamente ogni suo minimo moto ! ): ma non dimentica, e serba più o meno a lungo, quei pensieri e quei sentimenti, che rappresentano crisi memorabili e problemi aperti per il suo avvenire: e talvolta, non senza alto stupore, noi assistiamo al risorgere in noi di sentimenti e pensieri, che credevamo irrevocabili. Onde è da dire che noi, a ogni istante, conosciamo tutta la storia che c’importa conoscere; e della restante, poiché non c’importa, non possediamo le condizioni del conoscerla, o le possederemo quando c’importerà” ( op. cit., pp. 60-61 ). Ora, questo stesso chiarimento forma l’assunto dell’ Ulysses di Joyce, della “nostra storia che c’importa conoscere” ( come pochi anni prima ha scritto Croce ), e che, in questo interesse, è di volta in volta tutta la “nostra storia”, ivi comprendendo le “poetiche leggende” e le “artificiose finzioni” ( come quella inventata dal clown, ma rispondente, nella propria “artificiosità”, al bisogno di “paternità”, e per questa via riconducibile alla “contemporaneità ideale della storia”, che sorge sempre da un autentico “problema o “assillo” o “bisogno”, come insegna il filosofo italiano ). Inoltre, in questo passaggio crociano, bene si ravvisa un aspetto essenziale della poetica, o delle poetiche, di Joyce ( del ‘modernismo’ in genere, delle proustiane ‘intermittenze del cuore’ in specie ). Infatti, nella sintesi di accadimento totale e volizioni-azioni individuali, di ontogenesi e filogenesi, autobiografia e storia, finisce per dominare insieme la conoscenza, e dimenticanza, dei propri pensieri e sentimenti e atti, in particolar modo di quelli che “rappresentano crisi memorabili e problemi aperti” ( id est: crisi storiche, trafitture, sconvolgimenti e catastrofi familiari, come per il terremoto di Casamicciola, e via dicendo ). Al culmine di tale processo di “latenza e risveglio”, “noi assistiamo al risorgere in noi di sentimenti e pensieri, che credevamo irrevocabili”. Non sembra di veder, così, prefigurato ( sia detto con ogni garbo e cautela ) il joyciano “flusso di coscienza”, che porterà al mobile ordito di “pensieri e sentimenti e atti” in “Ulisse”, sorta di immensa “storia universale” esaltata e compendiata nella giornata del dublinese “uomo comune”, in particolare per le sue “crisi memorabili” ed i “problemi aperti sull’avvenire” ?
E che cos’ altro è, ancora, l’ “Here Comes Everybody”, l’ “Ecco qui passa ognuno”, di Finnegans Wake, se non la storia universa vissuta nella esperienza esistenziale del protagonista, l’ oste che sogna il destino dell’umanità, per entro il complesso quadro di archetipi e miti, come la donna fiume Anna Livia Plurabelle, le quattro regioni dell’ Irlanda, il Book of Kells e i quattro evangelisti, e via ? Per ciò stesso, la domanda successiva del brano dell’ “Ulisse” sopra citato, “Era il pagliaccio figlio di Bloom ?” riceve per risposta un netto “No”: a significare inequivocabilmente che sia i “fatti” quanto le loro “narrazioni” rientrano perfettamente nella “Irreparabilità del passato”. Laddove la successiva domanda “Era tornata la moneta di Bloom ?” riscuote un altrettanto secco “Mai”, a proposito della “Imprevedibilità del futuro” ( non – si badi – di grado probabilistico-statistico, come nel classico esperimento di testa e croce o nella prova di Richard von Mises; ma col grado di impossibilità assoluta, che statisticamente è uguale a 1, direbbe Popper ).

Giuseppe Brescia

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Giuseppe Brescia
Filosofo storico e critico, medaglia d'oro del MIUR, Premio Pannunzio 2013 e Cavaliere dell'Ordine al Merito della Repubblica,Componente dei Comitati per le Libertà, ha procurato di innestare storicismo epistemologia ed ermeneutica. Dopo la fase filologica('La Poetica di Aristotele','Croce inedito' del 1984 ),ha espresso un sistema in quattro parti: 'Antropologia come dialettica delle passioni e prospettiva', 'Epistemologia come logica dei modi categoriali', 'Cosmologia', 'Teoria della Tetrade', 1999-2002).Per Albatros ha pubblicato il commento alla lezione di Popper in'Maledetta proporzionale' (2009,2013);'Massa non massa.I quattro discorsi europei di Giovanni Malagodi'(2011);'Il vivente originario'(saggio sulla filosofia di Schelling, con prefazione di Franco Bosio, Milano 2013); 'Tempo e Idee. Sapienza dei secoli e reinterpretazioni', con prefazione di Bosio (2015).I temi del tempo e del 'mondo della vita' si intrecciano con le attualizzazioni del 'male', da '1994'.Critica della ragione sofistica (1997), 'Orwell e Hayek', 'Ipotesi su Pico'(2000 e 2002) sino al recente'I conti con il male.Ontologia e gnoseologia del male'(Bari 2015).E' Presidente della Libera Università 'G.B.Vico' di Andria

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Arrestato il manager della Sogei, la società di information technology del Ministero dell’Economia e delle Finanze. La mission ufficiale è quella di «contribuire alla modernizzazione del Paese, partecipando attivamente al... di Guidoriccio da Fogliano

Condono: dopo il danno le beffe

Nell’ultima proposta del Governo è apparsa la proposta di fare quel condono a cui ha sempre aspirato: quello “tombale”.... di Guidoriccio da Fogliano